Liubou IV (Cristina Basile)

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Lo spettacolo 1

L’indomani, sul tram, lo stomaco era rimasto chiuso e il tragitto verso il teatro era parso infinito. Il ritorno era stato anche peggio: sedevo sulla sedia come fulminata, trasfigurata da ciò che avevo appena visto e un po’ in pena per me che a soli 10 anni, ero preda di una passione che nemmeno un adulto avrebbe saputo gestire.

Non avevo che un solo desiderio ormai: diventare una ballerina del Bolshoi, calcare anch’io quel palcoscenico, sapere che c’era da qualche parte, due ore prima del mio spettacolo, una bambina a cui batteva forte il cuore e che custodiva in sé grandi ambizioni.

Il balletto fu terribile: ebbi crampi e il fiato corto tutto il tempo. Un prodigio mi aveva fatta entrare nel corpo della prima ballerina, di cui pativo gli sforzi, l’acido lattico, le conseguenze dello sforzo danzante. Il viaggio verso casa fu una tortura ancora peggiore. La mia passione correva forte nelle vene, mentre il tram, gelato dal Buran, procedeva lento e pesante. Quello spettacolo mi aveva trasformata in una bambina impaziente che non ammetteva compromessi né rallentamenti, per arrivare dove voleva. L’idea di rimanere un minuto di più senza le scarpette ai piedi, senza scalmanarmi “compostamente” come aveva fatto Irina Checov, nel suo abito di tulle, era inammissibile. Volevo quel costume! Sarei stata capace di intrufolarmi dietro le quinte per impossessarmi del suo, che avrei tenuto stretto la notte, come un cuscino, fino a che non fossi entrata nel corpo di ballo più celebre di Mosca.

Una voracità sconosciuta si accaparrò dei miei piedi, che chiedevano di essere curvati tutti i giorni per raggiungere un arco perfetto, poi una brusca frenata interruppe i miei sogni: il giorno dopo sarei dovuta andare a scuola, la routine quotidiana avrebbe ripreso. Ero ancora piccola e non potevo accelerare il tempo. La cosa m’indignò, ebbi voglia di piangere. Trattenni sovieticamente i singhiozzi e approfittai delle frenate del tram per frenare anch’io le immagini di un successo lontano, di un lusso danzante che volevo calcare.

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