Recensioni
Lo swing di First Time, disco epocale I sessant’anni dello storico incontro tra Duke Ellington e Count Basie (parte 2)
Duke Ellington e Count Basie – entrambi pianisti, compositori, bigbandleader e talvolta arrangiatori – anticipano o addirittura inventano l’animo swing, procedendo attraverso carriere parallele ma equidistanti, fino a trovarsi una sola volta assieme, in sala di registrazione, nel 1961, per un album epocale First Time! (chiamato anche, nelle varie ristampe, Battle Royal, Encounter, Basie Meet Ellington) dove confrontano le loro due big band, tecnicamente appropriandosi dei due canali stereofonici (uno a testa), per far meglio cogliere all’ascoltatore le rispettive peculiarità musicali.
D’altronde i primi Sixties risultano un periodo in cui i grandi vecchi del jazz amano confrontarsi, anche per un solo disco, sia fra loro sia con jazzmen giovani, annunciando una moda che da allora ad oggi diverrà via via prassi comune, persino fra musicisti stilisticamente molto diversi fra loro: per il Duca si tratta di Louis Armstrong, Coleman Hawkins, John Coltrane, Charles Mingus, Max Roach, Teresa Brewer, per il Conte di Billy Ekstine, Roy Eldridge, Sammy Davis Jr, Caterina Valente, Zoot Sims, Oscar Peterson, per entrambi di Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald.
Iniziando quindi dalle carriere parallele, è facile notare come la differenza anagrafica di soli cinque anni tra i due – 1899 e 1904 – significhi molto per entrambi: Duke debutta a proprio nome nel 1924 assumendo la direzione dei Washingtonians in piena temperie hot, per Count invece c’è un’attesa di ben 11 anni quando a Kansas City lascia la Benni Moten Orchestra, dopo la morte del leader, per mettersi in proprio.
Se per tantissimi jazzisti il crollo della Borsa a Wall Street (1929) significa disoccupazione e miseria, per i due le cose vanno meglio: durante e dopo la crisi l’orchestra di Ellington lavora a pieno regime soprattutto in Europa e anche a Basie il lavoro non manca, come pianista, nel Midwest. Ma è solo dal 1935 al 1945 che le due rispettive big band si impongono come le migliori tra le grandi formazioni black (assieme a quella del citato Lunceford) purtroppo senza ricevere gli onori (e i soldi) di quelle bianche, in un clima sociale ancora fortemente razzista (fatta salva una metropoli da sempre liberal come New York).
continua…
Guido Michelone
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