Nadia Agustoni
costruire il mattino
uno
… e nei nostri anni ingrandiva novembre
i crisantemi nel campo
i colori tenui
non c’erano chiavi nelle case
ma tavoli di luce —
la foschia a volte nascondeva i prati
nei più tardi giorni il pomeriggio svaniva
il cielo confondeva qualcosa
del lontano
in un volto —
coi polsi fragili
ci chinavamo suoi fiori
il freddo picchiava sui pini
e un migrare tardivo
ci stupiva —
leggere le figure nell’aria.
due
la pianura insegna la morte
con asce di gelo
lungo le nostre rotte
sempre è il tempo di sterrati e cave
il divampare del nulla:
ma per scaglie di luna
nel lutto delle foci salivano
acque e acque
la pioggia era il mondo
un lungo lavacro.
tre
sui fili dell’alta tensione
telegrafiche notizie dagli uccelli:
un pò di primavera
e l’ago del brunire nelle sere dei laghi
uno spostarsi d’aria e folaghe
nel cielo che muta
e mai muta.
quattro
con margherite e cagliare di latte costruivo il mattino
andavo alle fabbriche con testa di ariete
e martelli — nella mente
un orso polare mi dormiva nei recinti
la mente aveva rami nudi
latravano i miei cani
in un giardino sepolto.
cinque
ai giardini pubblici guardavo il cavallino di legno
e le altalene dov’era volata la vita
che mancammo — è così che ci perdiamo
— il ricordo è così —
illumina lo spazio in cui nessuno ci conosce.
sei
muoiono gli altri:
noi guardiamo
un cielo azzurro
chiedendo perché
(nelle mani di un bambino
il disegno di un ramo —
un perimetro di foglie
ci inscrive).
sette
lungo i canali delle rogge ci perdevamo
o accumulando copertoni d’auto in garage
le cose da non buttare via
come erba e rose —
imbarcammo acqua sulle piccole scialuppe sui cucchiai
circumnavigammo le stanze
stranieri sui nostri letti non dormivamo
pagammo tranche di vita
finché somigliammo a uno specchio vuoto.
otto
divenimmo ragazzi
agili come giovani verghe
i corpi senza seme
e ami
non temevano
la morte
così nell’altissimo dolore dei torrenti
cogliemmo comete.
nove
in un ostello di Vienna
un abete ci ricordava i giardini
le trincee sul Carso
le stelle dei morti
sulle montagne —
qui un’imperatrice diventò celluloide
il Prater è una cartolina
con le altalene — così la nostalgia
non è un luogo
non ha luogo —
oh! Austria Felix passata nel camino
e giù per marciapiedi
dove gli ebrei pulivano con spazzolini da denti
gli sputi ariani
il perdono è qualcosa di ognuno.
dieci
in case diroccate lanciavamo i mandarini in cielo
non c’erano i tetti lì sopra ma una storia
guarda un’altra storia
nel cominciare del bene:
i miracoli
sulle magliette non avevano nome
si perdeva tra i rami qualcosa
ma bastava la vita
quel che rimane.
undici
la fine della luce sarà l’eco di qualunque cosa.
portiamo cappio e acqua in un tempo che ci sopravvive.
ci restano le lenzuola bianche dove l’afa ci assedia. i nostri pensieri camminano con l’estate, hanno radici nei passi, allungano la terra, il nome, la solitudine com’è.
dodici
ci resta questa pianura dove ogni ora è un’ora di polvere ogni ora è conclusa.
è il divenire del cielo nel dolore dei volti.

Nota biografica:
Nadia Agustoni (1964) scrive poesie e saggi. Suoi testi sono apparsi su riviste, antologie, lit-blog. Del 2020 è Gli alberi bianchi Gialla oro Pordenonelegge-Lietocolle, del 2017 è I Necrologi La Camera verde, del 2016 è Racconto Aragno, del 2015 Lettere della fine Vydia editore premio ex equo Bologna in Lettere Interferenze 2017, e la silloge [Mittente sconosciuto] Isola Edizioni; del 2013 è il libro-poemetto Il mondo nelle cose (LietoColle). Una silloge di testi poetici è nell’almanacco di poesia Quadernario (LietoColle 2014). Nel 2011 sono usciti Il peso di pianura ancora per LietoColle, Il giorno era luce, per i tipi del Pulcinoelefante, e la plaquette Le parole non salvano le parole, per i libri d’arte di Seregn de la memoria. Del 2009 la raccolta Taccuino nero (Le voci della luna). Altri suoi libri di poesie, usciti per Gazebo, sono: Il libro degli haiku bianchi (2007), Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Quaderno di San Francisco (2004), Poesia di corpi e di parole (2002), Icara o dell’aria (1998), Miss blues e altre poesie (1995), Grammatica tempo (1994). Vive a Bergamo.
ph Dino Ignani
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