Mabon

Mabon è, nella ruota dell’anno, la festività legata all’equinozio d’autunno, chiamata anche Harvest Home, la Feast of the Ingathering, Meán Fómhair o Alban Elfed.

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Nella religione celtica Mabon (“giovane uomo” o “figlio divino”), dio gallese della giovinezza, della vegetazione e dei raccolti, era figlio di ap Modron e di Mellt. Era un dio della caccia, il cui culto era diffuso in tutta la Britannia settentrionale. Il nome deriva dal dio celtico Maponos: secondo la studiosa Miranda Green è associabile all’Apollo Maponus delle iscrizioni romano-britanniche, che lei definisce “Apollo celtico”, il cui culto era praticato dai legionari romani di presidio al Vallo di Adriano. Alcuni lo ritengono accostabile a Demetra o a Persefone a causa delle forti analogie tra loro. Una figura equivalente è il dio irlandese Ængus.
Nella Ruota dell’Anno Mabon è uno degli otto sabbat che si celebra nell’equinozio d’autunno. Si tratta di una festività di ringraziamento per i frutti della terra e sottolinea la necessità di dividerli con gli altri per assicurarsi la benedizione del Dio e della Dea durante i mesi invernali.

L’equinozio d’autunno è uno dei periodi critici dell’anno: il sole è nuovamente crocifisso sull’equatore celeste, ma in senso inverso rispetto a quello primaverile perché passa dall’emisfero settentrionale dello zodiaco al meridionale: scende agli “inferi”. Cristianamente potrebbe simboleggiare la morte e la discesa agli inferi di Gesù, ma la liturgia non ne ha ricavato alcun simbolismo, volutamente poiché nell’antichità era un periodo molto sentito e ci si è voluti discostare di netto.
Tuttavia, nei giorni precedenti si celebrano due feste che si ricollegano al simbolismo equinoziale: l’Esaltazione della Santa Croce e la Beata Vergine Maria Addolorata.

Tecnicamente, un equinozio è un punto astronomico e, a causa del lento ruotare della terra sul suo asse, la data varia a seconda dell’anno. L’equinozio autunnale ha luogo quando il sole incrocia l’equatore nel suo viaggio verso sud, e il giorno e la notte sono di ugual durata. Fino a Mabon le ore di luce erano state maggiori, ora saranno maggiori le ore dal tramonto all’alba successiva.
Mabon è nel mezzo del periodo del raccolto, è un momento di equilibrio.

In epoca ellenistica l’equinozio autunnale, come quello primaverile, era consacrato a Mitra-Sole, considerato demiurgo e kosmokrátor, signore e animatore del cosmo, la cui funzione era simboleggiata da una sfera che teneva in mano; ma anche mediatore cosmico e quindi, per tanti aspetti, analogo a Hermes-Mercurio. Nell’Antro delle ninfe Porfirio spiegava che, come demiurgo e signore della generazione, era collocato nel cerchio equinoziale. Quella collocazione indicava la funzione mediatrice tra i princìpi luminoso e tenebroso, simboleggiati dai sei mesi in cui prevaleva la luce e dai sei dove la notte era più lunga del giorno.
Nell’iconografia dei mitrei, sotterranei e a forma di grotta, il dio era accompagnato da due dadofori, i portatori di fiaccola. Uno era Cautes, che compare sul lato sud del mitreo con la torcia alzata e lo sguardo rivolto alla scena della tauroctonia, e simboleggia l’aspetto primaverile di Mitra-Sole. L’altro è Cautopates, che compare sul lato nord del mitreo con la torcia abbassata e un atteggiamento di pena e tristezza, e simboleggia Mitra come Sole autunnale, e viene associato a un albero in frutto che significa la produttività giunta al suo culmine e alle soglie del deperimento.
Molte funzioni equinoziali e mediatrici di Mitra-Sole-Hermes vennero ereditate da San Michele, la cui festa cade in Occidente nel periodo successivo all’equinozio, ma ad esso analogo simbolicamente poiché segna nelle campagne la fine della stagione luminosa e calda: al 29 settembre, che originariamente a Roma ricordava la dedicazione all’arcangelo di una basilica del V secolo al settimo miglio della via Salaria, su una collina detta fino al XIV secolo “Mons sancti Angeli”.

Molti proverbi legati alla festa già ne denunciano la funzione: “Per San Michele il caldo va in cielo”; “Per San Michele ogni straccio sa di miele”, ovvero gli ultimi frutti, in particolare l’uva, che sono pronti per il raccolto.
Si dice anche “far San Michele” per traslocare o partire: la locuzione è nata dalla consuetudine di far scadere i contratti di locazione nel giorno dell’arcangelo.

Come ogni festività legata a un periodo critico, ovvero di trapasso dell’anno, il 29 settembre indica, secondo la tradizione popolare, le condizioni meteorologiche dei mesi successivi: “Quando l’Angiolo si bagna l’ale, piove sino a Natale”; “El de’ ‘d San Michèl s’ l’è bon temp, i puarèt i starà aligrament”: se a San Michele è bel tempo i poveri staranno allegramente, ovvero non soffriranno il freddo fino all’inverno.

Queste sedimentazioni pagane si collegano alla figura del santo il cui culto risale ai primi secoli, quando furono costruiti numerosi santuari, i Michaelion, nei luoghi in cui egli aveva compiuto miracoli. Dall’Oriente la venerazione per l’arcangelo giunse in Occidente irradiandosi dalle zone a influsso bizantino.
Il santuario più celebre, quello di San Michele sul Gargano, ex oracolo pagano, fu costruito accanto a una grotta dove, secondo la leggenda, l’arcangelo sarebbe apparso più volte. Nei mitrei a forma di caverna si celebrava anticamente il sacro banchetto, commemorando quello mitico di Mitra con il Sole; e Mitra, si sa, era nato da una roccia.

Narra una leggenda che Elvio Emanuele, signore del Gargano, inseguendo un toro dei suoi armenti che era fuggito in una grotta gli scoccò una freccia che tornò indietro ferendolo. Allora San Lorenzo Maiorano (V-VI secolo), vescovo di Siponto, nei pressi di Manfredonia, ordinò tre giorni di digiuno, dopo i quali San Michele gli apparve in sogno dicendo che aveva eletto la caverna a suo santuario. Subito il vescovo e i fedeli si recarono in processione alla grotta e, non osando entrarvi, si limitarono a pregare sulla soglia, mentre canti angelici provenivano dall’interno.
Il seguito della vicenda giustifica la costruzione del santuario, che risale al VI secolo.
Nel 492 Siponto venne assediata dall’esercito di Odoacre. I pochi soldati visigoti di Teodorico che difendevano la città erano insufficienti a salvarla. Allora il vescovo chiese e ottenne una tregua di tre giorni, durante i quali ordinò di digiunare e di invocare l’aiuto dell’arcangelo. La terza notte, era il 29 settembre, Michele apparve al vescovo dicendogli che le preghiere erano state esaudite e che essi avrebbero vinto se avessero attaccato il nemico dopo la quarta ora del giorno, ovvero intorno alle nostre dieci del mattino.
E così fu: quando i sipontini attaccarono, il Gargano tuonò scuotendosi fino alle fondamenta, mentre sabbia e grandine si rovesciarono sulle schiere di Odoacre, che fuggirono terrorizzate.
Dopo la vittoria i sipontini non osavano ancora entrare nella grotta per consacrarla. Nel 494 il vescovo entrò nella grotta seguito dal popolo: vi era l’impronta di un piede infantile impressa su una pietra. Confermava la presenza dell’angelo bambino.
La leggenda, apparentemente assurda, cela un tentativo di esorcizzare il culto mitraico diffuso nella zona (basti pensare ai sacelli ipogei di moltissime cattedrali pugliesi o alle chiese ipogee tuttora esistenti), infatti, come narra il mito, Mitra inseguiva un giorno un toro che correva per le praterie: una volta raggiunto e afferrato per le corna, lo aveva cavalcato e condotto in una caverna. Ma l’animale era riuscito a fuggire. Mitra, per ordine del Sole, si era gettato all’inseguimento e infine lo aveva sacrificato: da quel toro primordiale sarebbero nati gli animali utili, tutte le erbe e le piante salutari.

La chiesa-caverna, presso la quale fu costruita un’abbazia basiliana, divenne nel VI secolo il santuario nazionale dei Longobardi, che cent’anni dopo, vinti i Bizantini nel 647 nei pressi di Siponto, sul mare prospiciente la grotta, ne attribuirono il merito a San Michele e cominciarono a festeggiare la sua apparizione sul Gargano.
Dalla Puglia il culto s’irradiò, grazie ai Longobardi, in Lombardia.

L’arcangelo aveva conquistato anche i Celti e gli Anglosassoni: in Francia e in Germania i primi santuari furono costruiti su templi dedicati a Mercurio, che a sua volta aveva sostituito un dio locale: una collina della Vandea si chiama ancor oggi Saint-Michel-Mont-Mercure e in Germania, a Bad Godesberg (“bagno del castello del dio”), presso Bonn, una sua cappella ha sostituito un altro tempio dedicato al dio dei calzari alati.
Il celebre santuario di Mont-Saint-Michel-au-Péril-de-Mer in Normandia fu voluto a seguito, dice la leggenda, di un sogno in cui si diceva di costruire una chiesa là dove si sarebbe trovato un toro nascosto dai ladri. In realtà il santuario, riproduzione della cripta garganica, è stato fondato dai monaci irlandesi giunti nel VII secolo dalle chiese celtiche e anglosassoni della Gran Bretagna. La straordinaria popolarità dell’arcangelo presso i Celti è dovuta a un processo sincretistico di trasferimento di attributi e funzioni da una divinità precristiana. Tra i popoli germanici il processo è ancor più evidente perché i missionari sostituirono i templi di Wotan e Thiu (Odino e Thor) con i suoi santuari. Basti pensare che oggi è difensore della Germania.
 

Un’ulteriore prova che conferma l’analogia tra le funzioni di Michele e quelle di Mitra-Hermes è il ruolo di psicopompo, ovvero di conduttore di anime al cielo. Già gli Ebrei credevano che gli angeli avessero la funzione di condurre le anime al giudizio divino. I rabbini attribuirono a Michele arcangelo questa funzione, così egli divenne lo psicopompo per eccellenza.

L’idea di una festività per il raccolto non è nuova: l’uomo ha festeggiato per millenni, basti pensare all’antica Grecia in cui si festeggiavano gli Oschophoria, giornate per celebrare la raccolta dell’uva per il vino, che ricorda l’Oktoberfest che in realtà inizia appunto l’ultima settimana di settembre, epoca di gran festa e divertimento.
Sebbene la tradizionale festa americana Thanksgiving cada in novembre, molte culture vedono il secondo momento del raccolto (dopo Lammas, il 1 agosto) durante l’equinozio d’autunno. Dopo tutto, nei tempi antichi era proprio questo il momento in cui si capiva quanto si era raccolto, come gli animali erano ingrassati, se l’inverno sarebbe stato duro o meno. Il Thanksgiving anticamente era festeggiato il 3 ottobre, e a livello agricolo ha molto più senso.

Una pratica tradizionale delle culture pagane nelle giornate di Mabon è passeggiare attraverso luoghi selvatici, raccogliendo baccelli, castagne e piante secche, che poi vengono utilizzati per decorare la casa. I cibi tipici di questo periodo sono i frutti del tardo raccolto (cereali, frutta, verdura, grano, zucchine al forno e fagioli).

La parola “equinozio” sta per il latino medioevale equinoxium “uguaglianza di notte e giorno”, dal latino æquinoctium, usato solitamente al plurale, dies æquinoctii “gli equinozi”, da æquus “uguale” + nox (genitivo noctis) “notte”.

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È interessante dare uno sguardo a uno dei calendari meno conosciuti ma di enorme valore utilizzato nei paesi scandinavi, in particolare in Norvegia, di cui rimangono alcuni esemplari su osso di balena o su legno conservati al Museo Nazionale di Oslo: il primstaven o primstav.

Prima che ci fosse una pubblicazione massiva di calendari la gente aveva bisogno, in qualche modo, di segnare i giorni dell’anno. Nell’Europa del nord, in particolare nei paesi germanici (inclusa la Gran Bretagna) una volta erano molto diffusi i calendari perpetui. In Norvegia erano in uso ancora nel XVIII secolo. Chiamati clog almanacs in inglese e primstav, rimstock (dall’antico norreno rimur, “calendario”), messedagstav e runekalender nelle lingue nordiche, sono molto spesso calendari solari, e così seguono l’antico calendario giuliano. Alcuni hanno segni in più che permettono il calcolo di festività basate sulla luna (come la Pasqua).

L’attuale calendario (gregoriano) entrò in uso intorno al 1700, ma i primstaven erano ancora realizzati per la forte tradizione che rappresentano.

Si pensa che la parola primstav derivi dal termine latino utilizzato per indicare la luna nuova – Prima Lunæ -.

La maggior parte dei primstav assomigliano a dei righelli con la metratura del sistema inglese da un lato, e il sistema metrico dall’altro. Rispetto ai righelli però i primstav fanno uso sia di un lato che dell’altro del righello. E ora scopriremo il perché.
Ogni lato del righello riporta sei mesi, ovvero metà dell’anno. Un lato, chiamato lato invernale, va dal 14 ottobre al 13 aprile. Il lato estivo copre il resto dell’anno.
I primstav sono più grandi dei righelli, mentre il loro spessore è proprio come quello dei righelli in legno. La maggior parte dei primstav antichi erano realizzati in osso, sebbene ce ne siano alcuni di ottone.
Una parte del righello era decorata e serviva come “manico”; molti avevano buchi per appenderli al muro.

Alcuni studiosi ritengono che questi calendari siano originari di epoche tribali pre-cristiane. Le tribù germaniche possono averli utilizzati per tener traccia delle festività, di date importanti a livello agricolo come la semina, il raccolto, la macellazione, il periodo di buona caccia e buona pesca, così come le occasioni di incontro per la tribù. Probabilmente essi utilizzavano le antiche rune insieme ai simboli.
I più antichi primstav oggi ritrovati risalgono al 1200, dopo la cristianizzazione della Scandinavia. A volte chiamati runestavs, non hanno però ovviamente rune su di essi. I simboli sono utilizzati per segnare i giorni dei santi, e sono stati adattati per recuperare spazio e rendere le incisioni su legno più semplici. Nella tradizione folklorica queste giornate erano associate con la natura e con le date importanti per il lavoro agricolo. Quali merkedager fossero segnati e quali tradizioni fossero seguite variava da luogo a luogo.
Alcuni giorni hanno nomi con la forma “nome”-s-ok. Ok è una resa popolare del termine latino vagilia (in norvegese vaka e in inglese watch o wake). Vaka divenne oka che si trasformò in ok o uk. La s è una lettera di legame spesso utilizzata nelle lingue scandinave per formare parole composte, ed è anche un segno denotativo del possesso (come il genitivo sassone in inglese). Così il 29 giugno, dedicato a San Pietro (Per), è Persok.

Quanto ai simboli: la maggior parte dei santi hanno uno o più simboli associati. Questi venivano spesso semplificati per essere utilizzati come segni sul primstav. L’utilizzo popolare ha aggiunto un significato folklorico ai loro originali significati cristiani, così abbiamo la trasformazione della bilancia utilizzata per pesare l’anima dopo la morte in un simbolo per un giorno di mercato regionale. Una croce piccola o una croce a metà al posto di una intera indicava che in un dato giorno si festeggiava una festività meno importante. Il significato di alcuni simboli è andato perduto. Molte giornate hanno previsioni del tempo associate.
Le informazioni che seguono su ogni merkedag derivano da fonti danesi e norvegesi sul primstav. La maggior parte di esse, ovviamente, ha origine nel folklore e alcune in tradizioni cristiane “rivisitate”.
Di seguito i merkedager più comuni per l’autunno utilizzati nei primstav in Norvegia. Ogni merkedag è accompagnato dai suoi nomi locali e da uno schizzo di almeno uno dei suoi simboli.
Negli antichi calendari lunari utilizzati nel Nord c’erano 13 mesi, e i punti in cui i mesi si dividevano erano diversi dal nostro calendario moderno. Settembre ha parte di un mese e parte di un altro: il primo, Tvimengda o Tvimånad iniziava in agosto e terminava il 20 settembre, data appunto dell’equinozio. Il secondo, che si estendeva fino a ottobre, era chiamato Haustmånad, l’autunno o il mese del raccolto (Haust, in norvegese e islandese, sta per “autunno”; månad sta per “mese”).

Settembre

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1 – il giorno di san Egedius, Kvernknarren, Yrjansmesse: (Egedius = Egidius = Giles) – simboli: macina, mezza croce, croce, foglia, ramo, o una trappola. – Questa giornata prediceva la disponibilità dell’acqua per il mulino durante l’inverno. Se il ruscello era ghiacciato deponeva male per macinare il grano da quel raccolto (kvernknarren è il suono che fa un mulino (kvern) quando macina). Se quel giorno pioveva era buon segno. Sant’Egidio, che fondò un monastero in Provenza, era il santo patrono degli arcieri e proteggeva dalla siccità. Questo è uno dei giorni in cui gli orsi raccoglievano materiale utile per riempire le loro tane.     

5 – Gamle barsok (vecchio “barsok”) – simbolo: una piccola croce. Alcune aree celebrano questa giornata il 2 settembre e la chiamano “il terzo barsok”. Ci sono altri due barsok durante l’anno: uno è il 24 agosto, per san Bartolomeo (molte fonti dicono che ci sono tre barsok in tutto, ma non c’è nessuna evidenza di una terza data. Evidentemente non era così importante). Entro questa giornata tutte le mandrie devono essere portate al coperto, perché questo è il periodo in cui il popolo fatato (huldufolk) si spostava nelle case di montagna. Non si voleva che le fate utilizzassero le proprie mandrie, così come non si voleva interferire nelle loro vite.

8 – Marimesse siare, Marimesse om hausten, Vår Frues dag (la tarda messa di Maria, la messa autunnale di Maria, il giorno della nostra Signora) – simboli: cesoie per tosare le pecore, un albero, due querce, una corona, una testa con la corona, o una “M”. In questo giorno si celebra la nascita di Maria. Oggi si tosano le pecore.

12 – Fingergullmesse (la messa di Goldfinger – “dito d’oro” -) – simbolo: un sole a metà. In onore di una reliquia – alcune gocce del sangue di Cristo – che furono portate alla chiesa di Cristo a Nidaros (oggi Trondheim) nel 1165. Il reliquiario era a forma di dito e in oro. Questa festività era osservata più che altro nell’area di Trondheim. In altre aree questo era il giorno per tosare le pecore.

14 – Krossmesse om hausten, Opphøginga av krossen(messa della croce o sollevamento della croce) – simboli: una croce grande o una gamba di legno. In memoria dell’imperatore Eracleo, che riportò la croce di Cristo al Golgota nel 629 dopo il suo furto un anno prima. Questo giorno segna l’inizio dell’autunno. Tutti i recinti devono essere disfatti, e da oggi tutti gli animali devono essere al coperto.

21 – Matteusmesse, Mattismesse om hausten (la messa d’autunno di san Matteo) –simboli: un’ascia, un montone, un pesce o un cavallo che corre. San Matteo – l’esattore delle tasse – fu ucciso in Persia con un’ascia. A Romerike questo giorno è chiamato Mattias lauvriver (Matteo “colui che strappa le foglie”/“lo squartatore”), in quanto spesso è una giornata così ventosa da far cadere giù dagli alberi le ultime foglie. Il foraggio va raccolto per l’inverno. E anche in questa giornata, di nuovo, gli orsi sono impegnati nel raccogliere muschio ed erba per le loro tane invernali.

29 (o 24 o 30) – Mikkelsmesse o Mikeli (Michaelmass– “messa di san Michele -) – simboli: scale, lur (“lungo corno”), una testa aureolata, un trombone di arcangelo, o ali – per onorare l’arcangelo Michele, che guida gli angeli per combattere le forze del male. Si diceva che Michele misurasse il valore dell’anima di una persona con la bilancia. Questa è una festa importante. Si mangiano i dolci di san Michele e altri cibi speciali, e si termina il raccolto. In molti posti oggi si tiene il mercato – un’interpretazione popolare del simbolo della bilancia -. Era il giorno per cambiare i dipendenti, spostarli, e pagare i prestiti. Oggi molte persone festeggiano anche il raccolto pre-natalizio o una sorta di festa del ringraziamento. Questa notte tutti gli animali devono essere sotto un tetto altrimenti “essi vedranno cosa accadrà loro nell’arco dell’anno seguente”. Dopo questa giornata, non si è più al sicuro per la neve.  
 

Ottobre – contiene l’ultima metà del vecchio mese del raccolto, e alla metà del mese l’antico “gormånad” (bocca che macella; gor è antico norreno per “sangue”) ha inizio, e con esso, la parte invernale del primstav.

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4 – San Francesco – simboli: croce a metà, croce e torre; in Svezia: un pesce, un chiostro, o una croce ed un libro.

7 – (o 9) Britemesse, Bruemesse (per St. Birgitta da Vadstena, Svezia) – simboli: un libro o una tavoletta, una casa, una o più frecce, anelli, la croce, o una corona. Birgitta (morta nel 1373) fondò un convento in Svezia. Nel Telemark e nel Setesdal il simbolo a volte era un albero, un cespuglio o ramoscelli di erica. La gente da queste parti credeva che questo fosse il giorno in cui l’orso cominciava a scavare la sua tana e raccoglieva l’erica per riempirla. Questo era anche chiamato Kåldagen (il Giorno del Cavolo); bisognava raccogliere i cavoli e conservarli per la stagione invernale. In alcuni posti in questo periodo c’è un po’ di tempo più caldo che viene chiamato Brittesommar.

9 – Dinesmesse (san Dionysos o san Dennis) – simboli: il bastone del vescovo, un pesce o una bandiera. San Dennis, il primo vescovo di Parigi, fu martirizzato nel 286. In questa giornata ci si aspetta un forte vento, che fa cadere tutte le foglie dagli alberi.

14 – Vinternatt/Vettradagen, Calixtusdag (giorno d’inverno/notte d’inverno, giorno di san Callisto) – simboli: muffola, guanto, albero senza foglie, tiara papale. San Callisto fu papa dal 217 al 222. Questo era il primo giorno del nuovo anno per gli antichi nordici, il primo giorno d’inverno, ed il primo di tre giorni che celebravano l’inizio dell’inverno. Segnava anche l’inizio del “lato invernale” del primstav. In epoca pagana le offerte di questo giorno davano il benvenuto all’inverno per assicurarsi un buon anno seguente. Si facevano diversi lavori casalinghi per assicurarsi buona fortuna e ricchezza. Adesso ha la meglio il tempo freddo, ed il tempo della giornata era la previsione per il tempo dell’anno (o inverno) seguente. In alcuni posti si cambiavano gli impiegati stagionali in questa giornata. Dopo questa giornata, i cavalli devono indossare campanelle da slitta.
 

Sebbene il nome Mabon sia stato creato da Aidan Kelly intorno al 1970 e venga oggi indicato come un “sabba minore” della ruota dell’anno, come la seconda delle tre festività pagane del raccolto (preceduta da Lammas e seguita da Samhain), è sicuramente una data importante che ci lega inesorabilmente al flusso dei tempi dalla preistoria a oggi. Quando rientriamo dalle vacanze pensiamo sia l’inizio di un nuovo anno e siamo pieni di speranze e aspettative, carichi di nuova energia e desiderosi di ricominciare al meglio.
Per farlo, e per augurarvi un sereno Mabon foriero di mesi a venire ancora più felici, ecco in dono due ricette antiche per la giornata e il periodo:

Zuppa di zucca e mele (per 5 persone)

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Ingredienti: una zucca media, preferibilmente violina; un cucchiaio di olio evo; una cipolla media, tagliata a pezzi; un porro (solo la parte bianca) a pezzi; una mela tipo Granny Smith a pezzi; tre tazze di brodo vegetale con poco sale; sale q.b.; pepe q.b.; 3 cucchiai di foglie di menta; latte vegetale (preferibilmente di avena) o altro brodo (opzionale)

Procedimento: riscaldare il forno a 190/200°. Tagliare la zucca per la lunghezza e rimuovere i semi e la polpa che li riveste. Sistemarla su una teglia con carta da forno e cuocerla finché non è tenera quando infilzata con una forchetta o uno stecchino (almeno 45 minuti). Una volta cotta, rimuovere dal forno e lasciar raffreddare.
Mentre la zucca si raffredda in una padella ampia far riscaldare l’olio su fuoco medio, aggiungere cipolla e porro e far saltare per pochi minuti finché la cipolla non è appassita. Aggiungere la mela e cuocere a fuoco medio per un minuto.
Svuotare la zucca e aggiungere la polpa in padella. Ridurre il fuoco, coprire e cuocere per 5 minuti, girando spesso. Aggiungere il brodo e portare a bollore con fuoco alto. Ridurre poi il fuoco e lasciar cuocere per mezz’ora circa. Rimuovere la padella dal fuoco e far raffreddare leggermente.
Versare la zuppa in un mixer e renderla vellutata. Se piace, aggiungere un po’ di latte di avena o brodo vegetale. Riscaldare a piacere prima di servire. Aggiungere un po’ di mela a tocchetti, foglie di menta, sale e pepe a piacere.

Anticamente per rendere più nutriente e corposa questa ricetta si aggiungeva un po’ di farina di ghiande o castagne.

Autumn in a glass!

Ingredienti: mezzo litro di succo di mela, mezzo litro di sidro di mele, 2/4 stecche di cannella, 6 chiodi di garofano interi, una tazza di zucchero di canna Mascovado bio, una tazza di zucchero bianco, 750 ml di vodka o alcol buongusto*

Procedimento: versare in una pentola ampia il succo di mela, il sidro, le stecche di cannella, i chiodi di garofano e entrambi i tipi di zucchero e portare quasi a bollore su fuoco medio. Ridurre il fuoco e coprire. Lasciar cuocere per circa un’ora. Lasciar raffreddare.
Filtrare la cannella e i chiodi di garofano e versare il liquore o l’alcol. Imbottigliare.
Servire caldo o a temperatura ambiente con una stecca di cannella e una fetta di mela nel bicchiere. Conservare in frigo.
*volendo utilizzare cibo selvatico potete utilizzare mele selvatiche, anche acerbe, e farne un centrifugato; radice di Geum urbanum in proporzione variabile; cinorrodi di rosa canina se al momento della preparazione del cocktail sono già mature.