Un giorno io la dirò, quella parola (tu sai che la dirò?) e che sarà, forse, il segno della rinuncia al mio calmo stato di sospensione sognante; e tu, dove sarai? là per condurmi a dirla? (Là) a plasmarti la figura e la forma di ciò che voglio, di ciò che amo per ottenerla liberamente da me? – in modo che non sia tu a dirla? O, invece, mi condurrai (implacabilmente) al silenzio. Perché tu v u o i sospensione? Tu sei il gesto che sospende?

Può la donna apparirti senza più veli, in un pudore tutto naturale?

Posso (io) avere l’inverecòndia di rivelarti la profondità di un desiderio che, forse, riguarda solo me? Non sarebbe richiesta molta immaginazione per raffigurarmi mentre ti rivelo il mio segnale di fuoco dall’ostinato buio della notte, ricreandomi il corpo che ti vuole, la bocca assetata della tua sola acqua di fonte. Dunque, perché indugio? Non è senza sgomento una donna che rivela. Palpita contro il petto il desiderio. Tuttavia, c’è un godimento più sottile nel luogo che mi rende invisibile. Io fremo, io gemo, io brucio, costantemente creo, manipolando sogni, nel gesto che mi rende a te assente.

C’è una felicità frettolosa nel rendersi visibili, nel compiacersi del proprio corpo dinanzi all’altro, nell’esercizio a farsi insidia, tentazione, o (passivamente) bersaglio del fulmine.
Tu non potrai posare lo sguardo su di lei. Lei non ti dirà quella parola. Lei non sarà quello che avrebbe potuto essere. Il silenzio, la sua invisibilità ti chiedono di immaginarla all’infinito – desiderarla?; lei ora è la bella adescatrice tutta languori che spunta dal buio del bordello. Baciala! Baciale i capelli, rossi? biondi? verdi?

Fino a che ti sarò invisibile, sarò io ad avere potere su di te. (Stabilendo un rapporto di sovranità) il tuo corpo è mio. Sono solo io che ti guardo. Il volto, le mani, i capelli. La tua figura s’incide, nitida, profonda sul muro. Fino alla fine del viale sono nel destino dei tuoi passi, ti succhio il sangue con lingua aguzza, dominandoti a distanza; sei libero solo ora, dietro la casa bianca dove rameggiano gli alberi che ti nascondono, dove i miei occhi non possono raggiungerti.
Eppure. Ti raggiungo; assente a me, nella regione immaginaria – ora – ti evoco la figura, ti vesto di luce per atto di magia. Ti vivo, ti godo (sotto questa penna che non può più smettere di scriverti, come se stessi trascrivendo una formula arcana) nello stato di immagine. Il poco vivere rende deliranti? Perché io sì, sono la sognatrice folle: e c c o t i!

Immagine 1

Sotto il cappello di velluto spuntano i tuoi capelli, castani? (accetta che io ti cambi il colore; lascia che io mi illuda di esserti sovrana.)

Immagine 2

Salire le scale fino al tetto della casa; sentire i tuoi passi; sentirli vicini. Sentire le stelle fino a che mi baci. Fino a che mi baci non nevicherà dentro nessuna nuvola, neppure sul tuo colletto inamidato sotto la barba.

Dopo la seconda immagine, al di qua della vita, non resta che un apparato di cenere. Gli alberi in fiore dei miraggi rapidamente si tramutano in sabbia. Dove sei? Non ci sei mai stato? Tu non esisti. Eppure sei qui, come folle conseguimento del mio immaginare. Perché immagino che mi piacerà baciarti. La mia bocca sulla tua mi converte all’idea della vita.
Per ogni depauperazione d’inchiostro nella boccetta ci sarà sempre un lettore. (L’eterno incluso per la formula dell’immortalità?) Non ha conoscimento che io mi stia servendo di lui (della sua forza d’occhi) per scrivere di te e goderti del bacio, mentre sto entrando in una tomba… per vivere

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