C.

Ma tu sei la donna più bella del mondo. Per diritto di nascita. Il resto si soffia. La nebbia e la gioventù. Che è amare indiscriminatamente. Paola, posso dirti una cosa di me, abissale? Io non soffro nemmeno. Non so come succeda. Io non piango. Recito. Faccio ogni giorno le stesse cose. Finisco i libri. Io mi sento la tua ombra immobile. La tua, proprio la tua. Mi sento seminato ed emerso dalle tue parole, ma è un’evidenza romantica ovviamente. Non guardarmi nella caduta. Quello che è osceno è il cambiamento, è il pane dei pazzi, questioni irrisolte, i nodi del pensiero. Sembrano cose tue. Sei di una bellezza che ha dell’osceno, se preferisci. Perché irrisolta? Non so. Perché continua. Trascorrente. Un fiume. Fermati in un punto, un evento minimo, dove striscia il sole, le poche cose non uccise del passato, sotto i cenci. Ora se dovessi raccontare di te alla solita platea di maschere, ai danzatori in attesa, racconterei di come hai purificato la bellezza. Una storia edificante, teologica. Che poi la responsabilità del peccato, Shaitan, l’accusatore, il padre gnostico, di questo non so. Direi che non è colpa tua, perché ti voglio bene. Che poi è questa, la colossale autorità di una vita: disfare le colpe. Dirò, al pubblico, ai bambini in età da comunione, che così si spiega la tua storia anzi la tua leggenda.