La poesia degli standard

Riflessioni su The Song Is You di Rava e Hersch

a cura di Guido Michelone

Il celebre brano (1932) di Jerome Kern e Oscar Hamnmerstein II che dà il titolo all’intero album – uscito nel settembre 2022, ma registrato in Svizzera nel novembre 2021 – e che non a caso è centrale (quarto) rispetto agli otto pezzi in scaletta, letteralmente significa ‘La canzone sei tu’ in chiaro riferimento a una donna amata, ma nel disco, ovviamente strumentale, essendo un duo per flicorno e pianoforte, il titolo acquista un’altra connotazione simbolica in riferimento ai contenuti del CD medesimo: a parte il secondo tune Improvisation, che, pure all’ascolto, rimanda a una performance estemporanea tra Rava e Hersch, gli altri sei non solo risultano famosi e datati a rientrano perfettamente nel repertorio dei cosiddetti standard. Nell’ordine Retrato em Branco e Preto (1965) è un caposaldo della bossa nova brasiliana, I’m Getting Sentimental Over You (1935) canzonetta scritta da George Bassman e Ned Washington è ricordata per la stupenda versione in chiave ballad dell’orchestra swing di Tommy Dorsey, la title track appartenente al teatro (il musical) è di solito associata alla voce di Frank Sinatra; la seconda metà del disco appartiene al novero dei jazz standard con i due Child’s Song (1983) e The Trial rispettivamente di Fred ed Enrico, mentre il finale è tutto del geniale pianista bebop Thelonious Monk con le classicissime Misterioso (1958) e ‘Round Midnight (1944): a quest’ultima, nella stesura, collabora pure Cootie Williams della big band di Duke Ellington. Jazz o no, sono tutti standard, termine con cui si qualificano i brani entrati nel repertorio jazzistico e condivisi dalla comunità mondiale di solisti e gruppi che improvvisano variando su un tema già noto.

Portando agli estremi il ragionamento, la canzone (ossia lo standard) si riferisce perciò a un ‘tu’ confidenziale che può essere sia il jazz sia il jazzista, perché la quintessenza del vero jazz sta proprio nel sovrapporre, nel fondere, nell’includere suoni, idee, movimenti, percezioni, linguaggi, da sempre, fin da subito. E quindi il lavoro sugli standard non a caso arriva di solito all’inizio e alla fine di una carriera: all’inizio per imparare il mestiere, alla fine per omaggiare il jazz medesimo. Ed è sotto quest’ultimo aspetto che si sostanzia questo autentico capolavoro dove l’italiano (1939) e lo statunitense (1955) metaforizzano la poesia degli standard attraverso un dialogo intenso pur nell’uso di spazi e tempi dilatati, dove il silenzio è anche segno fondante della capacità di inventare inedite articolazioni su repertori già sentiti mille volte, ma che qui, lungi dal brillare di luce riflessa, rinascono a nuova vita, spesso lontana dagli assunti originali, giacché l’intero album è intriso di note crepuscolari, dolenti, malinconiche. Alla fine la visione del mondo passa attraverso una lirica nostalgia che non fa altro che ribadire, rilanciare, ringiovanire, appunto, la poesia degli standard.