Recensioni
Il sentiero dei papaveri
Il nuovo romanzo di Remo Bassini
a cura di Guido Michelone
Benché condito anche di elementi di contemporaneità, che saranno poi determinanti nel crescendo di un finale sempre più burrascoso, il nuovo romanzo di Remo Bassini appare quasi ‘senza tempo’ o al di fuori di esso, ricordando – soprattutto nelle povere location o nelle tristi vicende – il primo Novecento o il secondo dopoguerra di certa narrativa toscana a cui l’autore potrebbe essere legato a doppio filo. A tale proposito si potrebbe tirare fuori l’aggettivo ‘metafisico’ per indicare forme e contenuti di questo bel libro, richiamando proprio il senso di ‘arte metafisica’, avvolta via via dal fiabesco e dal simbolico, pur con i piedi saldi in una cultura per così dire neorealista. Si tratta per Bassini di una posizione morale, che è, a sua volta, da sempre il tratto di distintivo di una prosa rinvigorita da ulteriori ingredienti della letteratura e del giornalismo, da cui l’autore proviene. Infatti il protagonista del libro – pur essendo, per età anagrafica, molto più giovane dello stesso Bassini – possiede forse qualcosa di autobiografico soprattutto nell’imperativo etico: difatti il personaggio riprende a fare lo scrittore, muovendosi però tra le pagine del romanzo come un giornalista, nel senso del reporter che investiga, ricerca, analizza e talvolta scopre. Certo, lo scrittore del Sentiero dei papaveri si muove, come detto all’inizio, in una sorta di labirinto metafisico, dove il paesaggio e l’ambiente, la natura e la città, i personaggi e i comprimari, i bar e le case, agiscono a livello di sollecitazioni rituali, oscure, persino magiche, secondo meccanismi ben collaudati dall’epica letteraria. Il protagonista da un lato risulta il classico eroe ‘solo contro tutti’ perché anche per le figure a lui più vicine c’è primo o poi il momento dello stacco traumatico o dell’abbandono definitivo, ma il personaggio dello scrittore è qui anche l’archetipo moderno dell’artista maledetto, talvolta un po’ decadente nell’inazione a reagire, sebbene consapevolissimo del valore terapeutico della scrittura medesima. Come nel teatro classico, il libro contempla anche il ruolo del deuteragonista nella figura del cosiddetto ‘capitano’, il quale può anche assumere la massima importanza quale deus ex machina che riattiva il motore dell’ispirazione letteraria nell’uomo in crisi, svelandogli poco a poco le ‘storie dietro le storie’. E lo fa in un romanzo che diventa anche corale e parlato a più voci e che, a riassumerlo per filo e per segno, si farebbe un torto al lettore privandolo del gusto della scoperta in un libro sincero di avventure della mente e dei sentimenti, in quella che un grande scrittore, 200 anni fa Honoré de Balzac definisce l’umana commedia.
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