Recensioni
La svolta della strada 3, Marco Giovenale
a cura di Marco Giovenale
note sul possesso in Ferro 3, di Kim Ki-duk
3
Il non logos, il silenzio più serrato, inaggirabile, il decentramento della parola, interrompe anche il peso del corpo, che si allontana dai sensi altrui. (E dal senso comune).
Il corpo diventa l’occhio disegnato sulla mano di Tae-suk: e quindi passa dall’altra parte della macchina da presa. Noi stessi, spettatori del film, non lo vediamo più: la macchina da presa ci mostra ciò che lui vede, ma (tranne alcune scene inevitabili) non lui.
Nei film di fantascienza o horror, se vediamo qualcuno che viene seguito dalla macchina sappiamo che gli accadrà qualcosa. Chi è visto è nel mirino. Qui non scorgiamo più il pericolo, un protagonista in pericolo, bensì siamo noi (attraverso lui) a vedere. Il pericolo non può più toccarci.
E il non esser visto del protagonista a conclusione della vicenda specchia il non esser visto della protagonista all’inizio, quando Tae-suk si introduce in casa sua e per buona parte del tempo non si rende conto che Sun-hwa non è fuori ma semplicemente in un’altra stanza.
Il no alla voce, al possesso, al potere, al comando, infine alla stessa presenza, è ciò che nella vita più assomiglia a una condizione di morte che tutto fa tranne che sbarrare la porta al piacere e alla pienezza. Come scrive Pessoa: La morte è la curva della strada, / morire è solo non essere visto.
E nell’ultimo fotogramma del film le due negazioni Tae-suk e Sun-hwa, unite in amplesso, ovvero le negazioni dell’amore inteso come proprietà, le negazioni della voce imperiosa, dell’assertività brutale, dimostrano qualcosa di fondamentale: unite sulla piccola bilancia che conclude la vicenda, pesano nulla, sono leggerezza assoluta. La lancetta si ferma sullo zero.
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