Lo Scott Lafaro di Vincenzo Staiano

A cura di Guido Michelone

Da qualche mese in libreria circola Solid. Quel diavolo di Scott LaFaro scritta da Vincenzo Staiano, noto quale direttore di “Rumori Mediterranei”, il festival jazz che da circa quarant’anni si tiene a Roccella Jonica: si tratta di un’ottima biografia dedicato a uno dei padri del jazz contemporaneo, il contrabbassista Scott LaFaro (Newark 3 aprile 1936 – Flint 6 luglio 1961) scomparso precocemente in un incidente stradale, che gli impedisce di troneggiare alla pari di Charlie Haden, Ron Carter, Eddie Gomez, Gary Peacock, nello spingere ancora oltre la ricerca su uno strumento fondamentale all’interno dei gruppi jazz, solo a torto ritenuto d’accompagnamento, in realtà fonte propulsiva per gruppi e orchestre.

 

L’analisi di Staiano è meticolosa, ma accanto alla lettura del volume occorre ribadire alcune notizie magari estranee a chi non si occupa direttamente di cultura jazzistica. È quindi utile partire ricordando che il primo serio approccio di LaFaro con la musica avviene intorno ai dieci anni, nel 1946, attraverso alcune lezioni private di pianoforte. Comincia poi a suonare il clarinetto basso nella band della media di Geneva e va a scuola privatamente da Godfrey Brown, il direttore della stessa formazione pubblica; è quest’ultimo a strutturare Scott musicalmente fino a imporgli una rigorosa disciplina; con la figlia Gail Brown, il ragazzo che ha il primo approccio con il contrabbasso, mentre a casa Scotty fa pratica di clarinetto basso con il padre Joe, uno dei violinisti jazz più in voga in quel periodo, che però, spesso, lo accompagna al piano.

Nel 1949, tredicenne, con la band scolastica si esibisce al Festival della Musica dello Stato di New York; sono anche gli anni nei quali LaFaro frequenta gli uffici di culto che offrono la migliore musica ecclesiastica; e per lui conta solo quella, al di là di qualsiasi credo religioso. Nella chiesa presbiteriana di Geneva, lui cattolico, può ascoltare Bach, Beethoven, Mozart, Haydn, Handel, persino l’ebreo Mendelssohn, eseguiti all’organo da Charlotte Bullock, la brava strumentista della parrocchia. La musica classica costituisce un aspetto fondamentale nella formazione culturale del giovane LaFaro, come spiega pure la sorella Helene LaFaro Fernandez, nel suo libro Jade visions. Qualche anno dopo, quando comincia a frequentare le superiori Scotty imbraccia anche il sax tenore e comincia ad ascoltare il jazz alla radio e dai dischi del padre: Art Tatum, George Shearing, Marian Parkland e Dizzy Gillespie. Quando Scott si esercita con il padre, impara a mimare con il clarinetto e il sax tutti i suoni prodotti da Joe LaFaro al piano.

Nel 1953, a 17 anni, Scott – oltre essere scelto con altri nove studenti a partecipare a un altro Festival della Musica, sempre nello Stato di New York, ma nella città di Buffalo – comincia anche ad andare in giro a suonare con alcuni coetanei, maturando la netta convinzione di poter diventare un musicista a tempo pieno. A dicembre dello stesso anno vince una importante competizione musicale a Seneca con l’esecuzione di Concertino for Clarinet di Jaehus e della Concertina di Carlo Maria von Weber. Ormai è maturo abbastanza per andare a suonare al Belhurst Castle con l’orchestra di cui il padre Joe è il direttore; e con alcuni jazzmen della stessa formazione – o aggregandosi anche ai Chess Men e ai Rhythm Aires, gruppi di adulti professionisti – vanno anche a esibirsi nei club, dove fanno sempre le ore piccole: e Scott spesso si perde le lezioni, arriva tardi o si addormenta a scuola.

In quel periodo avviene l’incidente che gli cambierà la vita: durante una partita di pallacanestro all’YMCA gli spaccano un labbro, convincendolo di conseguenza che non sarà più in grado di suonare i fiati in modo appropriato. Quando si iscrive al college di Ithaca nel 1954, dovendo optare uno strumento a corda, il padre suggerisce a Scotty il contrabbasso e gli prospetta la possibilità di suonare con lui al Belhurst Castle. Gli compra un Kay e lo manda a lezioni private da Nick D’angelo, un contrabbassista che dirige l’orchestra della base aeronautica di Sampson. D’angelo gli fa usare i due volumi di Franz Simaldi Etudes for double bass and piano, e nel 1955, quando al maestro viene proposto di suonare nella Band di Buddy Morrow, non potendo farlo, suggerisce LaFaro al grande trombonista statunitense. Scott, contro il volere dei genitori, abbandona il college di Ithaca e parte per un tour con la nota jazz band di Morrow. Resta l’inizio di una carriera che purtroppo durerà solo sei brevi anni, durante i quali accompagna diversi grandi del jazz moderno come Chet Baker, Victor Feldman, Hampton Hawes e Stan Getz, Paul Bley, Thelonious Monk, Percy Heath, Stan Kenton, Benny Goodman, e soprattutto Bill Evans e Ornette Coleman, con i quali incide album epocali. Ma quando tutto sembra volgere per il meglio, una banale distrazione in automobile se lo porta via per sempre, lasciando una lacuna incolmabile nel contrabbasso, nel jazz, nella musica contemporanea.

Cfr.: Staiano Vincenzo, Solid. Quel diavolo di Scott Lafaro, Arcana, Roma 2022.