il movimento degli astri non tiene conto di quello che avviene sulla terra. una luna può impiegare un tempo imprecisato a entrare in asse col sole, oscurarne la luce e dare modo agli umani di poter finalmente riaprire gli occhi. l’imponderabile ha la meglio sul conoscibile.
così accadde che il ragazzo, transitato da hotel dayuse meno squallidi del previsto e per poco tempo curato dalle mani sapienti di chi distrattamente ne ha sconsacrato il corpo – quel corpo, tempio abbandonato da troppo tempo, custodito fino al ridicolo, amplificatore di rinunce, ha persino rischiato di essere violato, nell’eccessiva fiducia di un abbandono – ricollegasse una trasmissione interrotta, bacino di coincidenze e parentele emotive.
il movimento degli astri, dicono, si può prevedere, ma viene tanto più facile retrospettivamente. così la luna piegava la sua traiettoria, come prototipo finalmente funzionante del modello migliore di navicella spaziale – take me anywhere, i don’t care i don’t care i don’t care – canteresti per me? una playlist lunga mesi, forse anni, il ragazzo passa in rassegna tutto ciò che non ha mai potuto o voluto ascoltare, alcuni passaggi sono riconosciuti. il dolore in avvicinamento, una nuova possibilità per un’isola vulcanica, tidale o ferdinandea di riemergere, consentitegli l’attracco.
il movimento degli astri condiziona il comportamento, il ragazzo non scivolerà nella logica del possesso, la luna appartiene a un sistema, il ragazzo non intende turbarlo, un esercizio di disciplina.
abbiamo novità? credo tu mi sia mancato anche prima, anche in un altro universo, ti amerei fino a che non mi esplode il cuore. cadono le bombe su di noi, sui nostri congiunti, cadono le stelle, i muri, le ipotesi, le idee preconcette. se ti tenesse distante dai pensieri tristi, resterei costantemente in attesa di te, mi dai un bacio? cadono le bombe sulle nostre città non così distanti, inevitabile uno sguardo all’orario dei treni, i primi calcoli inconsapevoli.
i miei occhi sono disarmati ma pretendono il disarmo, una richiesta immediatamente esaudita.
la marea, il crescendo: farai quello che ti dico, anche se cerchi di opporti – immagini di tempeste elettriche, una carezza, un bacio che non sarà interrotto da nessun fortunale – apri quelle gambe, voglio vederti indifesa e terrorizzata – sei al sicuro come non mai – sarei disposto a schiaffeggiarti, ti afferro i capelli, prendo tutto, il mio bisogno di violarti in deroga a ogni legge morale – voglio restare qui per sempre, dalle mie labbra nasce il sollievo – la pressione di un glande glorioso al varco, entro nel tuo universo più intimo, dimenati pure, urla ma purtroppo non ti sentirà nessuno – cadono le bombe dal mio petto, palle di cannone come briciole, il ragazzo non parlerà del futuro.
il movimento degli astri non tiene conto delle possibilità. un festival, un raduno, un evento è sempre irrilevante, eppure qual migliore occasione per lasciarti agganciare le caviglie dietro la mia schiena: sono stata da lui, era tutto sbagliato; ho passato la serata con lei, era tutto sbagliato. piccoli errori di valutazione, sbagliato è il sistema di riferimento: resta con me ancora qualche minuto. chi ti ama ha sempre ragione, chi ti sfiora deve essere un semidio, anche i miei natali sono nobili, sai? c’è stato un tempo in cui nel tempio del ragazzo si celebravano i rituali più importanti, ora non si sente più neanche una canzone. canteresti davvero per me?
il movimento degli astri non tiene conto dei cambi di stagione, lo so che non parli mai del tempo, non dire proprio nulla, anche tu hai bisogno di baciarmi? ho avuto bisogno della tua voce e non va bene. ho bisogno di te e non va bene. esserci come opzione dolorosa non va bene. allora faremo un altro tentativo, un festival, un raduno, un evento è sempre irrilevante, è per te che mi metto in viaggio, mia luna, qui al fronte il ragazzo resiste per amore di tutti. canteresti per me?

il ragazzo mai avrebbe creduto all’ultima occasione, all’ultima opzione, a trentacinque anni cos’altro avrebbe potuto mai avere ancora l’universo in serbo per lui? nessuno è così ingenuo, eppure. eppure le bombe hanno fatto saltare i codici linguistici, le parole costrette in spazi troppo angusti – cosa accadrà dopo aveva chiesto lei, tra la paura e la speranza, solo la pura verità aveva risposto lui – e allora da quelle labbra di bambina, dopo l’inferno della notte, parole come fiamme, tanto l’apocalisse giungerà comunque, mi sono innamorata di te dopo che hai trovato la forza per macinare i giorni e giungere fino a qui, fino a chiedermi se ero felice. l’ufficialità non è mai un dettaglio.
dunque, per l’ultima volta, nella speranza di evitare una morte troppo atroce, rendendola ancora più atroce, ti amo anche io, l’ho cantato in sala prove, finalmente senza sbavature, tra i paradossi e il ridicolo del caso, con un accompagnamento improvvisato ma efficace. mi riabilito per qualche secondo come uomo e come amante, mi concedo un ultimo bagliore, in tuo onore. mi sarei fatto altissimo, come i soffitti scavalcati di cieli, dal mio viso diresti che avrei ribaltato la nave, ma chi sono io per competere con i miei fallimenti? mi sarei fatto bellissimo, infine, per restare all’altezza della tua immagine, per portarti o farmi portare via. buona, ammirevole Molly, vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sapesse che sono cambiato per lei, che sono guarito dai miei fantasmi, che ho spostato la mia malattia precedente e l’ho rimpiazzata con lei, sana e integra, il prototipo funzionante del modello migliore, diamante rosa, arto mancante. che ho sovrascritto un tormento colpevole con un rimpianto di cui essere orgoglioso, col vanto di aver saputo infine scegliere, senza poter scegliere.
il ragazzo mai avrebbe creduto che nello sfibrarsi di una notte sarebbero giunti gli ultimi rintocchi, che nella lotta per la sopravvivenza non esiste gerarchia. per un’ora d’amore rivedete il 41-bis, concedete all’ergastolano moribondo di abbracciare l’ultimo caro, l’ipotesi della prosecuzione della specie, un senso prima dell’estinzione e da qui in avanti sospendiamo la legge dell’ineluttabilità del dolore per almeno uno di noi. tieni sempre le antenne puntate verso di me, ascoltami respirare, annota le variazioni del ritmo, dammi un significato emodinamico. sai qual è il tuo nome per me? sai che non so neanche come si pronunci il tuo cognome? in quegli occhi planetari, circondati dalle stelle che hai scelto, che ogni giorno rinsaldano la tua posizione nell’universo e che mi avresti donato, rivedo le mie possibilità, le mie ambizioni da adolescente, la gioia di essere funzionale. ti amo oltre ogni prefigurazione.
ancora un baluginio: ti regalo un amico, un vincitore dell’universo che ti somiglia, chissà che non possa indicare una strada al ragazzo, chissà se farà in tempo, prima del buio, prima del termine della notte, dove l’unica verità è un battito che cessa e che tutti assolve.

dunque è sempre attraverso una porta molto stretta che ci è concesso passare, diventare amorali in nome di grandi e nobili concetti astratti, la libertà, l’identità, ciò che dobbiamo ad altre astrazioni, la nostra anima, il nostro cuore. l’ipocrisia non è un’opzione, cerchiamo tutte le attenuanti del caso, cerchiamo di argomentare. da questa parte del mondo il ragazzo si spegne per due giorni, riconsidera il vuoto e perde l’appiglio, per aver causato di nuovo troppo dolore, per aver evocato l’abbandono, per aver sofferto la fame, per non poter essere mai garante di nessuna autonomia locale. dunque se vado via, cosa sarà di te? e di me? rinuncerò io, ancora una volta, ma tu tieniti in piedi, sii regolare con le medicine e cercherò di essere più presente, di far ripartire l’apnea. un’altra ipotesi di vita mi ha rapito, un altro universo (il richiamo si sarebbe presto fatto coro, il canto come snodo, la voce come canale).
dunque ancora una notte plutoniana, il dolore ti ha stravolto, orfeo e per quanto sia necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno al ragazzo pare che si stia esagerando. sia dunque la fame, di nuovo. è vano nascondersi nel conforto della pornografia, nel desiderio di un’espiazione – assaggia il mio seme dalle mie stesse labbra – e di un unico possibile atto di sottomissione. e ancora, una miscela pericolossima di parole sbagliate, paroxetina e alcol rinchiudono una ragazza devota in un bagno di un locale sui navigli, non c’è identità senza l’amore di lui, non c’è vita. recuperare è un esercizio imparato a memoria, trascinarsi nel letto e consolare l’impotenza e l’affanno con altra impotenza e altro affanno.
dunque ancora bombe, sui sistemi etici questa volta, forti del coro di voci bianche che appronta scenografie strabilianti, nella speranza che non diventino diorami o parchi a tema abbandonati. sono su un treno, metto in conto che tu non venga. non posso non venire, un patetico ‘sarò uomo’, devo affrontare la prova della realtà, non è immaginabile sopravvivere anche a questo rammarico.
dunque ancora la stazione centrale, con il ritardo dell’improvvisazione, il primo vero calore di giugno prima del suo calore, un dito puntato sulla schiena, hai sfoderato tutte le tue armi, ho messo la mia armatura migliore ma non resisto all’abbraccio – in un’altra vita fu una stretta di mano, goffa e mai dimenticata nella sua stoltezza – la ragazza già trema ed evita il suo sguardo ma non le parole, è un fiume in piena, lui si fa camera iperbarica, lei decomprime rilasciando una tensione polarizzata, accumulata negli emboli degli stessi giorni, gli alveoli paiono urlare. perché non parliamo del sole? perché continuiamo a bere? lei è molto bella nella sua epifania ma il ragazzo conosce le grammatiche e attende lo sfiorarsi, la pazienza più facile che potesse immaginare, anche se il tempo è poco, anche se domani chissà. tieni, questo è tuo, la mia declinazione della tua definizione, la mia firma sulla tua esistenza: sei persino meglio di keith richards. le mani, le braccia, la scusa per il primo contatto e poi il secondo, come manifestare l’affetto? e non si è ancora parlato di desiderio. avvicinati un attimo e dunque, finalmente, il bacio, la magnitudo di una supernova. il ragazzo avrebbe voluto dire vince di nuovo la tenerezza ma il tempo stringe, troviamo un posto migliore, chiediamo all’universo di farci spazio. un gradone assolato, come se fossero i primi gemiti per lui, come se fosse la prima erezione per lei. i ragazzi si raggiungono.
dunque ancora l’universo e le sue minacce, le sue metafore sarcastiche, se lei è protetta e custodita da lui, lo stesso non si potrà dire dei suoi averi: l’identità formale, gli apparati, l’economia e quella domanda sulle foto perdute che il ragazzo non osa porre, solo un pensiero: come toccarla senza il suo consenso, come deturpare una nascita. nessuno osi fermare la musica. le hanno preso il portafogli, non mi interessa quando sei arrivato, lo cacci tu o lo recupero io? non stai mediando, stai facendo l’unica cosa che puoi fare, coraggioso sarebbe agire quando si ha paura, la mia è rabbia e se vedi che mi gelo sono davvero pericoloso, anche se non te lo dirò. non scendo giù con te, fingo di ringraziarti dell’aiuto, per me non esisti, ho sempre avuto grandi difficoltà a ragionare in termini collettivi.
dunque non resta che convogliare l’aggressività su quella pelle, ti sarebbero piaciute le mie mutandine, il ragazzo si fa predatore per trattenerla, affondano le dita nella carne, ti porterei via con me, lo senti il dolore? ti scoperei ferocemente, a dispetto del mio incarnato ho molto sangue, ma lasciamo vincere la saggezza, nelle parole e nei gesti, per sopravvivere, per garantirci ancora un incontro, per allungarci la vita. la ragazza che trema ha insegnato la pace al leone ferito.

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