Notte under 21

pressati nel giorno, contro l’angolo del giorno
una voce chiama, in rincorsa sul fiato,
poco alla volta, preme sul collo.

delle sirene ricordiamo solo le nostre tempie
e poco altro, come dei lenzuoli i nodi che intrecciamo
incaricati dal buio, dalla notte al fosforo.

questa notte ho incastrato il mio occhio
destro: si credeva un martello
pneumatico contro il cranio.

è vero, che la notte tiene a mente gli oggetti
incastonati come sono nella camera, e così facendo, fornisce la giusta segnaletica,
ci consente lei questa camminata sicura nelle 4:12.

con queste pupille al palmo sono una forza
un eroe mai visto. ci hanno spezzato le ali ,è vero, ma nessuna paura:
perché del letto io mi occupo, gestisco le palpebre e le gambe.

i led hanno una missione base: salutare. poi
con un po’ di esercizio accadono
anche i mostri sul tetto, al livello 10 si avvera la cecità.

ora ho una vista al pixel, al cm quadrato,
– spento uno schermo se ne accende un altro –
di nuovo i superpoteri.

mamma mi sento il cuore esplodere come se
fosse successo qualcosa, invece
solo il letto come di consueto.

“l’inverno è neve, l’estate è sole”
ma qui ci appare il bianco senza deviazioni,
ci vuole dire qualcosa questo mostro mai visto.

ormai detengo due cuscini a testa,
mentre le pupille, come sempre,
solo il monopolio della disperazione.

sono sicuro che le ciglia sul cuscino
organizzino altri occhi, per spiarci il sonno:
la preview della morte, in quell’anticipo del sangue.

***

riparte dal fondo, cede e
retrocede l’acqua.
falsa la vista sino
all’ultimo gesto,
sino alle mani che
si fanno croce.

totalizzo una scossa
ogni trenta battiti del muscolo
(ogni battito trattiene il secondo)
risultano due scosse al minuto
di media, di lato, ma così forte che:
il risveglio.

la morte – mi garantisco –
è la variante definitiva
del sonno, in un senso
la morte è solidificazione, un concentrato di sonno
che inciampa all’arrivo, non ri(esce): fa filtro.
un sonno-succo dunque, d’arancia – nella fattispecie –.

a tratti invece mi capita
la morte in piena, frontale ma di colpo,
come all’improvviso, una morte dove
le mani non fanno scudo, depongono
l’attimo: la morte come Dio comanda.

***

se fosse anche solo 
un osso
una frattura interna
congeniale al dicibile
uno scricchiolio che contrasta con il silenzio degli organi,
che si estende a macchia d’olio,
che invade e valuta il cranio,
lo abita.

se fosse la congestione 
a fare di te
l’altare
 del freddo sismico
uno slancio verso il pallore
ti amerei, patologia mai verificata.

ma c’è dell’altro:
 il sonno non vale
come anestetico, e di notte 
ti penso
come si pensa 
a una scossa:
 con tutto il tremolio del corpo
raccolto dalla palpebra.

***

si perde sempre – che sia l’aria o
la rotta – e nessun faro ci chiama a rotazione
con il proprio nome.

ad ogni faro è concesso
di memorizzare in vita
un solo nome:
– poi tenterà invano di ricordarlo -.

se esiste luce è perché
vi sono insetti – anche loro in rotazione –
in un silenzio del sangue,
dentro un disordine d’aria.

in futuro tutte le creature
saranno infelici, vi sarà
un sacro equilibrio
di scontenti: la sentenza
precisa del vuoto.

***

a filo d’acqua.
si è primi
solo se si è in testa
davanti al primo, prima
del punto, prima della lama
e prima dello sparo.

si rischia di essere secondi se
il fiato saluta il corpo
se gli alberi gradiscono
la morte più del dovuto, più
del solito: scorretti.

si è terzi infine
ai piani bassi, le molliche
di questo podio, più in basso
la folla, e si è ultimi prima della folla dunque
ultimi prima di tutti.

Nota biografica:

Antonio Scaturro è nato a Giaveno il 27 aprile 1992, abita a Orbassano e frequenta il corso di Culture e Letterature del Mondo Moderno presso l’Università degli Studi di Torino.
Finalista del concorso “Opera Prima” edizione 2013. Alcuni testi sono apparsi su Nazione Indiana il 10 giugno 2013, altri no. Finalista in sintesi, all’altezza della finzione.

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