Panta Rei

a cura di Alessandro Seri

Giusto nel mezzo della Marca scorre un fiume che ha perso il suo vigore e dell’antico turbinio conserva purtroppo solo il nome: Potenza. Sgorga dalle pendici del monte Vermenone, uno tra i picchi dei Sibillini, quei monti azzurri evocati da Leopardi ne Le Ricordanze. Il fiume sfocia poi sull’Adriatico proprio nel comune di Porto Recanati, orizzonte che volgendosi verso est il poeta di certo osservava tanto spesso quanto quell’infinto dell’oltre siepe ben più famoso. Un altro umanista, molto meno noto, ha dedicato un’ode al Potenza. Trattasi del presbitero fiorentino Giovanni Ciampoli, allievo del Galilei, accademico dei lincei e Cameriere segreto di Papa Urbano VIII. Il Ciampoli, seppur in odore cardinalizio, cavalcò in fuga dalla corte dei papi costeggiando le sponde del Potenza perché esiliato a causa del suo appoggio a Galileo durante il processo finito con l’abiura. Il confino aveva come meta le terre marchigiane nelle diocesi di Civitanova e Jesi. Percorrendo la via Lauretana lungo la valle del Potenza, quella percorsa dal Ciampoli, all’altezza dei confinanti comuni di San Severino Marche, Treia e Pollenza si sviluppa un’altra leggenda rituale. Tra le colline armoniose a fondo valle si erge oggi, seppur non visitabile a causa del devastante terremoto del 2016, l’abbazia di Rambona costruita sopra le macerie di un tempio dedicato alla dea Bona, figlia integerrima e casta e per questo venerata come simbolo di lussuria bianca, di amori saffici, magici e positivi. Il tempio edificato sulle sponde fertili si contrapponeva di fatto alla sommità della montagnola di 600 metri poco distante, quella che oggi è dominata dal Castello di Pitino. Anche questo come l’abbazia di Rambona innalzato in epoca medievale sopra un importante insediamento risalente al VII secolo a.c. di cui si narra la vicinanza epica alle ritualità marziali e nere degli dei Sethlans e Turms. La contrapposizione millenaria tra bene e male, le leggende sulle ritualità orgiastiche della dea Bona elevate a preghiera contro l’oscuro militarismo degli dei guerrieri devono sicuramente aver colpito molti secoli dopo un idealista rivoluzionario bergamasco di nome Giacomo, sceso a cavallo (anche lui a cavallo) nelle Marche, al seguito dell’armata napoleonica durante la campagna del 1797, l’anno prima della nascita di un altro Giacomo marchigiano.

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Ritratto di Giacomo Costantino Beltrami 1861
autore: Enrico Scuri (1806 – 1884)
ubicazione: Sala Etnografica, museo Caffi. Bergamo

Il diciannovenne bergamasco si chiamava Giacomo Costantino Beltrami e seppur giovanissimo scalò velocemente le gerarchie civili dell’amministrazione Bonaparte fino a diventare Giudice a Macerata nel 1809. Nelle Marche Beltrami scelse di stabilirsi tra le mura di un borgo arroccato denominato Filottrano, paese che dista appena dieci chilometri in linea d’aria dal fiume Potenza. Nel frattempo che Beltrami si ambientava al suo nuovo ruolo contrastando il brigantaggio e arrestando il noto Pietro Masi detto Bellente, Napoleone Bonaparte donava al cognato Gioacchino Murat una straordinaria abitazione di campagna nel comune di Treia, la bellissima Villa La Quiete edificata su progetto dell’architetto Giuseppe Valadier (anch’essa oggi inagibile a causa del terremoto oltreché in stato di semi abbandono da anni). Giacomo Costantino Beltrami a Macerata si inserì subito grazie anche alla sua conclamata ma non esibita adesione alla massoneria del Grande Oriente. La curiosità intellettuale, oltre che il ruolo istituzionale, gli consentirono di entrare a far parte dell’Accademia maceratese dei Catenati, un cenacolo letterario fondato nel luglio del 1574 e di cui fecero parte anche Torquato Tasso, Vincenzo Monti e Nicolò Tommaseo. Nell’ambiente culturalmente stimolante e raffinato degli accademici Beltrami incontrò quella che divenne la sua musa, la sua costante fonte di ispirazione: la marchesa fiorentina Giulia De Medici, maritata al conte, di origini umbre, Giovanni Girolamo Spada che l’aveva conosciuta a Firenze, all’interno di un’altra Accademia famosa, quella dei Georgofili, dove il nobile Spada stava approfondendo i suoi studi in Scienze Agrarie. Dopo un breve fidanzamento i due nobili si sposarono, lei diciassettenne e il conte Spada trentaduenne; si trasferiscono a Filottrano dove il conte aveva ereditato Villa Montepolesco e tutte le terre che la circondano. Quando Beltrami incontrò Giulia nel 1809 durante uno dei convivi di Catenati lei aveva ventinove anni e lui trenta. La contessa Spada è bellissima e più di altri si fa notare per acume e slancio intellettuale, il rivoluzionario giudice Beltrami ha negli occhi qualcosa di originale e tenebroso, nel suo sguardo c’è un’idea di futuro, di scoperta, di confine da superare. Si innamorano subito, perdutamente. La rigida morale dell’epoca, la diversa classe sociale, la condizione familiare di lei costrinsero i due a intraprendere una relazione segreta vissuta tra carrozze, giardini, ville e salotti. Le colline marchigiane tra Filottrano e Macerata, tra l’Adriatico e i Sibillini furono il loro teatro. Come nello splendido romanzo “The age of innocence” di Edith Warthon, portato di recente sul grande schermo da Martin Scorsese e interpretato da Michelle Pfeiffer e Daniel Day Lewis, tutti nell’alta società della provincia sapevano ma loro inconsapevoli e ciechi, pensarono di tener segreto ciò che segreto più non era. Furono anni di piogge dorate e isole nascoste, di sguardi e soffi. Non ci è dato sapere di più e eventuali supposizioni sulle ultime figlie della contessa Spada: Maddalena e Eleonora, restano semplici supposizioni. Eppure quando l’idillio sembra immune dal tempo, Giulia si ammala non si sa bene di cosa, forse un travaso di bile, forse una febbre mal curata e il 1 aprile del 1820 all’età di 39 anni muore. La seppelliscono nel cimitero monumentale di Macerata. Giacomo Costantino partecipa al corteo funebre in disparte, silenzioso, eburneo; non gli è dato di esplicitare la portata del suo dolore reale, deve simulare tristezza, la disperazione è appannaggio solo dei familiari. I giorni successivi Beltrami scrive lettere ad alcuni suoi corrispondenti tra i quali Luisa di Stolberg-Gedern più nota come Contessa d’Albany e Francois Rene de Chateaubriand preannunciando loro la sua fuga, la sua volontà di abbandonare il mondo a lui consueto, ormai insopportabile per i continui rimandi alla sua Giulia e intraprende un viaggio senza meta. Nei primi mesi del 1821 parte per Parigi poi va a Londra dove resta qualche mese e dalla capitale inglese si dirige a Liverpool dove, a novembre del 1822, si imbarca per l’America, per Philadephia, portando con se pochi bagagli e un ombrellino rosso da sole, regalo di Giulia. Dalla Pennsylvania Giacomo si spostò a Saint Luis, nel Missouri e lì intercettò una spedizione militare con a capo un generale chiamato Clark che aveva al seguito un militare italiano, il maggiore Tagliaferro. La compagnia si imbarcò sul vascello a vapore Virginia con lo scopo di risalire il Mississipi ed esplorarlo fino a scoprirne le sorgenti. Sembra che sul battello fosse presente per pura casualità anche lo scrittore James Fenimore Cooper con il quale Beltrami fece conoscenza. La compagnia militare abbandonò la via d’acqua a fort Sant’Anthony (nei pressi dell’odierna Minneapolis) dove Beltrami attese una nuova spedizione che puntava a nord; dalla cittadina di Pembina il nostro prosegui, accompagnato da due indiani Sioux, raggiungendo le sponde del Red Lake, aggirandole trovando un piccolo fiume che tornava verso sud. Proseguì da solo fino ad un altro lago, oggi chiamato Itasca. Beltrami, solo e stanco, quel 31 agosto del 1823, mentre a Macerata festeggiavano la ricorrenza del patrono San Giuliano ospitaliere, fu sopraffatto dalla bellezza del posto incontaminato. Si battezzò il lago con l’unico nome che aveva tenuto nel cuore durante tutto il viaggio; nelle notti stellate d’America, sulle onde dell’Atlantico, nelle città e nelle praterie. Per meglio far cogliere il senso di ciò che scrivo utilizzerò le parole che Beltrami stesso, scrisse nel suo diario di viaggio.- Il lago ha circa tre miglia di circonferenza: è fatto a forma di cuore e parla all’anima. La mia ne è rimasta commossa. Era giusto toglierlo dal silenzio in cui la geografia, dopo tante spedizioni, lo lasciava ancora, e farlo conoscere al mondo in maniera chiara. Gli ho dato il nome di quella rispettabile Dama la cui vita – come disse la sua illustre amica Contessa di Albany – fu “un corso di morale in atto, e la morte una calamità per tutti coloro che avevano la fortuna di conoscerla”; e la cui memoria si rinnova incessantemente con la venerazione e il dolore di tutti coloro che ne poterono apprezzare la bontà e la virtù. Ho chiamato il lago “lago Giulia” – Beltrami proseguì il suo viaggio scendendo e fermandosi prima a New Orleans e poi ancora giù fino in Messico e fino ad Haiti. Durante il tragitto compilò e pubblicò la stesura del primo vocabolario inglese-sioux e numerosi diari di viaggio. Scelse di tornare in Europa nel 1828 portando con se una quantità enorme di oggetti della tradizione sioux che oggi sono ubicati nella sezione etnografica del museo di Scienze Naturali “Enrico Caffi” di Bergamo e nel museo Beltrami di Filottrano, ora chiuso per restauro; insieme a questi reperti Beltrami conservava con cura una prima edizione datata 1826 del romanzo L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper il cui personaggio principale, il cacciatore bianco Natty Bumppo Occhio di Falco , interpretato sullo schermo, anche lui, da Daniel Day Lewis, fu creato avendo come riferimento proprio Beltrami stesso. Durante il viaggio di ritorno fece tappa di nuovo a Londra e poi ancora Parigi. Nel 1834 acquistò una villa presso Heidelberg, in Germania, dove soggiornò fino al 1837, anno in cui scelse per nostalgia, di ritornare a Filottrano. Nel frattempo che Beltrami viaggiava per il mondo, il conte Lavinio de Medici Spada, figlio secondogenito dell’amata Giulia, acquistava nel 1828 proprio la villa che Napoleone anni prima aveva regalato a Murat, quella Villa La Quiete edificata a Treia su progetto del Valadier. Lavinio aveva studiato da prelato senza mai prendere definitivamente i voti, la sua città di riferimento era Roma e lì fece carriera in vaticano finchè nel 1848 abbandonò la prelatura perché folgorato da una donna: la contessa polacca Natalia Komar che sposò da lì a pochi mesi ritirandosi entrambi a vita privata a Villa Spada di Treia. Natalia Komar, la sposa, è la sorella di Delphine Komar, musa di Friedrich Chopin che le dedicò il “Piano Concerto n. 2 Op. 21” e altre esecuzioni, tra cui il “Valzer in do diesis Op. 64 n. 2”. Le contesse Komar erano state entrambe allieve del compositore polacco e si narra, ma non è certo, che per alleviare le conseguenze della sua malattia Chopin scelse di accettare l’invito a Villa La Quiete Spada per il ricevimento di matrimonio tra Lavinio e Natalia. Sicuramente alla festa, seppur in disparte, seppur ai margini, sconsolato ed eburneo come sempre, partecipò anche Giacomo Costantino Beltrami e nessuno ci vieta oggi di immaginarlo a colloquio con Chopin mentre osservando gli ospiti della festa si scambiano alcune battute sul panorama che da Villa Spada si dipana giù verso la vallata del fiume Potenza, quello stesso fiume delle ritualità orgiastiche della dea Bona per cui il buon Govanni Ciampoli esiliato da Roma descrisse nella “canzone” Al Fiume Potenza nella Città di S. Severino.

Gelida figlia d’Appennin camuto,
Che fra rupi, e per valli
Porti in ambre, e christalli
A l’Adria non lontano il tuo tributo
Or che per darti legge
Del Tebro il Re m’elegge
Pongo il pié nel tuo regno, e ti saluto
Se ben di non molt’onde
Si grondano le chiome
Pur trà piagge feconde
Hai d’oro il letto, e di potenza il nome.
O con titolo altiero onda tranquilla,
che del suo si compiacque
Rubbata à stranio rio, pure una Stilla,
Il tesor del tuo gielo
Tutto è dono del cielo,
Che per vene, e per nubi ixi il distilla
Che fiumi tributari?
Sdegnali, ò verginella,
Nel letto illeso appai
Men tempestosa, ma non men bella. …]