Approfondimenti
Orina (da “Frammenti di una notte a credito”)
Ma le storie che accadono di notte,
si lasci che di notte finiscano
Bei Dao
Orina
David Nebreda vive in un misterioso appartamento di Madrid, non ne esce mai. Ha fatto dell’autonegazione la pratica del suo lavoro artistico. Espone all’obiettivo fotografico il proprio corpo ferito (realmente ferito), oltraggiato, sottoposto a spaventose torture e astinenze. Mostrare la vulnerabilità del corpo, mostrare la sua incisione, è come mostrare un sorriso: esposizione dell’orrore dell’io. Esposizione dell’errore dell’io. Lo sguardo feroce su se stesso rende l’ego instabile, ridotto, come Narciso, a una domanda che non riesce a chiudersi con una risposta, e la cancellatura che abrade Io attesta il riconoscimento d’Altro.
Narciso è Caino (in tedesco Kein, da cui, poeticamente -produttivamente-, Keiner, cioè Nessuno). Narciso è l’eroe porno della dissoluzione del corpo.
Quod cupio mecum est: inopem me copia fecit. Ciò che desidero è in me, la ricchezza mi ha reso indigente. Oh potessi separarmi dal mio corpo. Inaudito desiderio di un amante, vorrei che ciò che amo fosse assente. (Ovidio, “Metamorfosi”).
Quanto più guardato, inciso, ucciso, tanto più il corpo dispone la sua assenza al desiderio dell’amante. L’erotismo pre-post-Bastiglia lo lascio, Nebreda lo lascia, alle guardie del castello identitario.
C’è chi trova l’opera di Nebreda troppo rivolta allo scandalo, alla spettacolarizzazione. Quando invece l’osceno non può scandalizzare, non è fatto per questo, e non può essere rappresentazione. Narciso e pornografia, nel senso beniano (e lacaniano), non sono altro che dialogo impossibile da oggetto a oggetto, fine dell’erotismo verso l’inorganico. Per lo spettacolo Achilleide, Carmelo Bene chiedeva allo spettatore, come unica forma possibile di partecipazione, il massimo d’irreciprocità, la grazia del coma. Nulla, quindi, di shock spettacolare. Ma io non vedo rappresentazione in David Nebreda, ci vedo testimonianza impossibile dell’intestimoniabile, del mormorio di fondo dell’intestimoniabile.
Non c’è alcuna lacrima, né ghigno di alcun tipo, sul volto di Nebreda, e non c’è personaggio, ma una feroce scelta di autonegazione, come osservava Baudrillard. Non vi è richiesta di empatia, né intenzione di stupire (altra cosa è che si stupisca o inorridisca qualche osservatore). E in ciò io sento l’osceno contro l’erotico, la pratica vitale e artistica di Nebreda prosegue con indipendenza dallo sguardo altrui: testimonia nolente, martire senza martirio perché senza sguardo, di fronte a uno specchio, in una stanza solitaria, il suo lento dissolversi.
Nebreda non crede allo specchio in cui si riflette, non crede al Doppio artistico che salva l’Io, perché, per dirla con Leopoldo María Panero (uno schizofrenico come Nebreda), quel Doppio non è Colui che ci salverà dalla Cenere / perché è lui stesso a condurci alla Cenere. L’esposizione artistica del corpo di Nebreda è vera fanofagia, è timore e tremore prima del nulla.
Vi è tanta differenza tra l’assottigliamento muto dei mistici e il cospargersi il viso d’orina e di escrementi di Nebreda? Esce la sua opera dal claustro, dal silenzio? Sì, come una preghiera origliata da un sordo.
Se l’immagine cristica può essere appropriata per Nebreda, lo è se è quella del Cristo sabatizzato, del Cristo nella solitudine dei morti nel sepolcro. Se è un Cristo dimezzato.
Narciso è la ricerca, la vibrazione della carne, e a me piace vederlo come un Cristo che vuole il sabato, il Papavero che è morte e conduce solo alla Morte. La redenzione non mi conosce, e non c’è alba né città dove io vado.
Sia tu lodato, o Nessuno. / Vogliamo per amor tuo / fiorire / contro di te. Paul Celan. Cerco le tracce del silenzio. All the rest is word.
De-sidereo, aspetto sotto le stelle chi non ha fatto ritorno.
Nel porno chi tocca crea un contatto che è simultaneamente distanza, perché non trattiene.
Mastro Eckhart pregava Dio di liberarlo da Dio, Maria Maddalena de’ Pazzi parlava di amore morto, Teresa d’Avila entra morta in monastero.
Il silenzio tra le parole, il silenzio nella contraddizione che lo nomina.
Frontalità della kóre / che dal suo témenos s’offre / in limbo dove lo sguardo / possa vuotarsi del ductus. / Non a Maria, a Marta, in Eckhart / irrotta nudità del confiteor. Mi ha molto colpito il Sermone di Eckhart sull’episodio evangelico di Marta e Maria (Lc 10, 38-40), dove si valorizza la figura di Marta, povera della compagnia (dell’immagine) di Gesù: logofagia, fanofagia.
Dio volta la faccia a Cristo, Cristo volta la faccia a Dio.
Ianus Pravo preferiva non farlo, e quindi l’ha fatto. Ê una specie di Bartleby cristiano.
Ed io non voglio più essere io. Il problema è il voglio.
Auschwitz è la Madonna.
Ianus Pravo e Leopoldo María Panero per le strade di Las Palmas. Collodi e Pinocchio nella contrada dei morti.
Ianus Pravo e Leopoldo María Panero, dopo una giornata di scrittura comune, pensano a come farsi ricchi: giocano alla lotteria.
L’Italia è una condanna a vivere da cadaveri, l’Italia è una condanna a morire da cadaveri.
Nelle false parole di Gesù Cristo-Satana innato.
Dio è trino. Uno è di troppo.
Dio è trino. Uno è trono.
Uno è trono. Trino è treno.
Uno è trono. Trino è ano.
Il porno è ultralimbo, l’aborto di un gesto. Quos ego…
Dejémonos de chorradas: lo que me gujta a mí ez el fumbol.
Due a vita, mia noi!
Poeta? Sì. Beccaio.
In Salò, di Pasolini. Osservano col binocolo il campo di tortura. Guardare la vita con quattr’occhi è viverla con quattro soldi. Il potenziamento della visione -la volontà di potenza della visione e la volontà di potenza del vedere- nasconde il nero che respira tra immagine e immagine. È il cieco che m’importa. L’intervallo tra immagine e immagine. Sarà tra poco, l’intervallo, il mio. Il raddoppiamento degli occhi (attraverso binocolo, macchina da presa, schermo o specchio) è godere di una vita in spiccioli.
La vita è un furto (Pravo vs Proudhon).
Ho tempo come oro la mano di un morto.
Il mio regno non è di questi cieli. Né d’altri. Nel mio regno non c’è regno e, soprattutto, non ci sono io.
Ama il tuo prossimo come te stesso.C’è qualcosa di più egocentrico?
La religione è il prête-à-penser di Dio. L’Io è il prête-à-baiser di un Altro. L’è è il prête-à-dire di chi vuol dire.
Prego Io che mi liberi da Io. (Pravo vs. Eckhart). Un bel circolo vizioso, spaccato a metà, a forma di D (la D pendente).
L’amore osceno è una transazione tra la scena e la luce, tra l’immagine e l’occhio: ob scaenam Virginem.
Inizia bene ciò che non inizia mai.
Ciò che verrà non è che un ricordo per il cui oblio sarei disposto a fare uno sforzo, se non fosse controproducente (essendo ogni intento un ricordare).
Il movimento dello yo-yo descrive quello del pensiero: da zero a cento, da cento a zero. Un pensiero che non si azzera nella spensieratezza, m’impensierisce.
Alzi gli occhi sugli occhi della Vergine, poi li abbassi, perché non ne sei degno. Li fai girare per le pareti del corridoio che ti porta al ventre del lupanare.
Io sono l’orrore Io tuo.
L’orrore è il tedio vissuto con passione.
L’assenza di passione, l’assenza di giudizio, è la più alta forma di passione, è la più alta forma di giudizio.
Il tedio è il varco tra l’Eros, l’amore della volontà, e il Porno, l’amore dell’abbandono. Tra Eros e Porno, l’orrore, che è il tedio vissuto con passione, è un muro.
La Grazia è lebbra per la Vergine.
M’interessa il povero di spirito. Lo spirito del povero, no.
La dis-Grazia è lo stupor-stupro in cui la Vergine è mancando a se stessa.
Salve, Regina. Madre di una, di una, discordia. Mito, pochezza, potenza. Nostra.
Dio è la nolontà che manca all’uomo. È il gioco che manca allo scherzo.
Chi attraversa indenne la carne è un cretino. Cioè un santo.
Nella prostituzione (pro-statuere, mettere davanti) opera una duplice frontalità: quella cieca, oggetto a oggetto, dell’amante verso l’amata (frontalità edificata dal denaro), e quella, su amante e amata, esposta dallo sguardo di un Terzo. Il Terzo, chi o cosa sia non so, è pausarius, è soggetto.
Ciò che unisce, dividendoli, l’amante e l’amata, è un Terzo. Dopo l’uno, prima del due, c’è il tre.
Ho un filo diretto con Dio: l’ateismo.
Il mio ateismo non nega Dio. Osserva come Dio mi si nega.
Dio ama i traditori, e tradisce chi ama.
Sehnsucht dell’origine: il desiderio di un luogo dove non si è mai stati. Verso l’origine perdendo la nascita
Afrodite anterotica. Una Pietà artica, metrica, sulla nascita.
L’è, copula grammaticale, dà alla morte il piacere dell’umanità.
L’è, umanità grammaticale, dà alla copula la sorte del dovere.
Più ancora della Grazia, è l’è dovere di lebbra alla Vergine.
Cristo è un pezzo di pane. Giuda è l’altro pezzo.
Giuda, che è Cristo, è il nostro pasto nudo.
Il Porno è il tragico ecceduto. Cristo che muore dal ridere per eccesso di Dio.
Appunto sul tragico nel postmoderno: io dico dico, ma il detto non dice che il suo tacere.
Spezzare all’infinito il pane. Cosa resta? L’infinito.
La volontà è il grado più basso della potenza.
Cristo è l’esaltazione del limite, Giuda dell’infinito.
La comunicazione non riguarda gli artisti ma i preti.
Skías ónar ánthropos, l’uomo è il sogno di un’ombra: ma appartiene all’ombra, a ciò che è proiezione d’altro, il sognare, l’erotizzare il mondo, procedere alla ciliazione della visione: per cui la vigilanza sull’osceno è uno spegnimento dello sguardo sulla percezione della distanza.
Amo la donna che mi fa dimenticare cos’è l’amore.
Amare non è che dimenticare ciò che si è già dimenticato.
L’opposto del silenzio è il mutismo.
Il tesoro dell’isola è la perdita.
“Tutto è perduto”. “Illuso. Tutto è da perdere”.
Vladimiro: Andiamo. Estragone: Andiamo. (Se ne vanno). (Pravo vs. Beckett).
Non voglio, quindi non voglio non volere.
Wu-shin (vuoto della mente): fare vuoto anche all’idea del vuoto, non volere nemmeno il non volere. Porno.
La volontà è il sentimento degli astemi. Il porno è il potere degli abulici.
Eros è volontà di potenza. Anteros è potenza.
L’estasi è l’ultimo stadio della sindrome d’immunodeficienza acquisita dell’io.
La maschera è la mia unica agonia, la mia sola verità.
Dopo Auschwitz, non è lo scrivere poesia un atto di barbarie. Lo è vivere. (Pravo vs. Adorno).
Il mio lavoro è disimmaginare. Essere nell’altro togliendomi di dosso l’altro.
Solo il ritorno origina.
L’immagine è il carcere dello sguardo.
Prometeo è incatenato all’immagine del fuoco.
L’eros è ripugnante: si vuole, si vede, si approva.
L’eros è immaginazione di potere, il porno disimmaginazione di volontà.
Io mi dissocio da me stesso.
Gnôthi seautón, conosci te stesso. Ma facendolo, ignòrati, senz’arma che dia carne all’imperium.
Come la bonaccia il mare, il volto ferma il corpo.
La nullità è qualcosa di troppo.
Della nullità si parla, del nulla si inizia a sparlare e poi si sta zitti.
Nel volto è mostrata, di Dio, la ritrazione dal corpo.
Ti guardo per guardarti, non per vederti.
Non m’interessa aver ragione: ogni interesse mi è esiziale.
L’interesse è nell’eros, la curiosità nel porno. Interesse e curiosità sono opposti.
Quando non si hanno interessi, ma solo curiosità, si sta nella notte come in Dio.
La parola non è in origine né in fine di nulla. La faccio risuonare perché il morire della sua eco sveli il silenzio dell’assenza.
In principio erat finis.
Non vale la pena parlare con chi soffre troppo e con chi non soffre affatto.
Chi sa disimmaginare non disimmagina come sa, ma come non sa.
Tutto ciò che è coscienza è morte in atto.
L’arsi della corda a cui s’impicca Giuda, la tesi del bastone che ritma il passo a Edipo.
Anteros non è, come nella classicità, Deus ultor, ma Deus.
Ogni idea che mi muore è una iena in meno e una rosa in più: la violenza elevata all’ultralimbo del porno.
Ieri ha piovuto tutto il giorno, e stanotte una libellula mi è entrata in cucina. È ancora qui, non se ne vuole andare. È bellissima, ma mi dà tristezza vederla volteggiare sulla tenda viola come intorno a un fiore.
Dio è un sonno senza sogni, Cristo un sogno senza sonno.
Io sono un sonno senza sono.
Io erro per generosità: la verità è un capitale inspendibile.
Non vi è alba né città dove io vado. Non ci sono nemmeno io.
Cosa c’è di più vano della tentazione di sostituire Dio con se stessi? Resisterle.
La verità è una bocca muta.
Auschwitz è bellezza in quanto verità, è orrore in quanto realtà (cioè, in quanto retorica).
Sono la sigaretta ardendo come l’aquila sulla preda.
La notte è la schiena della verità.
Il mistico, l’uomo disincarnato, è l’Anticristo.
Abgeschiedenheit. La solitudine di Anteros, il suo stare con se stesso, è nell’Anticristo la perdita di se stesso. Al paganesimo i Vangeli hanno portato la grazia delle proprie pagine in cenere.
Mi è impossibile amare se ne ho coscienza: il mio amore è osceno.
Il bello che non è vero è reale, cioè smentisce se stesso.
Tacere è bello, parlare è reale.
Il femminile è disumano. La donna è umana, troppo umana.
Ogni lacrima vigila il cadavere di un concetto.
Ogni lacrima è giardino e delizia del vano.
La lacrima esce verso l’interno.
La lacrima è la forma dell’informe. Il pianto l’informe della forma.
Oppongo lacrime al pianto.
Il pianto vuole una prefica al giusto prezzo. La lacrima vuole un Giuda, né giustizia né prezzo.
Euridice non è più di una lacrima sul volto di Orfeo. Ed egli è il pianto udito dall’assenza, egli è Euridice.
Non vi è per me al mondo che una forma, la forma della lacrima. La forma senza forma della lacrima. Il dolore senza dolore della lacrima senza pianto.
Sono l’amante della lacrima, dovrei esserne il ruffiano.
L’Eros ha pianto, economia. Il Porno ha lacrime, ecolalia.
“La follia è un’orazione perché il sole non sorga” (L. M. Panero a Ianus Pravo, 30 settemre 2009, Las Palmas, Santa Catalina, Bar Nuevo Río).
Non domanderò più: c’è il rischio che mi rispondano.
Chi non ha mai amato un morto, ma cosa mai ha amato?
Il porno è la maschera estrema: la maschera senza scena.
Chi è stato così volgare di generare figli, li uccida. Chi ha avuto lo stile di non generarli, uccida se stesso. Gli uni e gli altri permarranno, rispettivamente, nella volgarità e nello stile.
Cesare vuole il suo, Dio non vuole nulla, sennò sarebbe Cesare.
Se fosse pensabile, Dio sarebbe umano. Dio è da per sempre l’impensato.
M’interesso di Dio perché non c’è. Se ci fosse, non m’importerebbe una sega.
Lalangue: la tragedia sta tutta qui.
C’è chi ha l’ambizione di dire e chi ha l’ambiziosa umiltà di non dire.
La natura è la galera in cui urla la storia.
Infinitamente finito come un sorriso.
L’Anticristo (che è l’inizio, cioè la sospensione, del Cristo) oltrepassa la croce, è la levità del dolore.
Nell’infinita finitudine del sorriso, è la verità a mentire.
Il sorriso non ha mondo, come la verità.
Non ho che il tempo che non ho.
Io sono colui che non è, questo è il mio Dio. Io sono colui che è è scritto per i bisognosi di salvezza.
La salvezza non è il miglior modo di perdersi.
Il nichilista tormentato dai rimorsi è il Cristo perfetto: distrugge il nulla e riduce tutto il resto a rammarico.
L’uomo non è soggetto o oggetto d’alcunché: è pura transitività dall’uno all’altro, da ignoto a ignoto.
Da ignoto a ignoto, non veglio che la lacrima di un sogno.
La bellezza è il venir meno della forza.
Io è un altro, ma l’altro è l’io che non è.
L’io è la catena sul vano. L’altro è il giardino del vano.
La morale è il punto in cui, una sull’altra, cadono impotenti le volontà.
Dio è una volontà che ha scordato il suo oggetto.
Non c’è nulla di più spietato che un vero perdono.
Il tempo è l’anima dello spazio, e l’anima non è che un nome.
La bellezza rifiuta il pensiero.
A un vero inizio non segue mai un’autentica fine.
Il sonno imbianca ciò che la veglia oscura.
Il sonno vigila ciò che la veglia sogna.
Il nome è una fiamma di ghiaccio.
Il tuo nome è ciliazione del mio occhio, e ogni ombra che interrompe il mio sguardo è silenzio sul tuo nome.
L’arte è il silenzio degli agnelli.
L’azzurro è la materia in cui il grido si perde.
Non c’è che azzurro oltre l’azzurro di una mano.
Oltre me, non c’è che un’azzurra mano.
Nello sguardo riposa un dio senza nome.
Essere meno uomo di un cane o di un mattone: tutto qui.
Il Barça è un gioco della carne, un’incertezza e una nostalgia in cui riposa il mio gioco di disincarnazione.
Tra il mutismo e il silenzio si estende un giardino di grida.
Voltare la faccia è salvarla, cioè perderla.
T: la tau greca, la croce decapitata: ma è decapitato il segno o il dio? La testa, del segno o del dio, passa di mano in mano come un frutto bianco, come una moneta fuori corso.
Cristo è moneta vivente.
Le monete radunate come mosche sopra il corpo.
Il sorriso è il prezzo, eccessivo, del volto.
Pagine d’escremento o dolore senza dolore. Il dolore dell’allegria, l’allegria senza luce, e le lacrime come orina, escrementi del Cristo specchio senza luce.
Edipo, senza volto, è per se stesso ciò che il volto di Giuda è per Cristo.
Edipo e Tiresia sono entrambi ciechi e entrambi zoppi: il loro bastone batte il ritmo giambico in cui è dissolto il volto.
Tiresia vede perché è cieco, Edipo è cieco perché vide. Entrambi sono il battere e il levare del piede e del bastone.
Pensare Dio è ridicola iattanza. Pensare che Dio ti pensi è sciagurata vanità.
Il sorriso non ha mondo, ma può diventarlo. Il mondo del sorriso è la galera del volto.
Nel momento in cui la prostituta finge l’orgasmo, il mondo è tolto dall’altare della nudità.
Il porno è l’ira di una rosa. È il fiore inverso della morte.
Tra il porno e l’eros ci sono io di mezzo. Una maschera guarda verso l’eros, un volto disfatto dalla maschera guarda verso il porno: Ianus. Pravo.
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