costruire il mattino

uno

… e nei nostri anni ingrandiva novembre
i crisantemi nel campo
i colori tenui
non c’erano chiavi nelle case
ma tavoli di luce —

la foschia a volte nascondeva i prati
nei più tardi giorni il pomeriggio svaniva
il cielo confondeva qualcosa
del lontano
in un volto —

coi polsi fragili
ci chinavamo suoi fiori
il freddo picchiava sui pini
e un migrare tardivo
ci stupiva —

leggere le figure nell’aria.

due

la pianura insegna la morte
con asce di gelo
lungo le nostre rotte
sempre è il tempo di sterrati e cave
il divampare del nulla:

ma per scaglie di luna
nel lutto delle foci salivano
acque e acque
la pioggia era il mondo
un lungo lavacro.

tre

sui fili dell’alta tensione
telegrafiche notizie dagli uccelli:

un pò di primavera

e l’ago del brunire nelle sere dei laghi
uno spostarsi d’aria e folaghe
nel cielo che muta
e mai muta.

quattro

con margherite e cagliare di latte costruivo il mattino
andavo alle fabbriche con testa di ariete
e martelli — nella mente

un orso polare mi dormiva nei recinti
la mente aveva rami nudi
latravano i miei cani

in un giardino sepolto.

cinque

ai giardini pubblici guardavo il cavallino di legno
e le altalene dov’era volata la vita
che mancammo — è così che ci perdiamo
— il ricordo è così —
illumina lo spazio in cui nessuno ci conosce.

sei

muoiono gli altri:
noi guardiamo
un cielo azzurro
chiedendo perché

(nelle mani di un bambino
il disegno di un ramo —
un perimetro di foglie
ci inscrive).

sette

lungo i canali delle rogge ci perdevamo
o accumulando copertoni d’auto in garage
le cose da non buttare via
come erba e rose —

imbarcammo acqua sulle piccole scialuppe sui cucchiai
circumnavigammo le stanze
stranieri sui nostri letti non dormivamo
pagammo tranche di vita

finché somigliammo a uno specchio vuoto.

otto

divenimmo ragazzi
agili come giovani verghe
i corpi senza seme
e ami
non temevano
la morte

così nell’altissimo dolore dei torrenti
cogliemmo comete.

nove

in un ostello di Vienna
un abete ci ricordava i giardini
le trincee sul Carso
le stelle dei morti
sulle montagne —

qui un’imperatrice diventò celluloide
il Prater è una cartolina
con le altalene — così la nostalgia
non è un luogo
non ha luogo —

oh! Austria Felix passata nel camino
e giù per marciapiedi
dove gli ebrei pulivano con spazzolini da denti
gli sputi ariani
il perdono è qualcosa di ognuno.

dieci

              in case diroccate lanciavamo i mandarini in cielo

non c’erano i tetti lì sopra ma una storia
guarda un’altra storia
nel cominciare del bene:

         i miracoli

sulle magliette non avevano nome
si perdeva tra i rami qualcosa
ma bastava la vita
quel che rimane.

undici

la fine della luce sarà l’eco di qualunque cosa.
portiamo cappio e acqua in un tempo che ci sopravvive.

ci restano le lenzuola bianche dove l’afa ci assedia. i nostri pensieri camminano con l’estate, hanno radici nei passi, allungano la terra, il nome, la solitudine com’è.

dodici

ci resta questa pianura dove ogni ora è un’ora di polvere ogni ora è conclusa.

è il divenire del cielo nel dolore dei volti.
 

Nota biografica:

Nadia Agustoni (1964) scrive poesie e saggi. Suoi testi sono apparsi su riviste, antologie, lit-blog. Del 2020 è Gli alberi bianchi Gialla oro Pordenonelegge-Lietocolle, del 2017 è I Necrologi La Camera verde, del 2016 è Racconto Aragno, del 2015 Lettere della fine Vydia editore premio ex equo Bologna in Lettere Interferenze 2017, e la silloge [Mittente sconosciuto] Isola Edizioni; del 2013 è il libro-poemetto Il mondo nelle cose (LietoColle). Una silloge di testi poetici è nell’almanacco di poesia Quadernario (LietoColle 2014). Nel 2011 sono usciti Il peso di pianura ancora per LietoColle, Il giorno era luce, per i tipi del Pulcinoelefante, e la plaquette Le parole non salvano le parole, per i libri d’arte di Seregn de la memoria. Del 2009 la raccolta Taccuino nero (Le voci della luna). Altri suoi libri di poesie, usciti per Gazebo, sono: Il libro degli haiku bianchi (2007), Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Quaderno di San Francisco (2004), Poesia di corpi e di parole (2002), Icara o dell’aria (1998), Miss blues e altre poesie (1995), Grammatica tempo (1994). Vive a Bergamo. 

ph Dino Ignani

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