Approfondimenti
303° giorno di pandemia IN FILA PER IL PANE
303° giorno di pandemia
IN FILA PER IL PANE
Ernesto
È come quando finiva il pane in tempo di guerra: ti mettevi in fila in silenzio e speravi sempre che non fosse l’ultima volta.Anche se qui la sensazione è sempre dell’ultima volta. Però stavolta era l’ultima volta dell’ultima volta, perché lei mi accoglie con bellezza torva, in cappotto nero con l’aria di chi vorrebbe tirarti una craniata. Scende, mi guarda e vuole salire. Dobbiamo parlare. Cerco una battuta, invano. Neppure un bacio.
Stappa un rosso greco orribile -secondo lei che vorrebbe il bianco- e parliamo davvero. Non riesco a baciarla come vorrei. C’è sempre il cane che, evidentemente ben ammaestrato o in crisi ormonale, s’infila tra noi. Mi pare di essere in una pochade. Parliamo di cose che non possiamo fare, di vette che non riusciamo a raggiungere, di vite che non riusciamo a tessere insieme. Non capisce che io non capisco, lei va avanti a visioni, io ancoro tutto allo stallo di prima necessità. La amo follemente ma c’è il lockdown, le famiglie, le altre vite che sono rette parallele. Vuole che faccia un passo avanti, ma la sensazione è sempre che ci sia davanti l’abisso e non riesca a vederlo. Piange. Ci sono anch’io in quella lacrima, l’abbraccio, la stringo fino a stritolarla. Poi il sesso che è il solito groviglio di sudore e sangue. Ed ecchimosi. Ci rotoliamo a terra, scivoliamo a piccoli salti sul pavimento, uno sopra l’altra, ho paura di averle incrinato una costola. I pantaloni calati imbrigliano i movimenti, le mutande spariscono negli anfratti assieme agli occhiali. Lei mette le manette, che finiscono per bloccare me. Visti dall’alto sembriamo un blocco di granito espressionista in movimento. D’un tratto mi viene il terrore che dall’alto ci inquadri una telecamera. Non so se mi si riconosca dal culo. Lei apre la bocca e la lingua guizza dentro. Mi spoglia, ma vuole rimanere vestita. Scopiamo davanti allo specchio, il suo culo si muove a ritmo, fatico a non venire; lei rintuzza col vibratore. Il mio uccello e il dildo si dividono il compito. Veniamo insieme, credo. Mi accorgo solo ora che il cane maledetto mi stava leccando dietro. Torniamo a parlare mentre bolle la pasta e lei mi fa una lezioncina sulla temodinamica della pentola. Stavolta non parla degli ex. Ci dobbiamo inventare qualcosa. Ci sono sopra, ci penso. Lei mi parla di harem inesistenti, di amici imprenditori, di viaggi insieme, di “ultime volte”. Io ascolto, preso, nervoso ed estasiato. Non me ne accorgo, ma incamero quattro etti di spaghetti al pomodoro. “Ti faccio un caffè.” La macchinetta impazzisce e mi mette mezzo litro nella tazzona. Bevo per educazione, e per non contrariala.
Mi tira due bordate dalla porta. Mentre l’ascensore si chiude la luce si spegne sulla sua silhouette: vedo solo l’ombra che mi fa ciao con la manina. Molto frastornato, molto felice.
Mi metto in fila per il pane. E tutto il resto, spero
VALSE
COME UN MOSCERINO
Elena
Come un moscerino, rimasto impigliato in una luce, gira intorno ma non osserva, finché non riesce a liberarsi, o muore. Ernesto è questo. Non siamo nemmeno arrivati a conoscerci. Non eravamo abbastanza forti per giocare a carte scoperte; non avremmo più dovuto vederci. E non voglio che mi chiami amore, mai.
Dice, “Non capisce che io non capisco, lei va avanti a visioni, io àncoro tutto allo stallo di prima necessità.”: la imbastisce “come se fosse una storia”, amanti, squallore, ed io, ho bisogno di realtà (e di aspirina). Stavolta riesco a esprimere quello che penso, e sento: mi ha persa per leggerezza. Non voglio più fare l’amore con lui; ma l’alternativa era piangere per strada. Così, mi ritrovo nello studio, inzaccherata, con il vestito fradicio di sangue e di sudore, e averlo dentro mi sembra la cosa più naturale del mondo. Le manette che indosso io, imbrigliano lui, è questa la precisa metafora dell’intreccio. Lo guardo spingere nello specchio, vampate di tristezza, chiudo gli occhi.
Ci puliamo; credo che voglia andarsene e non capisco perché resti.
Ernesto dice delle cose, che avrebbe voluto conoscermi molti anni fa, che avremmo fatto un figlio, che lui è mio, eccetera, poi vorrebbe apparecchiare ma sbaglia i piatti, e infine cerca di spiegare, lui a me, la termodinamica dei fluidi.
Purtroppo, non reggiamo il vino.
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