Lo snob di Gaetano Cappelli

a cura di Guido Michelone

 

Per capire a fondo il valore di questo volumetto di un’ottantina di paginette – ciò che un tempo si poteva chiamare libello o pamphlet – occorre concentrarsi soprattutto sulla seconda parte del titolo, in copertina scritta in piccolo, quasi a mo’ di sottotitolo: “nella società dello snobismo di massa”.

 

  

 

L’autore – quindici romanzi pubblicati, due premi letterari vinti, un saggio originalissimo e diversi articoli di costume su quotidiani e riviste – difatti illustra esemplarmente i ruoli che ricoprono lo snob e lo snobismo nella realtà attuale (soprattutto italiana, facendo nomi e cognomi) in un momento di forti contraddizioni per una categoria socioculturale e per un modus esistenziale che, oggigiorno, oltrepassano anche i confini di censo e di classe. E pensare che – come ricorda Cappelli all’inizio in un breve excursus storico – la parola ‘snob’ stava a indicare l’esatto contrario, derivando dal significato inglese ‘ciabattino’, con cui a metà Settecento gli studenti di Cambridge indicavano i giovani estranei all’ambiente universitario: per alcuni filologici snob sarebbe la contrazione del motto latino s(ine) nob(ilitate), ossia senza nobilità, privo di titoli regali.

Tuttavia, sempre in Gran Bretagna, nel 1848 il romanziere William M. Thackeray in The Book of Snobs by One of Themselves (raccolta di bozzetti satirici per il giornale Punch) ribalta totalmente l’assioma, conferendo allo snob il carattere riassunto poi nell’Enciclopedia Treccani dal professor Giovanni Treccani degli Alfieri in persona: “Chi ammira e imita ciò che è o crede sia caratteristico o distintivo di ambienti più elevati; chi ostenta modi aristocratici, raffinati, eccentrici, e talora di altezza, superiorità”.

Per tali peculiarità sembrerebbe che lo snob, ieri come oggi, sia ben lungi dal praticare la discrezione e la ragionevolezza; pur senza gli eccessi del dandy (una sorta di snob ridondante, forse border line), lo snob, prima dell’avvento di ciò che Guy Debord chiama la ‘società dello spettacolo’, si manifesta nei propri ambienti ristretti, privilegiati, di solito aristocratici, dove sfoggia un intellettualismo, un abbigliamento, un gusto enogastronomico, un savoir faire che lo contraddistinguono e lo elevano quasi a maître-à-penser. A partire dalla globalizzazione – che in fatto di comunicare vuol dire mass media e recenti social – lo snob vive un pesante contraddittorio, perché accetta o desidera, con foga e insistenza, di apparire ed esserci sempre, laddove esista la massima visibilità, dalla televisione a Instagram, senza più dispensare pillole di saggezza, come accadeva un tempo, ma semplicemente mostrandosi nella propria narcisistica autoreferenzialità (copiata da tutti e divenuta perciò oggetto/soggetto massivo).

Dopo la perfetta analisi di Cappelli occorrebbe forse un sequel al libro, per indicare magari alcuni precetti utili a ritornare al vero costruttivo snobismo, da intendersi quale antidoto alla volgarità, all’effimero, al popolaresco: leggere i libri giusti – come quelli proposti da Niederngasse – evitando le top ten gonfiate dei testi più venduti (per il 90% inutili) potrebbe diventare un esempio concreto per trasformare se stessi in ‘snob dell’anima’ e di conseguenza migliorare il mondo nel proprio ‘piccolo’ universo, ben al di là dello snob nella società dello snobismo di massa.

Cfr.: Cappelli Gaetano, Lo snob nella società dello snobismo di massa, Oligo Editore, Mantova 2022, pagine 89, € 12,00.