Recensioni
Un nuovo canzoniere amoroso
Il dettato dell’immaginazione di Francesca Tini Brunozzi
Tra i libri più coinvolgenti nell’attuale panorama della poesia italiana spicca Il dettato dell’immaginazione pubblicato nel dicembre scorso da Francesca Tini Brunozzi per le edizioni Melville di Siena: si tratta del sesto libro per l’autrice piemontese di origini umbro-lombarde, il cui filo logico per queste opere, uscite tra il 2006 e il 2018 (Brevi danze, Frau, Frau e le altre, Mi è testimone la terra, Il grado zero della buona educazione) si manifesta anzitutto nel proprio radicamento interregionale fra Nord e Centro Italia, nelle regioni che vedono, attraverso i secoli, l’emergere di grandi poeti nazionali: dal Medio Evo di Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi in Umbria alla Scapigliatura di Achille Giovanni Cagna e Giovanni Faldella in Piemonte (Vercelli in primis), fino a una Lombardia che si nutre via via di Illuminismo (Parini e Manzoni) e di neoermetismo e neoavanguardia nel secondo Novecento.
Echi soffusi di questi luminari si sentono pure nella lirica ‘colta’ di Francesca Tini Brunozzi, giacché “Il dettato dell’immaginazione – come scrive un’altra poetessa, Francesca Genti, nella premessa al testo – si presenta come un canzoniere amoroso di matrice antica ma anche come un avvincente romanzo in versi in cui possiamo seguire passo a passo le avventure interiori di un’eroina senza macchia né paura e ancora come una lunga riflessione in metrica per arrivare a una radice di consapevolezza, anzi, di più, di Verità”.
Ma si tratta altresì di una poesia con un innocenza mirabolante, come sostiene il critico Ulisse Jacomuzzi nella postfazione, il quale, giocando sulle parole del titolo del libro, parla di “Meravigliosa innocenza che prende ciò che l’immaginazione ha dettato con totale semplicità. Che gusta e ricorda le parole e non impone significato, che è vicina alla loro novità e solitudine, al loro essere che prima non c’era. Ché (come ama causalmente intercalare qui l’autore) “rammenta le mie parole” non significa “ricorda quel che ti ho voluto dire”, ineliminabile sciagura della versione in prosa che cancella il significante suono. La poesia, e anche questa poesia, è fuori dagli schemi della rappresentazione, non è veicolo di altro che non sia essa stessa, è custodiente di sé. Puro guardare.”
Il dettato dell’immaginazione può ulteriormente leggersi come un viaggio fuori e dentro l’inconscio, quasi a omaggiare la psicanalisi di Sigmund Freud, materia che Francesca Tini Brunozzi mostra di conoscere assai bene, soprattutto sul lato ontologico e affettivo, mutando a sua volta la disciplina ‘scientifica’ in una letteratura aggiunta, che trova forza, credibilità, rispetto nell’assoluta aderenza alle regole del verso, della parola, del costrutto, della rima, del ritmo, della musicalità. Si è davanti, insomma, a una delle poetesse odierne, dove la forma è in primis l’idea del contenuto, perché non ci può essere concettualmente significato valido senza auto autorevolissimi significanti. Del resto i primi a capirlo, oltre a lei stessa, sono proprio i due grandi personaggi, della premessa e della postazione: la Genti e Jacomuzzi parlano di lei in quanto autrice del già menzionato ‘canzoniere amoroso’ quasi a trattare di un novello ‘sublime cantore Orfeo’. G. N.
Cfr: Tini Brunozzi Francesca, Il dettato dell’immaginazione, Melville, Siena 2018, pagine 174, euro 18,50.
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