Recensioni
Vai al posto di Valentina Petri
Un romanzo-diario, una ‘giovane’ prof tra ‘vecchi’ studenti
a cura di Guido Michelone
Tra i libri di maggior successo, soprattutto fra insegnanti e in genere nel mondo della scuola, c’è il volume, “Vai al posto” (Rizzoli), scritto da un’insegnante di materie letterarie in un istituto professionale di provincia del Profondo Nord Ovest; infatti, dopo l’exploit di “Portami il diario” (sempre stesso editore), anch’esso una sorta di romanzo-diario di un anno scolastico dalla visuale della Professoressa (giovane negli anni e nello spirito, rispetto agli studentelli spesso ‘vecchi dentro’), pare inevitabile il sequel che l’autrice – nata, cresciuta, attiva a Vercelli – giustamente ambienti non in tempo reale, bensì anticipando la narrazione agli anni della normalità pre-Covid, bypassando l’era pandemica ancora presente durante la stesura del testo, scolasticamente avvertibile quale momento di incertezza fra mascherine in classe e lezioni in remoto.
Valentina, consapevole dell’anomalia, tra speranza e convinzione che tutto torni come prima, si rifà, più o meno autobiograficamente, al proprio ruolo nello stesso istituto, che la vede protagonista, solo alcuni mesi prima, come supplente annuale (ovvero ‘quella nuova’) e ora finalmente ‘Prof’ a tutti gli effetti; le classi, dove insegna Italiano e Storia, sono una prima, una quarta e soprattutto due quinte frutto di un accorpamento fra l’indirizzo moda (prevalentemente femminile) e i meccanici (di soli uomini).
L’appena appena ‘romanzata’ vicenda prosegue quindi con le tipiche situazioni di un Istituto superiore secondario (poco metropolitano e tanto provinciale), dove i problemi cronici della scuola italiana si ripetono da lustri, decenni, forse secoli, magari attutiti rispetto ai drammi delle metropoli, indubbiamente avvertibili da chiunque lavori a scuola – da altri un po’ meno – con l’aggravarsi di un decadimento della forma e della sostanza, della disciplina, della cultura, a cui è arduo opporre rimedio, se non con il buon senso e la buona (ottima?) volontà degli insegnanti medesimi: e in tal modo, l’autrice è prontissima a osservare e a criticare tanto le pessime abitudini di studenti pigri, svogliati, volgari, casinisti, quanto gli intoppi burocratici di un sistema anacronistico che non è al passo coi tempi sotto il profilo organizzativo – gestionale e soprattutto pedagogico (aspetto, questo, come quello politico, di proposito rimosso dal libro.
C’è però, indirettamente, un filone contestatario, quasi alternativo, o goliardicamente rivoluzionario, nel descrivere la scuola di “Vai al posto”, che differenzia la vicenda romanzata da precedenti illustri dell’ultimo Novecento (Starnone, Mastrocola, D’Orta), riguardante il grado zero della scrittura e il piacere del testo, come direbbe Roland Barthes.
La Petri – figlia di buone letture e molteplici interessi – usa infatti benissimo i registri dello humour freddo (e talvolta caldo) sotto un duplice aspetto: da un lato offre una prosa giovanile, simpatica, beatnik, estroversa, post-moderna nel mescolare l’alto il basso o nelle frequentissime disparate citazioni (letterarie, cinematografiche, televisive, musicali, pubblicitarie, eccetera), dall’altro usa la doppia arma dell’ironia nei confronti dei propri ‘oggetti’ corali (allievi e colleghi, caricaturati fin dai buffi soprannomi ) e dell’autoironia verso il ‘soggetto’ principale (cioè se stessa), in una sorta di autocelebrazione comica, grottesca, accattivante (non senza tenerezze e romanticismi in alcuni punti), che diventa in fondo un monumento alla figura del della docente di Lettere, quale unica vittima sacrificale in una scuola che pare sempre più ‘commedia’, ma molto poco anzi per nulla divina.
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