La peste nuova di Fulvio Abbate

a cura di Guido Michelone

Nel 1947 esce il romanzo La peste del franco-algerino Albert Camus (1913-1960), capolavoro dello scrittore filosofo esistenzialista, nonché testo-chiave per l’intero Novecento. Nel 1997 il palermitano Fulvio Abbate (1956) ha l’idea di farne la parodia, pubblicando quindi La peste bis per Bompiani, trampolino di lancio, in via definitiva, per uno scrittore sui generis dalla cultura variegata, giunto all’epoca al quinto libro, a cui faranno seguito ben venti in un quarto di secolo, quasi alla media di uno all’anno: Quando c’era Pasolini e Gauche caviar, al momento sono gli ultimi, entrambi del 2022.
All’inizio del 2020, forse sull’onda emotiva dell’inaspettata pandemia, Abbate decide di riscrivere totalmente la ‘sua’ pestilenza che diventa La peste nuova, sempre con Elisabetta Sgarbi quale editor, ma in una fresca casa editrice, dai lei fondata assieme a Umberto Eco con l’impegnativa denominazione La Nave di Teseo.
La peste nuova è un libro, per molti versi, innovativo, originale, autonomo e come tale va giudicato: e lo si deve ora analizzare, a quasi tre anni di distanza, come una delle primissime testimonianze narrative a caldo sul Covid-19, si pensa che la data di pubblicazione risale al luglio 2020, mentre la postfazione è firmata 25 marzo 2020: quindi la stesura avviene in tempi rapidissimi, circa un mese, considerando che le prime restrizioni governative a causa del virus avvengono a fine febbraio. La peste nuova è un romanzo allegorico e surreale, nella vena tipica di un autore anarcoide, il quale però non rinuncia sia alla bella forma sia a un impegno contenutistico, lanciando in fondo un messaggio sulla salvezza o meglio su come immaginare un’idea salvifica in una condizione drammatica di radicale emergenza.

Per gustarsi meglio il libro, occorrerebbe rileggersi prima l’originale camusiano, dove si narra della città di Orano all’improvviso colpita da un’epidemia inesorabile. Isolato, allo stremo e senza chance per stoppare la peste, l’habitat urbano diventa scenario e laboratorio delle passioni di un’umanità al contempo disgregata e solidale, ragion per cui diventano protagonisti della storia via via la fede religiosa, l’edonismo di chi evita le astrazioni (incapace però di «essere felice da solo»), i normali sentimenti dei propri doveri, mentre alleati del morbo risultano l’indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l’egoismo gretto.
Si tratta insomma di un racconto vibrante nella dimensione corale e con una prosa superiore alla confessione: ancor oggi La peste appare un romanzo vivo e attuale, sotto il segno di metafora dove il presente continua a riconoscersi.
Abbate a grandi linee rispetta tale assunto, benché l’ambientazione venga spostata in una città italiana (di cui non rivela il nome) e la coralità sostituita da un protagonista in carne e ossa, Guido Battaglia, inventore di barzellette, da poco in crisi, dopo la fuga dell’amata collega Valeria. In una metropoli invasa da soldatesche e ambulanze, Guido incontra due bellissime ragazze che gli promettono amore eterno se riuscirà a scrivere la barzelletta in grado di salvare i destini dei malati e dei sani. Battaglia accetta la sfida, giovandosi dell’aiuto di un medico, fino a scoprire un’atroce verità.
La peste nuova non è solo un testo sulla pandemia, ma anche una riflessione filosofica sull’intellettuale contemporaneo nei rapporti con il mondo, il potere, il sesso, il quotidiano, il trascendente, che, a distanza di tre anni dall’uscita, rimane ancora inquietante e attualissimo.

Cfr.: Abbate, Fulvio La peste nuova, La Nave di Teseo, Milano 2020.