Recensioni
Ciaran Carson
Ciaran Carson, Belfast 1948
Prima lingua vince nel 1993 il T.S. Eliot Poetry Price, istituito proprio quell’anno dalla seconda moglie di Eliot.
L’Irlanda è allora un crogiuolo di significanti dove l’Inglese viene a dominare e nello spazio tra il sotto gaelico e il sopra si fa un’altra cosa che è possibile pensare.
Nel laboratorio di Hobsbaum, dal 1962, il Belfast group, vediamo nascere il giovane Carson. Il primo Carson, il durante Babele, l’hiberno-english, che QUI decide di comporre un filato borgesiano dove han voce Ovidio, Rimbaud, Baudelaire, O’Riordàin, i metamorfici.
Incistarsi in quello spazio traverso dove nessuna cosa è veramente quella ferma davanti, e aggiungerci interi agglomerati di funzioni secondarie, s-varianti, come a rifare dall’inizio quello che ha fatto l’antico embrione ambiguo che si è conosciuto male.
E infatti questa Prima lingua (Del Vecchio editore 2011, traduzione Federici Solari/Flabbi, unica italiana, le equivalenze dinamiche – reel i – la canzone del Piave) parla di sé e delle sue complicate sorelle (alessandrino!) e non si dimentica mai ripetendo nel suono (omofonia cose/nomi) che fa quella lallazione pristina in versi lunghi, interruzioni brusche, girandosi di spalle.
Per poi costruire un edificio piuttosto preciso che interroga il mondo dato con domande riconoscibili.
Bella l’analisi su Alfabeta2, giù giù fino alla nave galera.
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