Per quando arriva il trauma 2

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Logan February – traduzione Elisa Audino

Il ruolo dei traumi sulla psiche collettiva, oltre che su quello individuale, viene spesso sottovalutato.

Credo che una delle ragioni per cui sono un poeta sia che uno dei miei primi traumi ha avuto a che fare con il linguaggio, l’espressione e la verità. Come giovane nigeriano, sono cresciuto sentendomi senza voce. In una società iper-religiosa e che tende a discriminare in base all’età, è difficile parlare di ciò che ami, di quanto soffri, di come ti senti. Devi essere rispettoso, chiedere scusa per i tuoi errori. Questa si suppone sia la norma comunemente accettata, ma l’ho trovata così soffocante e difficile da accettare per il mio spirito. Perciò quando ho iniziato a scrivere poesie su Instagram, mi è capitato di seguire un poeta che aveva scritto un libro dal titolo ‘Learning to speak/Imparare a parlare’: quel titolo mi ha illuminato, come una metafora. Mi sono reso conto che avevo delle domande, dolore, desideri, fede e un futuro che dipendeva da tutto questo, che parlare e scrivere contava.

Il ragazzo Lolita

Il ragazzo Lolita cammina come un’ixora, un’ixora sottomessa. Il rosso che c’è in lui non è del tutto suo. E non è neanche così giovane, è semplicemente bello in modo nettarino. Innocente, dentro. Il ragazzo Lolita legge una poesia di Sylvia Plath – ora mangia gli uomini come il pane, sempre che gli paghino il pasto. Lui vuole rosé e riso cinese. Stanotte, in una stanza buia, il padre di qualcun altro lo disferà come un nodo. Il ragazzo Lolita sa bene come celare la paura. Questo paese lo costringerà a mangiare vetro, a bruciare i tabù fuori da lui.

Boy Lolita

Boy Lolita walks like half ixora, half succubus. The red in him isn’t all his own. He’s not even that young, just beautiful in a nectarine way. Childlike, on the inside. Boy Lolita read a poem by Plath – now he eats men like air, unless they’re paying for his food. He wants rosé and Chinese rice. Tonight, in a dark room, someone else’s father is undoing him like a knot. Boy Lolita knows how to hide fear well. This country will make him eat glass, to burn the taboo out of him.

Nell’introdurre le tue poesie a Bologna in Lettere, Francesca del Moro ha menzionato la parola ‘ossessioni’.

In effetti, l’ossessione è la forza trainante del mio lavoro, anche quando la sorgente e lo stimolo per l’ispirazione è il trauma. In poesia essere ispirati dalla passione, dall’ostinazione, da una certa voce interiore funziona, e a volte è divertente seguire un’ossessione per un po’ e ritrovarla nelle poesie in cui è stata sublimata a suo tempo. Ma non sono sicuro che siano il focus del mio lavoro. Più che altro, sono un modo per esplorare l’universo dentro di me e il mondo oltre me.

Non stiamo tutti cercando
di nascondere qualcosa,
di trafugare il tepore di una bestia?

Gli Stati Uniti, dove ora abiti, possono essere l’esatto opposto. E quelle ossessioni che citavamo hanno un ritmo che è funzionale in poesia. Ci riconnettono alla nostra parte più intima, quel sé che si può ritrovare quando si è alla guida di una macchina o in viaggio, ma anche in una certa poesia americana, che arriva a sua volta dagli spirituals, dalla poesia degli schiavi, dalle ballate.

In qualche modo, l’influenza della poesia americana contemporanea mi ha permesso di immaginare una sfera esterna di appartenenza anche se quell’appartenenza, per me stesso e per la mia poesia, è diventata più destabilizzante che mai, quando invece mi aspettavo l’opposto. Con il tempo, alcune risoluzioni sono riemerse. Mi succede spesso di tornare al nostro io più intimo che menzioni e mi chiedo se quel sé sia un manufatto pregiato che dobbiamo continuare a cercare, o se la sua rottura, la sua compromissione possa avviare nuove possibilità, dentro e fuori le nostre società.

Sul senso di appartenza una poesia su tutte: Invidia.

Invidia

La mia gente era solita fregiare se stessa
come segno dei propri antenati,
per onorare i progenitori.
Le mie cicatrici sono ampie abbastanza che un’intera
generazione può condividerle.

Io non so da dove vengo o provengo.
Credo che mia nonna fisserebbe la mia pelle per dire,
Ragazzo, tu non sei uno dei nostri
& schioccherebbe la sua lingua.

Voglio solo che le mie cicatrici significhino qualcosa.
Il mio corpo è un’altra terra nativa,
il mio nome è un desiderio mai avverato.

Ora butto una moneta calda dietro la lingua
dentro l’eco di un pozzo.
E vado via senza sapere
quanto ci ha messo per atterrare
o se non è atterrata per niente.

Envy

My people used to scar themselves
as a sign for their ancestors,
to honour their forebears.
My scars are wide enough for a whole
generation to share.

I don’t know where I begin or belong.
I suspect my grandmother would see my skin and say,
Child, you are not one of our own
& she’d click her tongue.

I just want my scars to mean something.
My body is another homeland,
my name is a wish that never came true.

I drop into warm coin beneath my tongue
into an echoing well.
I walk away, not knowing
how long it took to land
or if it landed at all.

Questi versi sono forse solo un lamento un po’ naïf, ma contengono anche qualcosa di generazionale. Vivere quest’epoca di iper-realtà, di desiderio digitalizzato, di movimenti tra frontiere e di lavoro tra fusi orari diversi, significa modellare se stessi in una costante tensione tra eccesso e mancanza, tra l’essere soddisfatti e privi di speranza. Per me, come persona e come poeta, questo elemento del contendere, tra identità, individualità e le loro contraddizioni, è stimolante: significa tentare di rappresentare con il linguaggio l’interezza del sé.

Logan February è un poeta nigeriano non binario, compositore e studente di scrittura creativa alla Purdue University. I suoi testi sono comparsi su The Guardian Life, Dazed, The Rumpus, Lambda Literary, Washington Square Review, Africa In Dialogue e altri. La raccolta In The Nude, pubblicata con la casa editrice Ouida Books diretta da Lola Shoneyin, ha vinto nel 2020 il premio ‘The Future Awards Africa Prize for Literature’, uno dei riconoscimenti più importanti per i giovani nigeriani.

Nell’immagine: Logan February, fotografia di Weiji Wang