Amiral Bragueton. L’infanzia delle parole.

L’infanzia delle parole.

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Per leggere un testo è sufficiente la complicità del lettore con le parole. Una disposizione, una fides. Viaggiare insieme, in incognito. Entrare e uscire dal quadro di istantanee, fotografie da cui l’autore, Paola Silvia Dolci, si sottrae, “tenendo un solo occhio aperto”. Di questo si tratta, sottrarsi anche alla scrittura, che sostituisce in forma anonima i nomi, l’infanzia, il sogno. “Lo sconcerto / è questo invecchiare fuori dai libri” tenendo il filo, guardando senza essere visti, perché “Ogni volta che mi guardano mi spengono”. Dunque queste cartoline da Mosca, Praga, Desenzano, Rio De Janeiro, Livorno danno indicazioni precise, ma per un altro tempo, per un altro luogo, che dovrà contenere una scatola quasi vuota. L’occhio registra gesti, ipotesi di un altrove che è adesso, con lentezza, passeggiando nel vento. Sono apparizioni, dove ci si vede da fuori: “e di ogni cosa si poteva essere spettatori / ma non vivere”. Forse essere mangiati, consegnarsi al corpo dell’altro (“Mangiami a Pasqua”) – con il quale, intanto, si mima una danza, cullati dal dondolio, “come se” si potesse, con il movimento, smettere di essere altrove. “Qui tutto è necessario”. Anche se l’Angelo ha una sola ala e non riesce a volare, anche se tutto è finzione e il cuore si può rompere per poter vedere com’è fatto. “Potevo fare tutto quello che volevo, io ero solo: / mi sanguinava un orecchio e lo mangiavo, / un gatto si mordeva la testa”. Seguendo il filo, quello della poesia, la realtà non fa meno male, eppure è lì la vita: “Tutta la mia vita è lettura”.

“Queste lettere sono l’evidente indizio di un’altra cosa.
Esistono tante scritture quanti corpi,
e questo è il mio, amore mio”.

Un indizio è forse troppo facile. A portarci con sé è un Ammiraglio, Amiral Bragueton, ma “privo di anagrafe”, L’eteronimo di cui non sappiamo nulla, ma a cui dobbiamo credere, come se tutto potesse davvero esistere, “le parole sperma ed effervescenza, / che nella stessa frase sono fantastiche”. In questa scrittura dedicata, “La collera dell’infanzia non si attenua”. Questo libro è una barca fatta di libri, dove la notte è troppo bianca, una ferita fiorisce e le parole scaldano, si tengono leggere, “pezzettini di carta” mosse dal vento. Inedite, anche se stampate, perché possono germinare ancora: “Duplicarsi, moltiplicarsi in cose numerose”. E “Pupazzi di neve” o “tigri di paglia” sono la stessa forma, quella del sogno. E poi voci di poeti. Scrive Céline, “è il nascere che non ci voleva”. Le parole che nascono nel mondo di Paola Silvia Dolci hanno l’ebrezza mite di un bacio nascosto, dato al buio, dopo una bevuta, mentre le cose si slegano e vorresti tenerle, proteggerle. Magari sognarle.

*

XV. San Valentino 2011
i.
Tra i morti in omaggio all’alcol
Mentre dormo mi accartoccio come una foglia
un vitellino, faccio l’acrobata e frantumo i polsi
La notte sta nella mia schiena

ii.
Ipotesi di bambina, ricomincia l’infanzia da capo;
un vecchio
non riesce più a vedere le stelle
Ipotesi di bambina, ramifica e fiorisce

-…e quando finiscono i gelati sono triste, soprattutto di notte
(Cremona, 14 febbraio 2011)

*

IV. Punta Ala, 17 aprile 2012

Devi tornare presto; i colpi
sulle braccia stanno guarendo.

Stamattina scrivo da un tavolino del porto,
è primavera, indosso il tuo foulard blu.
Se è vero, come in quella poesia,
che il sonno è più forte quando si sogna ciò che è stato
perché invece io piango?

La grazia di mancare il bersaglio.