Recensioni
E ricomincia il canto Lucio Dalla secondo Lucio Dalla (e Jacopo Tomatis)
a cura di Guido Michelone
L’inizio del 2022 è caratterizzato, sul piano culturale, da un duplice anniversario che riguarda la stessa persona, Lucio Dalla, che, scomparso esattamente vent’anni fa, avrebbe oggi compiuto 79 anni: su questa geniale figura di musicista, interprete, cantautore nel corso degli anni si spendono fiumi d’inchiostro, soprattutto post mortem, quando, soprattutto in Italia, figure di artisti in vita poco osannate vengono, subito dopo il decesso, portate in palmo di mano anche dai passati detrattori. Per fortuna c’è chi, soprattutto in ambito universitario, lavora bene a far luce sul’importanza di un personaggio quale Lucio Dalla nell’ambito della mitologia contemporanea. In questo caso Jacopo Tomatis, docente di Storia della Poipular Music al Dams di Torino con il libro E ricomincia il canto (Edizioni Il Saggiatore) raccoglie tutte le interviste rilasciate dal protagonista in quasi tutto l’arco di una carriera professionale ricchissima sotto ogni angolazione.
Tutto nasce quando Giuseppe Favi dell’editrice milanese ha l’idea di inserire un libro di sole interviste a Dalla in una serie di altri titoli simili (come accadrà infatti per Bob Dylan e George Harrison dei Beatles), scegliendo quale curatore forse il massimo esperto di canzone italiana, il quale accetta volentieri devo dire immediatamente, consapevole che sia il modo migliore onde raccontare un personaggio complesso, affascinante, multicolore: “(…) lasciando – dice Tomatis – la parola a lui, cercando di ricostruire le tracce e le cronologie di una carriera lunga e molto variegata attraverso come lui si era raccontato nei vari momenti della sua vita… non avevo fatto i conti con la quantità di interviste però, e con il personaggio Dalla. Mi aspettavo di trovare interviste profonde, con interlocutori selezionati. Invece ho trovato, e ho dovuto mettere insieme, una moltitudine di frammenti, di dichiarazioni estemporanee, concesse a riviste lontanissime”.
Si tratta di interviste tutte edite all’epoca appunto su testate eterogenee dalla comunista l’Unità alla cattolica Avvenire da PlayMen per soli uomini dal Guerin Sportivo per i tifosi di calcio. In questi dialoghi con svariati giornalisti non vi sono particolari scoop e nemmeno inedite rivelazioni, anche se alla fine risultano utilissime per comprendere l’uomo e soprattutto l’artista: “Certo – prosegue Tomatis – ripercorrere come Dalla si è raccontato lungo quasi mezzo secolo (dal 1966 alla morte) apre finalmente uno spiraglio sulla comprensione di una poetica ricchissima, originalissima, unica in Italia che fino a questo momento non penso sia stata sempre colta nel suo insieme da chi ha scritto di Lucio Dalla. C’è ad esempio una profonda coerenza tra il periodo beat e le ultime produzioni, spesso dimenticate… C’è, pur nelle inevitabili contraddizioni dell’uomo e nei ripensamenti (chi non cambia idea durante la sua vita, del resto?) un Lucio Dalla organico che viene fuori”.
La sensazione, dalla lettura di E ricomincia il canto, è che le interviste siano il pendant teorico (o mediatico) del Dalla musicista, interprete, cantautore, jazzman, personaggio, attraverso esternazioni che alla fine magari rispecchiano una figura sfuggente, a tratti irrisolta o forse di proposito evasiva, quasi che Lucio voglia indossare una maschera di fronte a chi lo intervista. “Dalla- riprende Tomatis – è evasivo, ma allo stesso tempo è generoso: quanti – all’apice della fama – si sarebbero concessi a così tanti intervistatori, in occasioni diverse? Ognuno di noi ha una maschera, e pensare di scoprire il “vero”, l’«uomo dietro all’artista» attraverso una raccolta di interviste in gran parte promozionali è davvero un’utopia. Del resto, qualcuno potrebbe dire che non conosciamo mai “veramente” neanche le persone più vicine a noi. A noi rimane il Dalla-personaggio, che si presenta spesso brillante, con la voglia di stupire e intrattenere il suo interlocutore occasionale. Dietro, certo, si intravede il Dalla-uomo – che però, mi sembra, è molto meno interessante, oltre che irraggiungibile.
Nel libro dunque le risposte di Lucio a molte domande quindi risultano abbastanza generiche, incomplete, prevedibili, diplomatiche, rivelando eterogenei atteggiamenti da parte dell’artista: talvolta sembra una pigrizia intellettuale ad approfondire questioni spinose, talaltra appare invece un qualcosa che va oltre, come del resto spiega lo storico della popular music: “In alcuni casi – soprattutto nelle interviste per la radio dei primi anni – si ha al contrario l’impressione di una mente tanto veloce che la parola non riesce a starle dietro. Sono interviste punteggiate di non sequitur, di divagazioni, di versi buffi per tagliare corto come se Dalla fosse già oltre quello che sta dicendo. Sono un ascolto affascinante, paragonabile al modo di improvvisare con la voce che ha Dalla, e che la versione scritta riesce a rendere solo parzialmente. Altrove, certo, Dalla non si espone, si cela, dà la risposta diplomatica che ci si aspetta… ma è normale che sia così: era pur sempre una popstar, e molte interviste sono quelle tipiche meccanismo promozionali del pop”.
Attraverso le interviste Lucio risulta non solo un uomo di musica (o che ha a che fare con essa) ma una sorta di intellettuale o maître-à-penser in molti casi imprevedibile, naïf o spiazzante. In alcuni dialoghi pare che riveli lacune culturali, in altri che viva di intuizioni momentanee, in altre ancora di una genialità fortemente creativa, come risultano del resto molte delle sue canzoni: “ Dalla – precisa in tal senso Tomatis – era un personaggio coltissimo e curioso, mai intellettualmente pigro per l’idea che me ne sono fatto leggendo e ascoltando decine e decine di ore di interviste. Non ha – questo e vero – una formazione metodica su tutto, ma sa spiazzare il proprio interlocutore con letture e ascolti inattesi – come quando si dichiara fan del grunge negli anni Novanta, o quando argomenta sul jazz”.
Anche da quanto indirettamente trapela dal libro, attraverso i ragionamenti su quei grandi dischi tra la metà degli anni Settanta e i primi Ottanta sembra quindi che il picco espressivo venga raggiunto da Lucio nei tre album con le liriche del poeta Roberto Roversi (già fondatore, vent’anni prima, della mitica rivista Officina con Pier Paolo Pasolini e Francesco Leonetti) sia con i primi album davvero cantautori ali, ovvero i tre/quattro susseguenti, dove Dalla scrive anche i testi, oltre le musiche. Infatti anche per Tomatis, in riferimento soprattutto alla trilogia roversiana, si tratta di “(…) un periodo irripetibile, e – personalmente – quello che preferisco. Però… Dalla ha scritto grandi canzoni anche dopo. Anzi, forse le sue grandi canzoni sono successive: mi sembra ingiusto non riconoscere lo statuto di capolavoro assoluto a dischi come Come è profondo il mare o Lucio Dalla. “Anna e Marco” è forse la più bella canzone pop italiana di sempre. Ecco, pop: è quella la chiave”.
In effetti tutto si comprende benissimo, anche talune ovvietà delle interviste degli anni Duemila, riconducendo il nocciolo della questione a Lucio dalla quale simbolo pop della società contemporanea, dove pop va inteso nella polisemica accezione di musica, cultura, arte, società, medium comunicazione : “Dalla voleva essere “pop”, non voleva essere un cantautore. Voleva piacere a tutti, sempre, non piacere alla critica e ai suoi fan più colti, hipster, alla moda… Da qui derivano anche quelle che potremmo definire “cadute” – penso al kitsch di Caruso, o di certe cose anni Duemila. Ma si tratta sempre e comunque di un Dalla consapevole, che mira a parlare al suo pubblico. Solo, forse, noi in quel momento non siamo “il suo pubblico”.
E per concludere, a livello letterario, esiste una poetica costante, coerente, consapevole o in altre parole un fil rouge, a livello comunicativo, ed è proprio quello del pop, come sostiene Tomatis: “Una della parole che ricorre più di frequente nelle interviste è “comunicazione”. Dalla voleva prima di tutto “comunicare”, arrivare alla gente. La sua carriera è la storia di un filo rosso musicale e poetico, ma anche di un continuo inseguimento del mercato: quanto va di moda il beat, è beat. Quando vanno di moda i cantautori, fa 4 marzo 1943 presentandosi di fatto come un cantautore, a Sanremo. Negli anni del prog fa i dischi con Roversi, complessi e sfaccettati negli arrangiamenti. Arriva il reggae, e lui lo infila in Disperato erotico stomp… e via così. È questo il filo rosso: Dalla è stato pop, del tipo migliore”.
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