Bellum omnium contra omnes

a cura di Vittorio Alfieri

Bellum omnium contra omnes, “ossia la guerra di tutti contro tutti”.

È un’idea di Thomas Hobbes per illustrare la concezione politica nel: Leviatano o materia, forma e potenza di uno Stato ecclesiastico e civile, anche se la locuzione fu espressa per la prima volta nel De Cive -Il cittadino- .Il “Leviatano” di Hobbes è una famosa opera filosofica in cui descrive il contratto sociale e la sua visione del potere politico, in cui immagina una sorta di “mostro” o entità sovrana chiamato Leviatano che simboleggia il potere dello Stato, necessario per mantenere l’ordine e prevenire il caos nella società. Il filosofo fa riferimento alla figura della bibbia ebraica, nell’immaginario collettivo è un mostro marino, descritto da Melville come un capodoglio dalle dimensioni enormi e dall’incredibile ferocia.

Divagazione, ma forse non troppo, in Moby Dick, lo scrittore statunitense, ha vergato un romanzo a modo suo speculativo, sul mare, sul coraggio, sulla morte e sul Male, perché siamo fatti di questi 4 elementi: l’oceano è un tropo, per noi latini mare nostrum, è il liquido amniotico. Tornando al saggio, nel frontespizio emerge il mezzobusto di un gigante con corona, il cui corpo e le cui braccia sono composte da agglomerati di piccoli uomini; le fattezze facciali evocano il viso di Cromwell.

Questo Leviatano stringe in una mano una spada, simbolo del potere sugli esseri umani nell’altra un pastorale vescovile, emblema dell’autorità religiosa. L’autore descrive lo stato di natura come uno stato di guerra persistente e planetario: un luogo privo di norme, dove ogni persona raggiunge i propri interessi con la forza. Solo la legge stabilisce ciò che è lecito e ciò che non lo è, la storia ci ha insegnato finanche dopo la seconda guerra mondiale e l’uso della bomba nucleare, che a volte il diritto non basta.

Molti filosofi e storici dell’antichità pensavano che il conflitto fosse un elemento ineliminabile della vita umana, se non addirittura un fattore la cui assenza sarebbe più dannosa che vantaggiosa.

Eraclito la definí “padre di tutte le cose”, e in Empedocle la contesa è uno dei due fattori, insieme all’amore, del ciclo cosmico di unione e separazione dei quattro elementi -fuoco, aria, acqua, terra-.

Fu con l’avvento del cristianesimo che la guerra non viene considerata un fenomeno naturale, ma si comincia a operare una distinzione fra quelle giuste e ingiuste. Agostino d’Ippona e soprattutto Tommaso d’Aquino che riprende e sviluppa la teoria agostiniana della guerra giusta. Alla domanda se fare la guerra sia sempre peccato-utrum bellare sit sempre peccatum-, il frate domenicano risponde che, a certe condizioni, la guerra è giusta e si configura come un’azione umana di carità. Essa è peccato quando la fanno persone non autorizzate, è giusta quando è sostenuta da un’autorità universalmente riconosciuta ed è combattuta per una giusta causa. Nell’età contemporanea lo speculatore dell’incipit la definisce lo “stato di natura”, appunto “Bellum omnium contra omnes”.

Rousseau applicherà il concetto hobbesiano. Non più allo stato di natura, ma alla società civile, giudicata il luogo della lotta, dell’antagonismo e quindi la fonte della disuguaglianza e del disagio sociale. Per lo svizzero, si potrà mettere fine ai conflitti soltanto con un ‘nuovo’ contratto sociale, che faccia del popolo una reale comunità di intenti.

Kant con i progetti cosmopolitici espressi nella “Per la pace perpetua” mirava a una totale messa al bando della guerra.

Hegel sostiene che la storia registrerebbe solo pagine bianche in assenza della guerra e nei “Lineamenti di filosofia del diritto” le assegna un profondo valore etico, perché “preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua”.

Marx la giudicava utile e necessaria se favorisce il progresso economico e indirettamente gli interessi del proletariato. Ovviamente per il tedesco ogni accadimento nasce dai rapporti sociali di produzione e verrà meno quando il socialismo produrrà una reale unità fra i popoli della Terra. Il fenomeno è atavico, sul quale l’uomo sapiens sapiens s’interroga, la realtà che si vive lo conferma, una guerra mondiale a pezzi è l’idea di papa Francesco, la filosofia può aiutarci a limitarla.