Approfondimenti
La poesia del blues in 5 cd
a cura di Guido Michelone
Il blues, da circa un secolo e mezzo, è senza dubbio una forma di poesia che s’accompagna con la musica (benché, talvolta, quest’ultima diventi prevalente nei delicati equilibri fra le parti sonore e le componenti letterarie) così come, in un passato anche remoto, risultano forme di poesia i poemi omerici, le ballate dei menestrelli, il lied romantico e tantissimi altri esempi (magari oggi persino l’hip-hop) in cui i versi si integrano o si rapportano a una base ritmica, armonica, melodica, supportando una oralità che diventa cantata.
Il blues è altresì la prima vera originale forma d’arte musicale afroamericana, di poco preceduta dallo spiritual (che però trae spunto e origine dalla tradizione cristiana protestante); e in 150 anni il blues sta compiendo un’evoluzione fondamentale per la vita stessa delle sonorità contemporanee, se si pensa che, a inizio Novecento, il blues dà origine al jazz e dagli anni Quaranta la corrente r’n’b genera ciò che tutt’oggi viene chiamata rock music. Al di là delle infinite varianti, esiste però una linea maestra del blues (ridotta all’essenziale voce e chitarra o armonica) che, dai campi di cotone nel South Deep tra la fine della Guerra di Secessione e i nostri giorni, procede imperterrita se non con qualche aggiunta parallela come ad esempio l’elettrificazione di alcuni strumenti musicali.
A livello di contenuto dei testi, le pubblicazioni e gli studi sul blues abbondano, mentre al contempo esiste una letteratura discografica che fa dell’LP (e oggi del CD) un referente assoluto, come dimostrano cinque nuove uscite – Migration Blues di Eric Bibb, Golden Boy di Watermelon Slim, In Time Live These del Rev. Sekou, Pick Your Poison di Selwyn Birchwood, Royal Mind del gruppo The Cash Box Kings – meritevoli di qualche commento.
Il discorso può iniziare con l’album Migration Blues di Eric Bibb, forse il maggior esponente oggi del blues classico contemporaneo: originario di New York, a vent’anni si trasferisce in Svezia dove risiede tutt’ora. E il disco sembra essere riassunto da una dichiarazione dello stesso autore: “Che tu sia un mezzadro che fa l’autostop da Clarksdale a Chicago nel 1923 o un orfano siriano su un gommone pieno di rifugiati nel 2016, è sempre il blues della migrazione”. L’album infatti viene coraggiosamente impostato sul dramma dei migranti, con un’invettiva politica ricca comunque di sentimento e di compassione, giacché Bibb sostiene che “Il pregiudizio verso i nostri fratelli e le nostre sorelle che chiamiamo rifugiati è il problema. Paura e ignoranza sono i problemi. I rifugiati non sono il problema, sono coraggiosi esseri umani che scappano da circostanze tragiche”. E dunque in tal senso l’album resta un affascinante compendio di blues e folk song in acustico (tra cui due cover, in tema, di Bob Dylan e Woody Guthrie), dallo stile chitarristico oggi ineguagliabile, secondo un punto di vista della poesia del blues.
Utile è quindi proseguire con l’album Golden Boy di Watermelon Slim, che di fatto è un cantautore
blues emerso dalla confusione socio-psicologica dell’America odierna, insomma un poeta ribelle come si evince già dal volto segnato riprodotto in bianco e nero sulla copertina: il protagonista è un veterano della guerra del Vietnam, di volta in volta operaio, camionista, attivista sociale ma anche proletario laureato, esegeta di William Shakespeare, con un quoziente di intelligenza eccezionale: non a caso egli stesso ama definirsi senza falsa modestia il bluesman più erudito del mondo. E, Slim vive adesso nel Delta del Mississippi (patria storica del primo blues) mettendo in musica il vero spirito statunitense, con un perfetto equilibrio fra blues e canzone, fra testi lirici e coscienza sociale; l’album Golden Boy risulta altresì una dichiarazione amorosa verso il Canada quale nazione tanto vicina quanto diversa dagli USA, ad esempio per il welfare; tra i brani in repertorio Watermelon intona l’inno ufficioso canadese e via via diversi temi sociali dai senzatetto ai neonazisti fino a Kennedy e alle vittime dell’american dream.
Continuando il discorso In Time Live These del Rev. Sekou (Osangyelo all’anagrafe) è forse l’album migliore del noto attivista, scrittore, documentarista, teologo, il quale è ritornato nella casa natia del profondo sud, per esplorare le radici sonore della propria famiglia, radici che affondano nella tradizione blues dell’Arkansas e più in generale in quella gospel nero-americana. Prodotto e corealizzato da Luther Dikinson (North Mississippi Allstars) il disco simboleggia l’attuale significato del blues sudista poiché risulta intriso del sudore e delle lacrime del grande fiume, con una bella serie di paesaggi sonori a sua volta richiamanti i lamenti gutturali delle squadre di lavoratori forzati e la vitalità di manifestazioni in strada, o l’umanesimo dei bar più isolati e squallidi o ancora il soul delle chiesette di provincia. D’altronde Sekou è “figlio” d’arte: il nonno biologico suonava con leggende come B.B. King o Louis Jordan, mentre il nonno che l’ha cresciuto era una figura di spicco della Chiesa, nonché organizzatore del sindacato dei ferrovieri.
Arrivando ora Pick Your Poison di Selwyn Birchwood, c’è il ritorno del più giovane e brillante cantante-chitarrista del blues contemporaneo. E, l’album risulta il seguito di Don’t Call No Ambulance con cui egli vince il premio Blues Award 2015 quale miglior esordiente. Infatti, in questi ultimi tre anni Selwyn gira il mondo facendo letteralmente impazzire fans e giornalisti accorsi in club, teatri, festival; in questo disco, con tredici nuovi brani, si ascolta dunque la riconferma di un musicista dall’innegabile talento, destinato quindi a ritagliarsi un posto fra i grandi del genere, perché si tratta di un disco esilarante tra blues e radici ancorate da una voce scura originalissima e da una chitarra elettrica incendiaria, con una sequela di pezzi che colpiscono uno dopo l’altro, senza tregua.
Si può quindi terminare questo excursus con un quinto recentissimo disco Royal Mind del gruppo The Cash Box Kings, dove attraverso la sensazione profonda dei maestri blues casalinghi, il gruppo propone un classico ‘Chicago Blues’ duro e realistico dall’energia quasi illimitata; la band è infatti in grado, spassionatamente, di offrire anche il blues del Delta del passato, aggiungendo altresì stille preziose di proto rock’n’roll e di ruspante “bluesabilly”, fino a compiere un mix originale di Chicago Blues e Memphis Rockabilly. Alimentata dall’armonica del compositore Joe Nosek (Madison, Wisconsin) e dall’enorme voce grintosa di Oscar Wilson (Chicago) la blues band propone canzoni originali, che vanno dalle storie divertenti sull’amore ai tempi di Internet ai racconti stravaganti della violenta epidemica con le armi da fuoco usate dai giovani a Chicago. Ogni brano, tra cover e original, esplode con autorevolezza moderna irradiando pure di autenticità il ricorso agli stili di vecchia scuola. Secondo il leggendario armonicista blues Charlie Musselwhite “The Cash Box Kings fa musica con gusto e sentimento. Non solo è un buon blues, ma è anche un buon pretesto per mettersi a ballare!”
Utenti on-line
Ci sono attualmente 14 Users Online