Approfondimenti
PRIMA INTERVISTA.
“C’è un’espressione molto bella della lingua anglosassone: God bless your soul. In italiano mi pare esista in solo in quanto espressione idiomatica: Che dio ti benedica. Qualcosa di simile all’esclamazione di un vecchio parente in gilè, seduto a tavola, durante il pranzo di Pasqua, dopo averti sentito ruttare rumorosamente. Più vicino al senso letterale, al Sud, prima di una partenza, ci si potrebbe salutare cosí. È un commiato: Arrivederci, sii protetto, che dio ti protegga. L’unica forma realmente usata è un corrispettivo dell’espressione God bless you – Bless you, nella forma sintetica; in inglese, sa, è un’espressione usata sia per riferirsi ai vivi che per i morti, anche se in genere per i morti si preferisce God rest you. Molto più interessante, a mio avviso, è la forma completa dell’espressione, quella con il complemento oggetto esplicitato, e il complemento oggetto è l’anima. Dio benedica la tua anima è qualcosa che non si dice, in italiano, senz’altro non si dice seriamente.”
“Mi spiace interromperla, sul serio, però questo discorso si sta allungando, e avrei necessità di tornare a parlare di lei, del suo viaggio in Canada e dei suoi studi universitari”
“Sono stato in Canada per quasi tre anni, come le dicevo. Lavorando per la Enc era inevitabile. Sono partito che era marzo del 2013; ho assecondato il desiderio del mio capo, Robert Bell, andando ad occuparmi di gestione direttamente in sede. A Milano ero responsabile di di tutta la linea del prodotto; una volta a Hamilton ho iniziato a conoscere il mercato americano ad occuparmi del marketing. La mattina che il volo atterrò a Hamilton faceva un freddo dannato: era una di quelle giornate tipiche del nord, quasi primaverili e perciò limpide, di un azzurro accecante e nei resti di neve il sole si rifletteva al di sotto e al di sopra del Boeing 767. Ma questo non importa. Salii sul taxi che erano le nove del mattino – questo sempre a proposito del viaggio, trovo che sia rilevante – e lungo la strada verso l’albergo c’erano molti stabili di recente costruzione. Le facciate delle case erano spigolose, alte, di colori molto cupi, altre chiare. L’unica volta che sono entrato in una chiesa è stato a Woodstok, si chiamava Santa Maria Maddalena: ricordo quel giorno perché fu anche il periodo in cui avevo iniziato a leggere Dostoevskij, e in particolare lui scrisse: L’anima russa è un posto buio.”
“Possiamo tornare per il momento al suo ruolo di responsabile? Di cosa si è occupato durante questo soggiorno, e poi: che tipo di difficoltà si è trovato di fronte – immagino che ne avrà trovate, sbaglio?”
“Io mi sono spesso chiesto che responsabilità abbiamo noi, come individui, della sorte collettiva: qual’è il nostro reale peso? Che domanda assurda, mi perdoni, è davvero una domanda idiota e fuori luogo; perennemente fuori luogo. Mi sono occupato di vendite, di incremento del fatturato, direi. Non avevo letto mai Dostoevskij, ma avevo letto a volte Slovskij, il che è paradossale; a volte, aveva parlato di anima: “A momenti pareva che così non si potesse più andare avanti… Tutti sarebbero morti una notte, congelati nelle case. Profonde erano le ferite che non rimarginavano per la carenza di grassi. Ogni minimo graffio marciva. Tutti avevano le mani fasciate di cenci, assolutamente luridi. Non c’era modo di sanare e di guarire. E la grande città, la città continuava a vivere. Viveva l’anima cittadina, l’anima collettiva, come un mucchio di carbone che arde sotto la pioggia.”