#44

Mi porto a casa il rumore della fabbrica
come un reduce porta dentro di sé
il ricordo della guerra.
Nella doccia ritrovo
lo stridere del metallo
il battere del martello
e tra i capelli ho sparsi i trucioli di un cristo di ferro.
Il tempo ciclo è importante più dell’anima,
la velocità è tutto
gli avanzamenti sono tutto
e il mio invecchiare è il niente,
io sono solo un meccanismo sostituibile.
Mi porto a casa l’odore della fabbrica
come un cane che ritorna da un tuffo nella fogna
e sul limitare penso spesso
al tempo perso là dentro
alla poesia di Prévert nel mio armadietto
e al sole che brucia le spalle
mentre alla mia pelle ci ha già pensato il solvente.

SIBERIA

È uno spigolo di Siberia, la fabbrica
quando riapre
con i suoi discorsi di ferie passate, di sveglie suonate
mai troppo presto
e che ti fanno rimpiangere l’inverno per le strade
mentre tua madre sta sognando tuo padre ancora giovane
di quella giovinezza che le suggerisce l’ora di andare
in cucina, a preparare la colazione
e più tardi
il pranzo per la tua pausa da campione
– perché sei ancora il suo campione –
anche se oramai
le mutande te le lavi da solo.
È un campo in Siberia, la fabbrica
con il ferro degli utensili ghiacciato
che ti rimanda ai pini sotto zero
e non appena stringi il primo pezzo in morsa
parallelo senti il gelo mordere la condensa dei tuoi pensieri
e vorresti scoppiasse un incendio in reparto
per scaldarti un poco le brache
e farti qualche goccio in più di ferie
per spendere tutto ciò che della tredicesima in tasca ti rimane.
Quando riapre, in inverno, questa fabbrica
è come la taiga siberiana
e fa un freddo cane, quasi assassino
che io sembro mio nonno partito nel ’41 per il fronte
da cui ha fatto ritorno
con l’artico infiltrato nell’eskimo
e con un sacco in spalla pieno di storie tristi
che in confronto questo gelo
ha il calore di un timido inverno.

FIORE DI CARTA

Dieci ore al chiuso
tra le mura di una fabbrica
mi costringono a dimenticare
di cosa sia fatta l’aria.
Quello che mi riempie fino ai polsi oramai
in gran parte non è più ossigeno,
è acqua che cola marcia
dal rubinetto del cassone del ferro.
I peli del mio naso
sono fili di ruggine e truciolo
e i calli mi parlano
di un padrone lucido e freddo, una lamina
di acciaio temprato.
Dieci ore di lavoro
chiuso in una latta di olio esausto
mi aiutano a forgiare
la tempra di questo foglio
mentre lungo i finestroni di cemento e vetro
cerco l’ultimo respiro buono.
Domani, sotto l’ombra di un fiore di carta
sarò un petalo di cellulosa esplosa
domani, all’ombra di un campo di frumento
riposerò per non essere più corrotto
dall’umidità del metallo.

§

Varcata la cancellata
siamo legionari che si conquistano il pane.
Le antinfortunistiche sono scudo
la chiave a brugola è gladio
la lima a denti grossi il pugnale dell’affondo.
Le nostre vite restano fuori
come cani fedeli
come l’amante che aspetta il suo turno.
Passiamo alla storia
con il nome inghiottito dall’azienda.

LA BALLATA DELLE MACCHINE VELOCI

Macchine
macchine veloci, voraci.
Macchine per costruire
bulloni di altre macchine
braccia meccaniche, schemi di cervelli
rotule e tibie in lega pesante.
Macchine
macchine rapaci, fallaci.
Macchine per costruire
pensieri cromati
e schemi logici su scala industriale,
brevetti e progetti fonte di guadagni.
Mi sono rotto un polso
e non ho quello di scorta
mi sono rotto la vita
e ho soltanto la firma
di un dottore – quaranta giorni di riposo
per chiamarmi fortunato
se più avanti ritrovo
il mio posto al banco di lavoro.

§

Lunedì rientro in fabbrica
dove si tornisce il ferro e l’acciaio,
roba grossa e pesante
diametri minuscoli e micromeccanica.
Lunedì riparte il lavoro
senza straordinari a tagliare il metallo
che c’è la crisi di settore
e intorno alle fabbriche
c’è una sorta di guerra.
Nel caldo da sembrare agosto
mi porterò un panino
e una mezza bottiglia di acqua
per non fare pausa
per dirmi che andrà tutto bene.
Lunedì al rientro in fabbrica
lascerò fuori dal portone
le tracce di una poesia e una bicicletta:
che mi guidino all’uscita
fino alla porta di casa.

§

Le luci del mattino non sono fatte di alba
sono led fluorescenti che investono la via
e la fanno sembrare viva.
La produzione già mi aspetta con i suoi cancelli aperti
e con le finestre degli edifici che sembrano sguardi assatanati.
Le ante dei portoni mi ricordano fauci spalancate.
Le macchine all’interno sono diavoli che non dormono
attendono la mia carne per pungerla e squamarla
sotto vivide luci da sala operatoria.
La fabbrica è una bestia che nera non riposa,
ha denti d’acciaio cariati di polietilene
con cui mi morde polpastrelli e palpebre
e la strada tortuosa è la sua lingua che viscida mi cattura.
La fabbrica è una bestia che mi insegue giorno e sera
reclamando la mia schiena
perché mi vuole possedere con i suoi meccanismi
mentre le luci del mattino
rimangono tremori di stanchezza che non passa
e io sono stanco, tanto stanco di scappare.

I BACI DELL’OFFICINA

Ti do un bacio
uno solo
che vale per mille
perché
i baci che vengono dall’officina
sono baci di libertà.

Il lavoro al banco prova
consisteva nel collegare lo scambiatore di calore
a due bocchettoni dell’aria compressa
e immergerlo nella vasca dell’acqua
per controllare eventuali falle nella saldatura.
Lo scambiatore veniva poi appoggiato
a un piano ben oliato
e con precisi colpi di martelletto e squadretta
gli si raddrizzavano le alette di rame.
Il vecchio Mario, raggrinzito ed esile,
lo faceva assai bene,
così velocemente
da essere soprannominato il ragno.

CONTEMPLO DA VENT’ANNI

Contemplo da vent’anni
lo stesso soffitto.
Conosco ogni crepa
ho dato un nome a ogni insetto
che ci abita dentro,
bevo l’olio che giallo riga il muro
fino al pavimento.
Divento epilettico
fissando i neon che balbettano
e il cesso è il mio ufficio:
ci leggo la Gazzetta
gioco a qualche rompicapo
resto fermo a fissare il vuoto.
Mi riprendo.
 

Nota biografica:

Matteo Rusconi, conosciuto anche come Roskaccio, nasce a Lodi nel 1979.
Poeta e operaio, nel 2017 pubblica la sua prima silloge intitolata Sigarette - Venti Poesie Per Smettere Domani (Ed. Ilmilibro.it)
Alcune sue poesie sono apparse in varie antologie, tra le quali NOvecento Non Più (2016. Ed. La Vita Felice) e La Nostra Classe Sepolta. Cronache Poetiche Dai Mondi Del Lavoro (2019, Pietre Vive Editore).
Cura il blog Parole & Carriole.

 

 

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