Recensioni
Eugenio Montale – Rifare Poussin, d’après nature
a cura di Guido Michelone
Rifare Poussin, d’après nature: sono circa 300 le pagine di testo analitico, altre 120 di note critiche (ben 750!), ancora 300 di immagini visive con 299 figure o meglio con riproduzioni fotografiche (purtroppo di dimensioni ridottissime) di quadri, disegni, bozzetti, foto, sculture, stampe, oggetti, riguardanti più o meno direttamente l’opera letteraria del maggior poeta italiano del XX secolo: Eugenio Montale. Il premio Nobel 1975 risulta dunque oggetto di profonda disamina da parte di un italianista, esperto altresì di rapporti fra arte e letteratura, per dimostrare come la poesia in primis – ma anche la prosa, la saggistica, il giornalismo – sia positivamente influenzata soprattutto dalla pittura a lui coeva, grazie al possesso di una cultura enciclopedica, che, però, lo scrittore, molto intelligentemente, pare nascondere dietro la sintesi, la secchezza, il risparmio, l’ermetismo appunto del proprio stile formale e contenutistico.
Montale, come si sa, non è soltanto un uomo di penna, ma altresì di voce e di pennello, nel senso che, sin da giovane, mostra una bella voce tenorile, adatta all’opera lirica, che però esercita solo in privato fra amici, precludendosi una carriera nel melodramma, poi da lui traslata nell’attività di critico musicale per giornali e riviste. Alla stessa stregua coltiva anche la passione dell’arte, dipingendo paesaggi, marine, nature morte, con uno stile asciutto, dai richiami via via impressionisti, novecentisti, espressionisti, che fanno pensare addirittura a una sorta di visualizzazione della propria opera letteraria da Ossi di seppia a Diario postumo, da La farfalla di Dinard ad Autodafé. Il meticolosissimo lavoro di Ciccuto di riportare – e riportare ogni frase, ogni parola, ogni idea di Montale a un universo visivo che percorre soprattutto l’intero Novecento resta straordinaria per completezza, energia, scavo interiore: difficile da riassumere o presentare con estratti, perché il libro è come un flusso dove scorrono le immagini di un discorso in grado di proporre accostamenti insoliti, pratiche interdisciplinari ed equilibri verbo-visivi che ambivalentemente riescono ad esaltare tanto l’opera montaliana quanto la pittura moderno-contemporanea.
Montale in altre parole impiega il proprio immaginario visivo per un confronto ininterrotto e un accostamento creativo fra epoche antiche e moderne, in cui l’operare pittorico e scultoreo (e anche musicale) risulta una cifra stilistica riconoscibilissima, dove la scrittura orchestra incessantemente le occasioni (per il moderno Macchiaioli, Divisionisti, Fauves, Metafisici, Surrealisti, Informali) su cui sviluppa un insistito esercizio di lettura del mondo sub specie artis. E Ciccuto fa emergere i tanti segni che contribuiscono a definire di Montale una diffusa condizione espressiva, che si lega per ciascuna stagione creativa alla ricerca della presenza dei valori assoluti dentro l’esistente, ma non sempre avvisabili nelle esperienze dell’arte figurativa di ogni tempo e luogo. Ecco allora il realismo metafisico per alcune radici profonde e ‘classicheggianti’ del pensiero montaliano, nonché di una tensione a legarsi allo “spirito del proprio tempo”, nel frequente accostamento a una linea dell’arte moderna che riconosce in Chardin, Corot, Cézanne o Morandi i referenti maggiori.
Nel 1953, riflettendo sui dipinti del Braque anziano, Eugenio Montale esplicita tanto le preferenze quanto le idiosincrasie nella pittura moderna e in genere per l’arte figurativa, scrivendo di «accettazione del reale» e di «disgusto della pittura da paravento». Partendo dalla celebre frase di Cézanne: “Rifare Poussin dalla natura”, Ciccuto tratta dunque la lunga fedeltà del grande scrittore alle arti visive, come si trattasse di una «seconda vista», riscontrabile nelle poesie e nei saggi, sostenendo giustamente che «Quasi non esiste lirica o pagina della scrittura di Montale che non riveli una riflessione ricavata dal contesto o dal linguaggio dell’arte. È quasi un tic del poeta, ed è stato per me persino divertente inseguire in tutti i suoi testi la miriade di richiami a fatti del mondo dell’arte, citazioni e descrizioni di opere, le esperienze di lettura davanti a dipinti, sculture, musiche, stampe, fotografie, installazioni che il poeta ha incrociato sin dalle primissime battute della sua attività di scrittore».
Per Montale dunque l’arte visiva deve poter comunicare la volontà di avvicinarsi a un senso possibile del mondo e della vita, in un attaccamento a ciò che va oltre il visibile e la realtà, per segnalare quindi all’umanità cuò che conta e dura nel tempo. Sotto quest’ultimo aspetto, che rappresenta un caposaldo della poetica-estetica montaliana, Ciccuto passa in rassegna le tante esperienze artistiche più o meno dichiarate, in grado di iniziare a sostenere la ricerca dell’essere coerenti con l’ordine delle cose dell’universo. Si scopre quindi che Montale non ama l’Impressionismo inteso come ‘fenomeno limitato a sensazioni fuggevoli o casuali intuizioni luministiche’, caos di cromatismi (Futurismo, Divisionismo…), nemmeno il liberty troppo decorativo e decorativistico. Risulta altresì scettico sul Cubismo (troppo impostato su formule) così come è lontano via via dal caos cromatico del Divisionismo e del Futurismo fino alla sordità del neoclassicismo, la superficialità dell’astrattismo o le tante vicende frammentate tra inutilità dell’esprimersi e immobile, superficiale indifferenza dei risultati».
Montale osserva invece i segni del positivo in qualche possibile salvezza, che vibri di un significato eterno senza presentarsi subito ai sensi: e si tratta di un lavoro che spetta a una pittura complessa e pluridimensionale, come le tele di Cézanne o di Corot, a cui reste sempre fedele, alla stessa stregua di un “realismo metafisico” che esprima con adeguatezza i sentimenti profondi delle forme. Il poeta quale pittore amava definirsi “una sintesi di De Pisis e Morandi”, due artisti a lui vicini anche nella frequentazione diretta.
Cfr.: Marcello Ciccuto, «Rifare Poussin, d’après nature». Montale e l’arte del nostro tempo, Aragno, Torino, 2019, pagine 741, euro 60,00.
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