«IL MINCHIONE»

 

Oggi ho scoperto, su un lit-blog, dalla lectio di una decerebrata dilettante

che, nei miei studi di storiografia letteraria, sembrava esistere un anello mancante,

il mio macro-errore è stato far consistere l’intera letteratura del Novecento

nella linea del trinomio Dossi/Lucini/Sanguineti e sul tema del dédoublemento,

l’originalità dei fatti ha smentito la mia opinione

l’asse centrale della letteratura italiana è il tema del «minchione».

 

Il «minchione» inizia a dispiegare la sua forza nel verismo,

col binomio «minchione»/Verga non si rischia l’eufemismo,

l’uso del termine è rilevato, in recidiva, nei meandri del triveneto teatrale

il binomio «minchione»/Goldoni causa un abbinamento anticoncezionale,

non riuscì a non infilarsi nella querelle tra neo-classicismo e romanticismo illuminato

il binomio «minchione»/ Manzoni è sinonimo di un castrato Innominato.

 

É il terronismo partenopeo delle sorelle bandiera a cagionar lo scorno

il binomio «minchione»/Giusti pare esser titolo di un film porno,

rimurgino sul quinto e ultimo binomio, la deficiente scrive il letterato Vampa

rimuginio, trmòn, trmòn, trmòn, e, all’improvviso l’ippocampo avvampa,

Vampa non sarà mica Bertelli Luigi, detto Vamba, creatore del mio avatar Gianburrasca

rifiuto il binomio «minchione»/Vamba e mi iscrivo di diritto nell’Accademia della Crusca,

io, l’Asino che frequenta queste no fly zone semplicemente in cerca di una zoccola somara

e scopro, nel www, grandi studiose di «minchia», da ridurre in lacrime anche Galantara.

 

 

 DISSÒI LÒGOI AL TELEGIORNALE

 

In Tv, al telegiornale, hanno detto che un marocchino ha sequestrato uno scuolabus,

in realtà hanno detto anche che il marocchino era italiano, non era ghiotto di cuscus,

diciamo che un marocchino ha tenuto sotto sequestro un intero caseggiato

e un italiano ha lasciato i sequestrati, illesi, fuori dal commissariato.

 

In Tv, al telegiornale, hanno detto che Salvini ha requisito una nave

in realtà hanno detto anche che la nave non era davvero requisita, ¿Quien sabe?,

diciamo che il Ministro dell’Interno ha tenuto in ostaggio decine di non compaesani

e il Segretario della Lega Nord ha tuonato: in ostaggio, «prima gli italiani».

 

In Tv, al telegiornale, hanno detto che One Belt One Road è la nuova via cinese

in realtà hanno detto anche che la via è un obiettivo importante delle nostre imprese

diciamo che Xi Jinping si è trasformato in un crociato dell’Unione Europea

e Juncker, il beone, stia facendo l’interesse della Repubblica Popolare Democratica di Corea.

 

In Tv, al telegiornale, raccontano un sacco di dissòi lògoi,

degni di flussi protagorei intinti in orinatoi,

diciamo che i telegiornali hanno ormai il diritto di dare voce a ogni cagata,

e noi italiani, davanti al video, di scegliere sempre la versione sbagliata.

 

 

LA MIA DEPRESSIONE È CHIMICA

 

Ci sono giornate che non ti alzeresti dal letto

non so se è questione di chimica o se son solo matto,

non vedi l’ombra di un futuro, no future, punkabbestia senza cane,

ti senti Mansell, in Williams, abbandonato a una chicane.

 

Non senti niente da dire, non trovi tasti da battere

la noia ti strangola dentro da non riuscire neanche a combattere

l’idea di te, inutile, l’idea di te, insensato, idee senza senso

non resta che stringere i denti e attendere i frutti di un altro scompenso.

 

Ci dicono che non funzionino noradrenalina e serotonina

pareggiano imbottendoti i sensi di dopamina e fluoxetina,

il tuo io, schiacciato tra ansia e euforia, è un puck sparato sul ghiaccio

e recita joie de vivre senza copione, farneticando a braccio.

 

La disoccupazione è al 15%, c’è coda sul reddito di cittadinanza,

i ratings italiani barcollano in mano agli squali dell’alta finanza,

nei grafici del nostro bilancio mi manca l’ascissa:

o sono alienato o io sono sano e l’Italia è depressa.

 

 

LA VITA AGRA

 

Sono curioso di conoscere se, una volta iniziato il testo

smetterò o meno di battere sui tasti,

lasciandomi avvincere dalla noia di non scriver in anapesto,

lasciandomi abbarbicare da un dolore che da dentro mi devasti.

 

Lascio andare la rima come chi non ha cose da dare

scrivo dove non c’è scritto niente

senza avere un vuoto da colmare

come se ogni lettera rappresenti un incidente.

 

Respiro lento, come un malato di Covid in riabilitazione,

ai bronchi lascio l’aria e ai nervi la disperazione,

non mi va di strozzarmi col cordone ombelicale

e rassegnare ogni mio bene alle aule del Tribunale.

 

Lockdownizzato fuori e carcerato dentro

balbetto nenie come un Guglielmo Hotel senza degnar d’un centro

la vita agra che da cinquant’anni mi accompagna

a scriver versi che sappiano di lagna.

 

 

FUORI DAL CORO

 

Non riesco ad essere davvero un vuoto a rendere

durante la mia crisi occipitale

non è mio il mestiere dello stendere

un corpo in linea orizzontale.

 

Eppure sono orizzontale, e cerco l’orizzonte ad ogni momento della giornata

incapace di reggermi in piedi senza incassare

l’orizzonte, l’Occidente, stretto nel suo sepolcro come Farinata

l’orizzonte dei camions che trasportano bare.

 

Scoppi di pianti, scoppi di risa, e foglie d’alloro

centimetri dall’esser morto, centimetri dall’esser d’oro

mi affaccio dal balcone della letteratura occidentale

e i critici, confusi, mi bollano con un Tso da ricovero in ospedale.

 

Io non mi volevo buttare dal balcone

volevo semplicemente sincerarmi di non esser rimasto solo

con un diavolo che mi attizza col forcone

depressione, asfissiante come un grumo di bolo,

allettante come i rimedi rinchiusi in un flacone,

io ignorante, destinato a cantar fuori dal coro.

 

 

DIMMI COME DIRE A UN CANE

 

Dimmi come dire a un cane, che sta fisso davanti alla porta,

che la mamma non ritorna, anche se non è morta.

Frida con la speranza negli occhi, io con le mie lacrime asciutte

che non vengon dal cuore, sono lacrime autodidatte.

 

Vederti dappertutto, in questa casa che è un cimitero,

sembra di essere Enrico II con il suo squarcio sul cimiero,

la donna delle pulizie non è capace di cancellare i ricordi

e io, come un istrice, mi strappo dal petto i dardi.

 

Dimmi come spiegare a un cane, dimmi come spiegare a un cuore,

che non lo senti battere, io non sono un gran bluffatore.

Dimmi come spiegare a un cane, che non c’è più desiderio,

quando il desiderio soffoca, e tutto sembra un delirio.

 

Dimmelo, dimmelo, dai, della tua vita infelice

dimmelo, dimmelo dai, a questa sottospecie

di uomo ferito, che non emette una goccia di sangue,

anche se fa donazioni ematiche ovunque.

 

Dimmi come dire a un cane, che è finito un grande amore

è come spiegare l’umido oculare ad un umidificatore,

dimmi come dire a un uomo, che è finito un grande amore,

come continuare a vivere senza lasciarsi morire.

 

 

VODKA E BENZODIAZEPINE

 

Mi trovo tutti i giorni a visitare le notizie online dei suicidi,

non ho mai avuto timore di trovare il mio nome

magari accompagnato al sostantivo poeta come le cariatidi

con tracce fresche di strame e di bitume.

 

Io sono un immortale, ho assecondato le fila dei Trecento,

alle Termopili, morire di una inutile morte eroica,

meglio la morte che un sopportabile addomesticamento,

chiudetemi, con molto Scotch, in un’un urna fatta di maiolica.

 

La vodka sta finendo e stanno finendo questi versi

devo decidere bene come utilizzare i differenti mezzi

usare l’alcool a finalità didattica nel dipingere nuovi universi

o con le benzodiazepine mettendo fine ai miei numerosi schizzi.

 

 

LA MALATTIA

 

Ciao, sono Gaia, sono degente dell’ospedale

Gaslini, di Genova, dove ci rincorre il mare,

ho tredici anni e sono vittima di un brutto male

la depressione grave, la malattia del malaffare.

 

A tredici anni non si deve esser sempre in lacrime,

forse mai, ma mi è sfuggita la voglia di vivere

il dolore come uno strascichio di sirime,

mi è sfuggita la voglia di non essere cadavere.

 

Camminavamo, tranquilli io e il sorvegliante

la depressione è stata più veloce dell’istante,

ho corso fino a che mi si spezzasse il cuore

la mia noradrenalina come decodificatore;

mi sono attaccata alla ringhiera dell’ospedale,

dieci metri di volo senza nemmeno pensare di morire,

a tredici anni si hanno le ali, non hanno funzionato per volare

hanno funzionato per raccogliere il mio sangue senza farlo colare.

 

Abbiamo tredici e quarantacinque anni e un brutto male

la depressione grave, la malattia del malaffare

un morbo anomalo, dalla medicina poco considerato

finché non diagnosticano un corpo morto sul selciato.

 

 

IL MESTIERE DEL POETA

 

Ho scoperto perché a molti non piacciono le mie poesie

è difficile che parli di vita, e di altre fantasticherie,

mi interessano la politica, il sociale, la comune,

e – come direbbe Checco Zalone- sono cose che non fregano a nissune.

 

Sulla mia tomba scriverò «[…] è nato per scriver versi […]»

così avrò la certezza che andranno tutti persi.

E ci metterò un calice di amaro Montenegro,

così, perduti sì, ma me ne frego.

 

 

ODIO MISHIMA E MAJAKOVSKIJ

 

La lettera che ti ho spedito ieri

non è mai arrivata a destino

era la più triste dei canzonieri

sarà la sfiga, sarà il declino.

 

Odio Mishima e Majakovskij

hanno avuto il coraggio, la nostalgia

il nichilismo di Bukowski,

di non ricoverarsi in cardiologia.

 

Lombardia mia, Lombardia in fumo

respiri Tavor Valium e Serenase

che fanno bene all’epitalamo

sempre presenti nei nostri beauty-case.

 

La lettera che ti ho spedito oggi

non so se è arrivata a destinazione

l’ho cercata invano tra i necrologi

dei morti vittima di distrazione,

l’ho cercata tra le lapidi mortuarie

tra i morti senza informazioni intestatarie.

 

Odio Majakovskij e Mishima

hanno avuto la forza e le mani

senza alcun filosofema

di scrivere la lettera di domani.

Nota biografica:

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha introdotto in Italia la materia della Law and Literature. Ha diffuso saggi su filosofi italiani e su etica e teoria del diritto del mondo antico; ha collaborato con con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2018 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi IntroversiMostriGalata morenteCarmina non dant damenScarti di magazzinoQui gli austriaci sono più severi dei Borboni, Cherchez la troika e La malattia invettiva con Limina Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il Guastatore, con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni. È stato fondatore e direttore della rivista letteraria Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è stato fondatore e direttore della rivista letteraria L’Arrivista; è stato direttore esecutivo della rivista filosofica internazionale Información Filosófica; è, o è stato, direttore delle collane Esprit (Limina Mentis), Nidaba (Gilgamesh Edizioni) e Fuzzy (deComporre). Ha fondato una quindicina di case editrici socialiste autogestite. Ha scritto/curato 150 volumi, scritto 1000 saggi, fondato un movimento d’avanguardia (NeoN-avanguardismo, approvato da Zygmunt Bauman), con mille movimentisti, e steso un Anti-Manifesto NeoN-Avanguardista, È menzionato nei maggiori manuali universitari di storia della letteratura, storiografia filosofica e nei maggiori volumi di critica letteraria.Il suo volume La malattia invettiva vince Raduga, menzione della critica al Montano e allo Strega. Viene inserito nell’Atlante dei poeti italiani contemporanei dell’Università di Bologna ed è inserito molteplici volte nella maggiore rivista internazionale di letteratura, Gradiva.I suoi versi sono tradotti in francese, inglese,  spagnolo,  macedone, greco, albanese, serbo, bosniaco, croato, sloveno, rumeno, bulgaro, russo, azero, uzbeko, kirghizo, indiano hurdu, indiano hindi, bengali. Nel 2024, dopo sei anni di ritiro totale allo studio accademico, rientra nel mondo artistico italiano e fonda il collettivo NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica).

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