Approfondimenti
Cristina Pasqua
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Mara aprì la bocca e ne uscì il sonno, il pensiero si fece becco e dal becco uscì una melodia straziante. Le parole, anche le più semplici, erano prive di consistenza e peso, liquefatte di burro colavano di latte. Era buio inverno quando spalancò la finestra e i pensieri si fecero piuma. Strinse le labbra e contò il tempo di un suono diverso, brillante, luminoso. Non era di parola, era tremulo e bisbiglio, gola e ventre, poco più. Rimase così, in bilico sulla ringhiera, fino a che si fece giorno.
senzatitolo, inedito, metà|morfosi, dicembre 2023
cartone-facciata inv(o)ce
La metamorfosi di Scilla si prese il tempo necessario. Nel dispiegarsi e nella durata si leggeva quanto fosse definitiva e senza ritorno.
Era nel letto a gennaio quando si era passata una mano sulla coscia e aveva notato un ispessimento della pelle. La stessa sensazione si era ripresentata davanti allo specchio. Uno strato superiore di derma si era impadronito di ampie porzioni di corpo, costringendo Scilla a occultare collo braccia e gambe come meglio poteva. Era marzo inoltrato, quando nonostante l’inizio della bella stagione, non aveva rinunciato al dolcevita, alle calze spesse e alle scarpe chiuse.
Stessa sorte si era abbattuta sul pensiero, soprattutto sul verbo, che subì una brusca virata, a modo suo una mutazione anche quella. Senza filtri, senza un registro, le parole andavano a gambe all’aria, erano pensiero non pensato, erano spontanee, facevano male.
Si vuole sedere, signora?, aveva chiesto un giovane sull’autobus. Lei l’aveva morso, gli aveva afferrato il braccio e conficcato i denti nel polso. Il giorno dopo la punta della lingua si era disgiunta, due parti separate, ciascuna con il proprio gusto e vocabolario.
L’alimentazione si ridusse a poche cose liquide. Scilla non poteva assumere cibo in altre forme. Non riusciva più a masticare e le era impossibile pensare di cibarsi di pezzi di piccole dimensioni. Mandare giù intero sembrava essere l’unica strada praticabile ma non se la sentiva. Di notte sognava il verbo deglutire. Un allenamento in cui riusciva a fermare il boccone tra i denti e, con un colpo di lingua, ingoiare, il gonfiore esterno sul collo la traccia del passaggio del bolo. Inevitabile fosse dimagrita, le ossa si erano afflosciate, come conservate sotto salamoia per anni o a bagno nell’aceto. Svuotate e molli, sostenevano sempre meno. Stare in piedi aveva perso senso, era diventato urgente e necessario il contatto diretto con le superfici. Scilla si sdraiò sul pavimento, strinse le braccia lungo i fianchi e tese bene le gambe, così unite e serrate da sembrare una.
Era d’agosto, in estate, alla fine della giornata, nell’ora in cui partivano gli irrigatori nei campi e la luce si increspava d’acqua, c’era ancora tempo per il buio. L’edera si era mangiata il muro ed era arrivata fino al davanzale. Avviticchiata alle pareti della casa, si spingeva su, s’aggrappava alla ringhiera. Erano le sette passate quando Scilla spostò i mobili, si liberò dei vestiti e tracciando due grosse curve a S strisciò fuori dalla stanza abbandonando per sempre la casa.
s di serpente (inedito), metà|morfosi, ottobre 2023
cristina pasqua pubblica Diciassette (Odradek Edizioni, 2001), fughe (pièdimosca edizioni, 2023), forasacchi (pièdimosca edizioni, 2024). È presente nelle antologie multiperso (pièdimosca edizioni, glossa, 2022), L’ordine sostituito (déclic, Perugia, 2024) e online. Editor freelance, vive e lavora a Roma.
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