È la fine di febbraio del 1763

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È la fine di febbraio del 1763, la Guerra dei sette anni si è conclusa, un aristocratico capitano di cavalleria del Régiment de Bourgogne fa ritorno a Parigi, incontra la giovane figlia di un ricco magistrato e comincia a corteggiarla. Il padre, un marchese squattrinato, invece, si accorda col futuro consuocero per organizzare il matrimonio con la sorella maggiore, Renée Pélagie Cordier de Montreuil. Si sposano a maggio dello stesso anno: il matrimonio combinato tra un convinto libertino nonché veemente ateo e una vergine pia, viene celebrato nel cuore di Parigi, in Saint-Roch, una chiesa a croce latina e dalla facciata barocca.
Il novello sposo ha numerose occupazioni: continua a frequentare i bordelli, come quelli della pluritenutaria Brissault, oppure ospita le sue numerose avventure nelle case che ha affittato a Parigi, a Versailles e ad Arcueil. L’anno seguente è già un sorvegliato della polizia, un ispettore in un rapporto annota: “On ne tardera pas à entendre parler encore des horreurs du comte de Sade”. La fama di Donatien Alphonse François de Sade presso l’opinione pubblica inizialmente non ha niente di letterario. Viene condannato in contumacia nel 1772 per reati sessuali tra il raccapriccio generale, ma non può sfuggire al suo destino e, nonostante numerose rocambolesche evasioni, il marchese dimora da una prigione ad un’altra e persino in manicomio, fino al 1790; Renée, una Justine/Juliette sinceramente ammaliata lo visita di frequente, travestita da uomo o da prostituta e gli scrive. Durante il soggiorno forzato nel carcere della Bastiglia, de Sade concepirà Le 120 giornate di Sodoma, lei invece dallo sfarzoso castello di Lacoste, teatro di intense baldorie, concepirà un costoso divorzio dall’uomo il cui nome diverrà un sostantivo.

Lettera (dalla Bastiglia, 1783): Alice M. Laborde « Le Marquis et la Marquise de Sade» ; trad. di L. B.