Recensioni
Aita! Aita! Salvateci da Balthus e dalle sue opere!
a cura di Pamela Proietti
Quando in Germania, nel 2014, la mostra di Balthus venne annullata dal museo Folkwang a solo due mesi dall’inaugurazione e, nel 2016, a Vienna venne proposto una sorta di Parental Control dove rendere espliciti, fin dall’inizio della visita, i contenuti ambigui che gli spettatori avrebbero potuto incontrare lungo il percorso espositivo, la voce di Balthazar Klossowsky de Rola bucò la terra e tornò a tuonare: “Morte agli ipocriti! L’erotismo è l’unica possibilità di turbare ancora le marionette borghesi”.
A sedici anni dalla sua morte, Balthus desta ancora scalpore. Solo di pochi giorni fa la notizia di una petizione (quasi 9000 firme raccolte in poche ore!) che promuove la rimozione del famoso dipinto Thérèse Dreaming dal Met. Naturalmente il museo non ci pensa affatto ad avallare una richiesta del genere e il suo portavoce ci fa sapere che, per il Met, questa potrebbe essere un’occasione di apertura al dialogo su Balthus e le sue opere. Dunque, il dialogo. Che meraviglia! Peccato che proprio il Met, nel 2013, per una monografia dedicata al pittore, esponeva all’entrata della mostra un cartello: “Alcuni tra i dipinti potrebbero risultare disturbanti per alcuni visitatori”.
E allora? E quindi?
Come ce la vogliamo giocare questa velata – ma neanche tanto poi – accusa di pedofilia che investe Balthus e i suoi dipinti nonché le scandalosissime polaroid che il pittore utilizzava per lavorare ai suoi quadri quando, in vecchiaia, la vista lo stava abbandonando?
In barba al bigottismo e alle lagne sull’arte e il suo declino, “Balthus – La retrospettiva” presso le Scuderie del Quirinale e, in contemporanea, all’Accademia di Francia-Villa Medici “Balthus – L’atelier” ebbe un successo considerevole. A Roma, nel 2015, il pittore venne accolto con grande entusiasmo.
E fu nel 2015 che riuscii a eludere la sorveglianza delle Scuderie e introdurmi nel dedalo di corridoi con la mia polaroid (toh, la polaroid!) e, da un ballatoio, in un angolo buio a ridosso della colonna, fotografare La Rue, seconda versione del 1933, esposta per la prima volta a Roma.
Affiancata dalla versione del 1929 – la più famosa – l’opera è considerata il manifesto estetico di Balthus.
Balthazar Klossowsky de Rola, in arte Balthus, scuote gli animi degli anni 30 con una pittura pungente e uno sguardo scomodo. Il tema predominante è l’infanzia – l’innocente sessualità presente nei fanciulli gli costò diverse accuse di pornografia – mentre la passione per la letteratura infantile lo accompagnò tra le sue opere facendo emergere dalle tele un erotismo ambiguo e spesso inquietante.
Ma non è di solo erotismo che vivono le opere di Balthus. Lo spazio geometrico in cui organizza i suoi dipinti, le figure immobili, il suo amore per Piero della Francesca, i Primitivi Italiani e il Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud (amico con cui si indentificherà) sono tutti elementi fondamentali da tenere in considerazione quando ci si pone di fronte ai suoi lavori.
Una delle figure importanti nella vita di Balthus fu il poeta Rainer Maria Rilke, amante della madre del pittore e forte sostenitore della sua opera. Fu proprio il poeta, nel 1921, a pubblicare “Mitsou” – libro di illustrazioni sul gattino che Balthus tanto amava e che aveva disegnato a soli undici anni – unendo una sua prefazione alle 40 tavole illustrate dal giovane pittore.
Il grande amore di Balthus per i gatti sarà sempre cantato dal pittore attraverso una riproduzione che collocherà questi animali sulle tele come parte integrante della scena. Uno sguardo felino che sarà testimonianza del suo stesso sguardo all’interno delle proprie opere.
Come lo sarà anche la passione per il mondo di Lewis Carroll e per Cime tempestose di Emily Brontë – quest’ultimo illustrato dal pittore che si ispirò, per i volti di Catherine e Heathcliff, al proprio viso e a quello della moglie [ come accadrà anche nel famoso quadro I bambini Blanchard (1)].
Albert Camus scriverà: “Il tema della fanciulla che ritroviamo in molte delle tele di Balthus è rivelatore. Le illustrazioni che ha realizzato per Cime tempestose potrebbero talvolta adattarsi al
Grande Meaulnes. Balthus ha capito che una delle chiavi di questo libro in cui l’amore urla con
una rabbia adulta è il ricordo degli amori infantili di Cathy e Heathcliff e la terribile nostalgia che
queste creature hanno portato con sé fino al momento della separazione definitiva. Bruciano
letteralmente di nostalgia e questa sofferenza che immaginiamo così raffinata mostra il suo
vero volto, cieco e consumato, il volto stesso della miseria umana, nel suo sforzo estenuante
per risalire verso la fonte di innocenza e di gioia”. (2)
E quindi? E allora? Come ce la vogliamo giocare questa crociata de’ noantri che grida al lupo cattivo, ove il lupo è soltanto un gretto moralismo che ancora oggi imperversa, nonostante l’inquisizione sia un oscuro (e per fortuna lontano) capitolo della nostra storia?
E dopo Balthus?
Il critico d’arte Helga Marsala scrive: “Insomma, chiudiamo il Metropolitan e non se ne parla più. Bruciamo i libri. Sbarriamo i teatri. Silenziamo millenni di storia dell’umanità, con tutte le sue inquietudini e le sue perversioni, a partire dai miti che ne incarnano archetipi e immaginari. A scanso di turbamenti, a favore di noia. Se la morte dell’arte ha un’immagine possibile, eccola qui.”
Aggiungerei: “ Deh, Balthus!”.
Note curiose
1.
I bambini Blanchard, dipinto che raffigura Thérèse e Hubert Blanchard, è l’immagine allo specchio di una delle scene presenti nel libro Cime tempestose che Balthus illustrò tra il 1932 e il 1935. Immagine allo specchio poiché ciò che riflette lo specchio è in realtà un’immagine capovolta, e questo è proprio quello che accade, come mostrano le didascalie della scena che raffigura i due ragazzi nell’illustrazione. In Cime tempestose sarà scritto: “Ho passato il tempo così, scrivendo per venti minuti”, riferendosi alla punizione data a Catherine e Heathcliff dal fratello di lei. Balthus ne ribalterà il senso scrivendo: “Perché Cathy gli insegnava ciò che lei imparava”, traducendo così lo studio in un privilegio anziché un obbligo.
2.
Albert Camus in Balthus, Catalogo Scuderie del Quirinale, La retrospettiva
Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, L’atelier
Introduzione a cura di Cécile Debray.
3.
Alcune fotografie utilizzate in questo articolo sono furtivisme, shhh…
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