Recensioni
Bella Ciao di Jacopo Tomatis
“Così nel profondo, sotto pelle…”
a cura di Guido Michelone
Un autore, un libro: Jacopo Tomatis, quarantenne originario di Mondovì (Cuneo) è musicologo, giornalista, ricercatore, folksinger, insegnante di Storia della Popular Music all’Università di Torino e nei Conservatori di Pescara e Milano. Dopo gli esordi sul bimestrale «World Music», nel 2008 diventa redattore del prestigioso «Giornale della musica», dove è responsabile delle sezioni dedicate al jazz, al pop, all’etnica. Attualmente è direttore artistico del Premio Loano per la Musica Tradizionale Italiana e fa parte del collettivo Lastanzadigreta, con il quale nel 2017 ha vinto una Targa Tenco per la migliore opera prima. Il primo libro, Storia culturale della canzone italiana, esce nel 2019 per Il saggiatore e ristampato come pocket due anni dopo con Feltrinelli. Dopo la curatela di E ricomincia il canto (2022) preziosa antologia di storiche interviste di Lucio Dalla, ecco da pochi giorni in libreria il saggio Bella ciao. Una canzone, uno spettacolo, un disco (sempre il Saggiatore). Ovvio che la canzone sia l’inno dei partigiani, lo spettacolo risulti l’omonimo recital andato in scena per la prima volta nel giugno 1964 al Festival dei due Mondi (Spoleto) e il dischi resti l’album, ancora omonimo, a 33 giri edito dai Dischi del Sole.
È lo stesso Tomatis a parlare delle tante Bella Ciao, in un incontro appositamente studiato, quando inizia a raccontare in sintesi il significato del libro medesimo: “È il mio tentativo di capire perché e come uno spettacolo di folk revival, il disco che ne è stato tratto e la canzone che dà il titolo a entrambi siano entrati così nel profondo, sotto pelle, al dibattito interno alle culture di sinistra in Italia. Sia sul fronte musicale, sia nella ricerca etnomusicologica, sia – più in generale – nella costruzione di un’identità antifascista. Tutti conoscono la canzone Bella ciao, molti magari non conoscono la storia dello spettacolo di Spoleto o del disco… ma – ho verificato in più occasioni – quasi tutti conoscono molte delle canzoni che vi sono incluse: Addio a Lugano, La lega, Sebben che siamo donne, Gorizia… Magari non sanno che erano nello spettacolo. Ma in verità, se ancora molti se le ricordano, è proprio perché quello spettacolo e quel disco del Nuovo Canzoniere Italiano le hanno traghettate a nuove generazioni, e ancora le traghettano”. I tre momenti (la canzone, lo spettacolo, il disco) sono logicamente correlati e Jacopo traccia per ciascuno un profilo storico-crtico dosando perfettamente le competenze, non senza gratificazioni personali e stimoli ottimistici dal punto di vista della ricerca:”Lo scavo d’archivio sullo spettacolo – prosegue – è stato particolarmente divertente, anche perché su Bella Ciao a Spoleto c’erano soprattutto racconti che, come spesso avviene, si sono modificati e riplasmati nel tempo… Leggere le lettere dei protagonisti, la rassegna stampa, gli appunti del regista mi ha permesso di lavorare da storico e di ricostruire una verità più complessa di quella che normalmente viene perpetuata nelle pubblicazioni degli appassionati e dei protagonisti di quella stagione”.
Tomatis resta invece scettico sulle possibilità di trovare un autore o una fonte sicura della canzone Bella Ciao. A cui vengono addirittura dedicati due documentari in anni recenti, allo scopo anche di risalire alle sorgenti, trovando però teorie strampalate o giudizi affrettati. Sta di fatto che una tra le canzoni italiane più famose al mondo e da almeno mezzo secolo l’inno partigiano per antonomasia, come egli stesso spiega assai bene nel libro si origina nelle tradizioni orali di folclorica memoria: “(…) è piuttosto ozioso pensare di ricondurla a una fonte univoca… Di certo è qualcosa che è mutato, è cresciuto, è cambiato in un contesto molto diverso a quello a cui siamo abituati. L’idea di ‘brano musicale’ nelle culture orali è molto più simile a quella di un canovaccio teatrale, qualcosa di malleabile, che non a un testo stabile da ripetere ogni volta uguale. Qualche fonte ulteriore salterà forse fuori… allo stato attuale della ricerca, in ogni caso, siamo in grado già di dire molte cose su Bella ciao. Per esempio, di confermare che era cantata durante la guerra”.
Parlando invece di Bella Ciao come spettacolo curato dall’etnomusicologo Roberto Leydi con la regia teatrale di Filippo Crivelli, i testi del poeta Franco Fortini e la partecipazioni degli interpreti perlopiù dell’NCI (Nuovo Canzoniere Italiano) ovvero Caterina Bueno, Maria Teresa Bulciolu, Giovanna Daffini, Gaspare De Lama, Ivan Della Mea, Gruppo Padano di Piadena, Silvia Malagugini, Sandra Mantovani, Giovanna Marini, Caty Mattea, Hana Roth, Michele L. Straniero, vien da pensare se l’enfatizzazione delle esternazioni di molti di loro, tra gli anni Ottanta e Duemila in quanto testimoni/protagonisti della conteastata serata spoletina (da parte di pochi ma urlanti, fegatosi, sgradevoli spettatori di destra) risulti una sorta di autodifesa o di orgoglio veterocomunista: “Più che di orgoglio veterocomunista – precisa Jacopo – io ci vedo un progetto culturale utopico – quello di promuovere una musica e una cultura diversa, fatta dal popolo per il popolo – e il consapevole tentativo di sfruttare l’interesse mediatico su uno spettacolo per farlo. Poi, come sempre, a posteriori intervengono la memoria, la nostalgia, la rivendicazione, in parte forse anche il tentativo di dare un senso compiuto a un’esperienza che doveva portare (non dimentichiamolo) a una rivoluzione, a un sovvertimento dei rapporti di potere… e che invece a distanza di sessant’anni esatti si ritrova a confrontarsi con i cascami della grande cultura di sinistra che fu”.
La prima registrazione fonografia della Bella Ciao partigiana risale al 1962 ed è opera di un notissimo chansonnier francese, ovvero Yves Montand, anche divo cinematografico dalla provata fede marxista che ne offre una versione leggerina con il tipico accento francese (benché egli sia di origini livornesi, al secolo Ivo Livi), mentre quella da risaia appartiene alla citata Daffini un anno dopo. E nel giro di un solo triennio sono moltissimi i pop singer a interpretarla e soprattutto a inciderla su 45 giri: Maria Monti, il Corto Stella Alpina, Los Marcellos Ferial, Milva, The Minstrels Enrico Musiani, Giorgio Gaber, I Gufi, The Tinkers. C’è addirittura una versione sconcia dai doppi sensi ‘pornografici’ con il titolo Io meno il cane cantata e incisa da un fantomatico Giulio Franchi nel 1963, di cui si conosce molto poco: “So solo – ribadisce Tomatis – che il disco di Giulio Franchi fu oggetto di sequestro da parte della procura di Lanciano. In realtà, le parodie porno di melodie popolari sono un classico dei meccanismi di diffusione orale, solo che raramente ne rimane traccia registrata. Io stesso ricordo che quando ero bambino con i miei compagni si cantava un’altra versione ‘porno’ di Bella ciao, che non riporto”.
Chissà se la versione ‘sconcia’, in un’epoca di rinato slancio antifascista grazie ai primi governi di centrosinistra nell’Italia tra boom economico e contestazione generale, sia il tentativo tra banale qualunquismo o nostalgie mussoliniane di screditare un canto – Bella Ciao – che sta diventando via via una sorta di inno nazionale alternativo per tutti quelli che credono nei valori di libertà, democrazia, giustizia, indipendenza a difesa dei valori di una giovane Repubblica nata con il sangue di tanti martiri che hanno combattuto, al costo della vita, la feroce dittature delle camicie nere e delle croci uncinate.
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