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Scommetto che la luce su questa pagina non è ancora stata inventata
“Il tempo è una madre”, di Ocean Vuong, è una raccolta di poesie edita negli Stati Uniti nel 2022, e appena uscita nella traduzione italiana di Abeni ed Egan, per Guanda editore. Pubblicata in seguito alla morte della madre Rose, avvenuta nel 2019, l’autore esplora nella silloge temi come l’identità, la memoria e la vita. Questo, sembra essere forse il libro più amaro dello scrittore, rispetto ai quattro precedenti. Violenza geopolitica, barriere sociali, retorica della morte. «La poesia diventa una messa in discussione dei miti», chiarisce in un’intervista. “Non volevo che fosse bello, ma avevo bisogno che la bellezza fosse più che dolore mansueto”, così Vuong apre il libro.
La costruzione delle immagini prende quota dall’oscurità e dal silenzio interiori: da una lettera in cui sostiene “forse io posso costruire un ragazzo dai silenzi di dentro, possiamo cessare senza morire, scopare senza che sgorghino lacrime”, fino all’ultima reginetta del gran ballo della scuola in Antartide, dove “l’oscurità che preferisco è quella dentro di noi. Grande come la bara di un mostro”.
Vuong ha una grazia di pensiero, una leggerezza, nel tocco. Le sue immagini sono scene che descrivono una storia. Una pagina è una porta cinematografica. “Poi mi ha baciato, come se stesse inserendo una scheggia di porcellana nella mia guancia. Tremante, mi sono volto verso di lui. Mi sono volto e ho trovato, spiegazzata sull’erba, la camicia rossa e scolorita. Me la sono messa sulla faccia e sono rimasto immobile.” Quella di Vuong è una voce che restituisce le cose del nostro mondo, e che affronta argomenti come razzismo, omofobia e suicidio. “Ehi. Una volta ero frocio ma adesso sono un quadratino da spuntare. La punta della penna conficcata nella schiena, sento il marchio del progresso”, e ancora, “Ci credi che mio zio ha lavorato nella fabbrica della Colt, 15 anni e alla fine ha usato una cintura? A proposito di disciplina. A proposito del buon Dio. Nessuno è libero se non apre a forza qualcosa”
Bifronte, la vittima è sempre l’altra faccia dell’eroe. L’uomo che si è fatto da sé, che si è ritagliato il destino da solo, con volontà incrollabile.
Ocean Vuong, è nato a Ho Chi Minh nel 1988, quando aveva 18 mesi la sua famiglia si è trasferita negli Stati Uniti, nel Connecticut, ed è stato cresciuto non senza difficoltà dalla madre, dalla nonna e da una zia. “Mia madre davanti allo specchio che si incipria prima di andare a fare la chemio” La notizia della madre morta, è solo una, tra le altre notizie, nell’opera. Insieme ai proiettili, alla crudeltà, alla droga. “Perché anche io avevo bisogno di un luogo che mi contenesse.”
Se il poeta è colui che traduce il suo desiderio in scrittura, Vuong pone attenzione al linguaggio con il quale decidiamo di raccontare la nostra storia: “il modo in cui dici ciò che vuoi dire, cambia ciò che dici”. Scrivere, è vivere in due mondi contemporaneamente. E l’atteggiamento verso la vita è il destino. “Ho ancora paura delle farfalle, di come si muovono, tanto simili a un cuore in fiamme”, come quella colonia di farfalle di “Brevemente risplendiamo sulla terra” (La nave di Teseo, 2020), che da qualche parte nel Michigan, inizia la sua migrazione annuale verso sud. Un battito d’ali per volta, verso il Messico centrale, si posano tra di noi, ma basta una notte di gelo per sterminarne un’intera generazione. “Vivere, diventa allora una questione di tempo e di tempismo.” Questa raccolta è un’opera che merita di essere letta da chiunque sia interessato alla poesia contemporanea: “Ho pensato la caduta mi avrebbe ucciso, ma invece mi ha solo reso reale.”