Vita e musica Chet Baker
La storia e la teoria di un olandese
a cura di Guido Michelone
Un libro da poco uscito in Italia – Chet Baker. Vita e musica, pubblicato da EDT e scritto dall’olandese Jeroen De Valk – in realtà edito in originale già dal 1989 (ma più volte riaggiornato) getta nuova luce su uno tra i più amati jazzisti dal pubblico italiano, anche per i lunghi trascorsi del trombettista nel nostro Paese. Chesney Henry Baker, Jr. detto “Chet” nasce a Yale il 23 dicembre 1929 e muore ad Amsterdam il 13 maggio 1988: la sua carriera di jazzman – tromba, flicorno, canto, leadership, di rado composizione – decolla nei primissimi anni Cinquanta e termina bruscamente, in piena attività, con una stanza d’albergo, dove viene probabilmente defenestrato da un pusher per una faccenda di debiti, che pongono dunque fine a un’esistenza tormentata, ma spesso prodiga di impennate artistiche considerevoli.
Baker si fa conoscere ventenne all’interno del quintetto di Charlie Parker, per passare quindi al gruppo di Gerry Mulligan (sax baritono), con il quale inventa il piano less quartet: due fiati con il solo accompagnamento di contrabbasso e batteria, impostosi subito come uno dei vertici del cool jazz bianco. L’esperienza è di breve durata, perché Chet si mette in proprio, esordendo anche quale vocalist dal timbro originalissimo (il pendant canoro al proprio trombettismo lirico, morbido, ovattato), riscuotendo unanimi consensi di pubblico e di critica, che gli permettono di vincere i referendum sulla rivista “Down Beat” quale miglior solista; ma la situazione addirittura precipita: Baker è ormai un eroinomane in fuga da se stesso e, nella prassi quotidiana, perennemente in bilico tra America ed Europa, tra moglie e amanti, tra debiti contratti e progetti falliti.
Ed è proprio in Italia negli anni della ‘dolce vita’, dove Chet collabora sia con jazzisti nostrani sia alle colonne sonore di alcuni film, che viene colto in flagrante e condannato a un anno di prigione, scontati nel carcere di Pisa, l’unico luogo in cui ottiene forzatamente la tranquillità necessaria a comporre alcuni brani rimasti inediti per circa mezzo secolo e proposti quindi da Paolo Fresu e Giulio Libano. L’uscita di galera corrisponde purtroppo con il decennio più buio del curriculum artistico-professionale a causa del disinteresse della gente verso la sua musica ormai soverchiata dalla furia del rock americano, ma anche per colpa di un ‘incidente’ accorsogli a causa del ‘vizio assurdo’. Infatti, come molti tossicodipendenti cronici, il trombettista tende a fregare il prossimo, anche con squallidi mezzucci, ad esempio falsificando ricette mediche per ottenere sostanze stupefacenti, oppure tentando di circuire gli spacciatori quando è a corto di denaro.
E forse per via di un grosso debito – ma la vicenda non viene mai del tutto chiarita – cinque loschi individui picchiano il jazzman per strada, colpendolo ripetutamente in faccia e in bocca sino alla rottura della mascella e alla caduta di quasi tutti i denti. Costretto a usare una dentiera e a faticare come benzinaio, per un paio d’anni Baker deve reimparare a suonare uno strumento, cominciando ottenere risultati soddisfacenti solo nei primi Seventies, in un momento in cui il jazz torna riprendere fiato: paradossalmente il volto ora rugoso di un uomo non ancora cinquantenne, oltre un generale precoce invecchiamento, offre di lui l’immagine di un anziano fricchettone, che però solletica di nuovo la curiosità del pubblico europeo, ormai giovane e aperto anche al revival jazzistico.
Dal canto suo Chet rinuncia definitivamente alla musica commerciale – dalle banali canzonette al mariachi messicano: tentativi maldestri di guadagnare denaro facile – per immergersi a fondo nel suo amato cool, non senza qualche impennata bebop e hard bop, nei troppi dischi registrati a proprio nome, addirittura con qualche sprazzo free o fusion. La carriera di Baker lungo gli anni Settanta/Ottanta fino al tragico volo (ufficialmente suicidio, senza che la polizia olandese intenda mai riaprire il caso) procede tranquilla nella irregolarità esistenziale; purtroppo, come appena accennato, egli rinuncia a curare i dischi, incidendone a raffica (o autorizzando a pubblicare ignobili live, perché dal vivo il trombettista è sovente in overdose), con formazioni instabili o raffazzonate, non appena risulta a corto di denaro e deve procurarsi la roba.
Come suggerisce anche l’autore olandese, tra storia e teoria, ciò che rimarrà per sempre saranno i dischi: e commentandoli tutti 266 (nelle edizioni su CD), valutandoli da 1 a 5 stelle, Jeroen De Valk ne indica solo otto col massimo punteggio: The Best Of Chet Baker Sings (1953-1956), Quartet (1956), She Was Too Good To Me (1974), Diane (1985), Live From The Moonlight (1985), Chet’s Choice (1985), In Tokyo (1987), The Last Great Concert (1988) restano splendidi capolavori che mettono ancora i brividi per l’oggettiva poesia tra apollineo e dionisiaco.
Utenti on-line
Ci sono attualmente 30 Users Online