Recensioni
Giorgio Gaslini, il poeta della musica totale
a cura di Guido Michelone
Giorgio Gaslini in questi gironi avrebbe compiuto novant’anni: un età a cui tutti pensavamo potesse tranquillamente arrivare vista la tempra dell’uomo e la volontà dell’artista che, abbandonato ormai il pianoforte per una forte artrite a entrambe le mani, si limitava a comporre e a voler arrivare a scrivere la sua Sinfonia n. 10. Poi quello che sembrava un banale incidente – la caduta da una scala, dopo la cena in una trattoria dove era di casa – si è via via trasformato in incubo, in dolore, in malattia sino a condurlo rapidamente alla morte (un po’ come accaduto un quarto di secolo prima al grande scrittore Roland Barthes dove che un’Ape l’aveva investito in strada a Parigi). A questo poeta della musica totale è doveroso quindi dedicare ora un breve ma commosso e approfondito ricordo.
Per sempre un amico
Nato a Milano il 22 ottobre 1929, Giorgio Gaslini resta per sempre un amico – di proposito sono i verbi al presente per rimarcarne l’attualità – un amico che purtroppo, al di là degli ascolti discografici, negli anni non si riesce a frequentare con assiduità o costanza, benché i rari incontri, alla luce dei fatti, risultino sempre memorabili. La prima volta di Gaslini, nel personale ricordo, è in televisione in una trasmissione per ragazzi, Chi sa chi lo sa, ospite di Febo Conti, e suona al pianoforte un brano che per gli adolescenti di allora, innamorati di Beatles e Rolling Stones, suona difficilissimo. Corre l’anno 1968.
Per sentirlo dal vivo, in carne e ossa, sempre nel ricordo personale, occorre aspettare il 1976, a Trino Vercellese, un paesone della Bassa Padana, dove tiene un formidabile concerto in quartetto con Gianni Bedori: dopo, per una ‘radio libera’ c’è immancabile un’intervista, a concerto ultimato con tre bis; e l’intervista la si fa, seduta stante, molto gentilmente: con un vecchio registratorino si parla senza fretta, circondati da molti amici, tutti assieme in mezzo alle file di poltrone del palcoscenico, mentre uno spettatore infastidisce il discorso strimpellando malamente il pianoforte al punto che Gaslini seccato esclama: “Fatelo tacere!”. Purtroppo l’audiocassetta di quella lunga amabile chiacchierata è al momento irreperibile: sarà classicamente ‘perduta’ in qualche solaio.
Regolarità quasi metodica
Il successivo incontro con Giorgio avviene nel 1981 d’estate ad Albenga per un concerto per piano solo in un anonimo parcheggio verso la periferia: una location tristissima, attenuata per fortuna dalla presenza di un pubblico numeroso che alla fine circonda Gaslini con domande e complimenti: in mezzo alla folla c’è solo il tempo, da parte del ‘critico ormai ‘navigato’, di un fugace saluto e di aggiungere: “Ci vediamo con calma poi a Milano, dopo le vacanze”. L’incontro sarà solo telefonico da allora in avanti accadrà per oltre trent’anni con regolarità quasi metodica; e ogni volta che il mensile «Musica Jazz» pubblica l’annuale Referendum, Giorgio chiama, da vero signore, per ringraziare anche solo di un terzo posto, a differenza di tanti suoi colleghi, dai quali non si riceve nemmeno un ‘grazie’ magari per due Top One consecutive. Le telefonate con Gaslini sono lunghe, dense, amabilissime: a registrarle tutte, poi trascrirle e pubblicarle, oggi esisterebbe un’immensa enciclopedia di jazz, di musica colta e popolare, di cultura del presente e del passato, di filosofia, di politica, di modus vivendi.
Non mancano però le occasioni di riascoltarlo in concerto o di sentirlo parlare in pubblico: ma sinceramente si perde il conto delle volte in cui un recital, un dibattito o una presentazione di un libro diventano autentiche rimpatriate nella condivisione di tante esperienze (artistiche e non). Al proposito, vanno citati ancora solo due momenti epocali: quando l’editore Marco Zapparoli di Marcos y Marcos nel 1998 organizza una festicciola alla Comuna Baires di Milano per il volume Mi ricordo il jazz, in cui si riesce a ottenere dalla Francia l’introduzione postuma del mitico romanziere patafisico George Perec: è una guida in cui vengono commentati brevemente tutti i libri sul jazz usciti in Italia dal 1929 al 1997. Gaslini si complimenta per l’iniziativa, augurando al curatore del testo di scriverne altri 100, di libri, come più o meno in effetti si sta avverando. Anche a una tavola rotonda al Circolo della Stampa di Milano, nel 2004, Giorgio fa la parte del leone, ma in senso buono, sciorinando in pochi minuti una vera e propria storia del jazz, come nessun altro jazzman, forse, sia in grado di proporre con quelle formulazioni precise, eleganti e coinvolgenti.
Lecito magistralis
Poi l’ultimo grande rendez-vous del 2010 quando Giorgio viene invitato come testimonial di se stesso per una lecito magistralis al corso di Storia della Musica Afroamericana presso il Master in Comunicazione Musicale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si presenta all’ingresso di via Sant’Agnese, parecchi minuti prima, con quella giacchetta di lamé, che spesso indossa ai concerti o sulle copertine dei dischi: in aula sono due ore indimenticabili per gli studenti affascinati dall’eloquio, dall’erudizione, dal fascino che suscita un artista a tutto tondo. Viene appuntata una sua frase alla lavagna e poi su un taccuino: “Ma cos’è il jazz? Una preghiera mormorata tra due bicchieri di gin”, citando dai ricordi personali un’asserzione di Duke Ellington.
Infine va rammentata ancora un’ultima importante conversazione al telefono, quando in occasione di un altro libro – Sincopato tricolore. La storia del jazz in Italia dal 1900 al 1960 – l’editore vuole anche un’intervista a tre protagonisti dell’epoca: con Giorgio diventa un racconto che si potrebbe trasformare in un intero romanzo. Tra aneddoti e curiosità di quell’ultimo contatto, si potrebbe partire dalla fine, soltanto citando un episodio: “Ero stato invitato – è Gaslini che parla – a suonare al Festival di New Orleans alla fine degli anni Settanta e prima di esibirmi c’è un gruppo hard bop di giovani del posto, non apprezzatissimi dal pubblico; ma tra di loro mi colpisce il trombettista, tant’è che dico ai miei compagni, che se lo ricordano ancora: quel ragazzo farà strada! Quel ragazzo ho poi saputo che si chiamava Wynton Marsalis!”.
Storia italiana
In quella conversazione Gaslini narra se stesso e oltre mezzo secolo di storia italiana cominciare da quanto accade nel jazz in Italia nell’immediato dopoguerra, allorché sostiene che, in generale, dopo l’arrivo degli Americani, c’è molta comunicazione: dopo anni di censura e di silenzi, si parla in giro, si discute nei bar, si avverte insomma l’ansia di ricostruire; a Milano poi si sparge la voce di un ragazzino diciassettenne che suona già il bebop. Ma quando lui, in seguito, sente per la prima volta il piano di Dodo Marmarosa nei gruppi di Charlie Parker (poi Lennie Tristano e dopo ancora Thelonious Monk) Gaslini è già su quella linea: con Gino Stefani (futuro musicologo) è fra i primi in Italia a suonare il nuovo jazz.
In corso Sempione la RAI, allora EIAR, propone trasmissioni radiofoniche fisse ogni sabato pomeriggio; tutto in diretta, un’ora la settimana, ci sono duo pianistici importanti come Biormioli-Semprini oppure Achille Scotti un non vedente come George Shearing (e più o meno a caso suona come lui) assieme a Fedi, che trasmettono da mesi; poi avviene un dissidio tra loro; Scoti resta solo e allora si informa e gli dicono che c’è questo ‘ragazzino’ che suona molto moderno. Scotti chiama dunque Gaslini il quale va da lui, a casa sua, in un bellissimo appartamento dell’alta borghesia, con ben due pianoforti a coda: e lì gli basta suonare per un minuto per sentirsi dire: “Sei scritturato!”. E suonerà quindi all’Istituto nazionale dei Ciechi con due pianoforti: un anno di trasmissione!
Da cosa nasce cosa
E da cosa nasce cosa, perché il giovane Giorgio partecipa di lì a poco al Primo Festival Internazionale del Jazz Europeo che si tiene alla mostra Mercato di Firenze, alla presenza dei critici Arrigo Polillo, Roberto Nicolosi; Gaslini si esibisce con il proprio trio, ovvero Gilberto Cuppini alla batteria ed Eraldo Volonté al sax tenore, di certo la punta più avanzata del jazz italiano perché fanno il bebop. Da Roma arriva l’Hot Club, che ovviamente suona traditional, con Carlo Loffredo e Bruno Martino, futuro crooner, mentre come ospite giunge il famoso jazzologo francese Charles Delaunay che, dopo la performance, sussurra al trio “Oh, déjà au bebop!”, che è un gran bel complimento per quei tempi…
Del resto lungo la Penisola non ci sono in giro altri bopper tricolori. Dopo Firenze, viene fuori anche Nunzio Rotondo, straordinario solista, che poi si rincantuccia a fare trasmissioni RAI e suona poco in pubblico, ma nella storia della tromba italiana resta il capostipite: un po’ cavernicolo, secondo Gaslini, perché si isola spesso, ma si tratta un vero artista, che si abbevera a Louis Armstrong, allora amatissimo da tutti.
Il 30 febbraio 1948 Giorgio registra Ow! a Milano, il suo primo disco, andando molto coraggiosamente dal direttore della Voce del Padrone; con lui c’è un certo Stefani, allievo di Conservatorio, che suona benissimo il clarinetto e con il quale lavora l’estate prima a Courmayeur, che poi diverrà famoso come semiologo della musica insegnando per anni e anni al DAMS di Bologna, fondato con lui e altri da Umberto Eco.
Diciannovenne.
Ma sul più bello, diciannovenne, Giorgio si ritira per quasi un decennio dalle scene jazz; ha il coraggio, la forza, l’esigenza di perfezionare i propri studi, chiudendosi in casa, staccando il telefono per non rispondere alle chiamate di chi vuole che suoni nei night club. E si presenta quindi al Conservatorio Verdi di Milano, dove succede che avendo lui esperienza pratica di concertista, gli abbuonano molti anni di frequenza, e dove comunque ottiene ben sei diplomi a pieni voti, con studi anche variegati ad esempio polifonia vocale o canto corale, avendo dalla sua anche ottimi insegnanti, ad esempio Carlo Maria Giulini, il grande direttore d’orchestra, per la letteratura italiana un certo Salvatore Quasimodo, che qualche anno dopo riceve il Premio Nobel.
A Gaslini di certo non manca la voglia di studiare, essendo la sua la generazione del dopoguerra: assetata di conoscenza e progresso: tra i compagni di studi ha per esempio Claudio Abbado, Luciano Berio, Niccolò Castiglioni e Bruno Canino del quale dirige il saggio di diploma e con il quale è sempre insieme nel suo alloggio, il sabato pomeriggio, a suonare, mentre con Berio si leggono mezza biblioteca di Conservatorio.
Poi nel 1957 c’è il ritorno al jazz, in un anno in cui c’è nella mente di Gaslini una sorta secondo ciclone, come egli stesso lo definisce. Si chiede anzitutto cosa stia facendo, scoprendo che stava accantonando, per gli studi, la comunicazione che la musica jazz gli consente. Allora dice fra sé e sé che forse è giunta l’ora di poter fare la sintesi tra queste due esperienze, il jazz e gli studi classici: pensando a tutto questo la strada risulta ovviamente in salita e nel deserto.
L’occasione buona
Arriva tuttavia l’occasione buona quando Testoni e Polillo lo invitano al Festival Jazz di Sanremo, quando si esibiscono due soli artisti: lui e il mitico Sidney Bechet; e Giorgio scrive al proposito Tempo e relazione per otto musicisti di cui tre vengono dal mondo classico, proponendolo lì per la prima volta, con metà del pubblico in delirio, l’altra metà tesa a insultarlo!
E subito dopo la performance di Tempo e relazione, Gaslini pensa di essere “sulla strada giusta”, perché se arriva a creare una doppia reazione, vuol dire che c’è dentro qualcosa di rivoluzionario. E Tempo e relazione cambia davvero la sua esistenza perché, in parallelo, viene assunto alla Voce del Padrone (proprietà della EMI inglese) in via Domenichino a Milano; e lì diventa braccio destro del direttore artistico, che ha il ruolo di responsabile delle registrazioni di grandissimi interpreti classici e operistici dalla Callas a Di Stefano, dai Musici ai Virtuosi di Roma, dal Quartetto Italiano a tutto il jazz e il pop (come Renato Carosone) e persino il folk alla Secondo Casadei, zio del Raoul del ballo liscio.
E naturalmente anche per Gaslini si offre la possibilità registrare, visto il successo sulla carta stampata di Tempo e relazione: la Voce del Padrone decide di farne un disco EP che, come da lui ammesso più volte, davvero gli cambia la vita, al punto che quando John Lewis del Modern Jazz Quartet ha modo di ascoltare il disco, lo invita in America a suonare, rispettivamente nel 1959 e nel 1960, anni in cui assieme a Gunther Schuller si compiono sperimentazioni analoghe con l’invenzione della cosiddetta third stream music, della quale Giorgio è in un certo senso l’antesignano.
Un aneddoto
Oltre tutto ciò, esiste un aneddoto, proprio del 1960, svelato da Gaslini medesimo, quando un giorno in ufficio, alla Voce, arriva Nicola Arigliano – un sabato, un buio pomeriggio autunnale – assieme a Marcello Mastroianni, divenuti amici sul set di un film; Giorgio è colpito da questa visita: Nicola è già un valido crooner, Marcello gli appare umile e stiloso al tempo stesso. “Per ringraziarla della visita – gli dice – le regalo questo disco di estrema avanguardia”, porgendogli l’EP di Tempo e relazione, non sapendo che l’attore sta girando, in Lombardia, La notte (con la regia di Michelangelo Antonioni all’epoca già autore di culto), in cui la seconda parte del film riguarda la festa per lo scrittore. Fatto sta che la sera stessa Mastroianni mostra il disco ad Antonioni che cerca per le musiche del film un autore del Nord, mentre di solito, quando lavora al Sud, collabora con Giovanni Fusco, meridionale.
Infatti Antonioni ascolta tutta la notte il disco e la domenica mattina gli telefona: “Maestro, voglio sentire tutto quello che ha fatto!”. Come dischi, Gaslini ha solo Tempo e relazione e i 78 giri di dieci anni prima. Tenta quindi di bluffare dicendogli: “Tengo tutti i miei materiali in archivio alla Emi, non a casa mia”. E lui, impassibile: “L’aspetto stasera all’Hotel Manzoni, mi porti tutto”.
Un revox
Come provvedere? In ufficio c’è un revox con un nastro di un’ora, Giorgio accende il magnetofono mettendosi a improvvisare al pianoforte; registra e prende quindi la bobina e la lascia alla reception dell’albergo perché Antonioni non si trova. Deluso, trascorre il lunedì senza speranza, ma martedì il regista telefona, dicendogli: “Cominciamo!”. E Gaslini: “Ma cosa?”. Con il proverbiale aplomb, Antonioni: “La seconda parte de La notte con Monica Vitti e Jeanne Moreau; ho bisogno di lei come attore/musicista, con il quartetto, al Golf Club di Barlassina. Le offro un contratto di un mese dalle nove di sera alle sei di mattina”. E per un mese è così: di giorno lavora alla Voce e la notte, appunto, con Alceo il batterista che guida l’auto da Milano alla Barlassina avanti e indietro.
Per tutto il tempo Antonioni chiede a Giorgio un brano ogni sera: del film non esistono copioni, attori e tecnici ne ignorano la trama, ma alla fine Gaslini riesce a comporre l’intera colonna sonora del lungometraggio, cogliendo le percezioni del regista, come a trattarsi di un’affinità elettiva. Poi mesi dopo, senza assistere alla fase di post-produzione, Gaslini va al cinema e scopre un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale con una colonna sonora che mai e poi mai potrebbe scrivere a tavolino. Le musiche ottengono il Nastro d’Argento, che è come un Oscar italiano, per gli score musicali.
Un languido e stupendo blues
Spicca dal soundtrack il brano Blues all’alba (1960) che risulta un languido e stupendo blues suonato quasi in maniera classica, per un autore che si fa strada come alfiere della sperimentazione, ma che dimostra di conoscere benissimo il linguaggio jazz; il pezzo di quasi sei minuti è il più lungo dei cinque facenti parti della colonna sonora del film La notte, in quartetto con Eraldo Volonté al sax tenore, Ettore Ulivelli al contrabbasso e Alceo Guatelli alla batteria.
Da lì in fondo inizia la vera storia del Giorgio Gaslini jazzman che si protrae fino al giorno della sua morte il 29 luglio 2014 a Borgo Val di Taro, un artista da sempre curioso e attento alle trasformazioni anche in senso tecnologico di ogni disciplina espressiva, come ricordano queste poche righe dal suo libro più noto Il tempo del musicista totale: “Il musicista degli anni Cinquanta-Sessanta, di fronte all’esplosione mondiale dei grandi mezzi di informazione sonora: televisione, disco, cinema, audiovisivi, si è trovato in molti casi impreparato sia filosoficamente, sia professionalmente, sia politicamente. È curioso notare che di fronte al disco ad esempio non ci si è organizzati subito in cooperative autogestite”. Parola, ancor oggi più che profetiche, grazie a un poeta della musica totale.
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