Cinismo

Nell’opinione pubblica è l’atteggiamento di ostentata indifferenza e disprezzo nei confronti di valori morali e sociali.

Ma è esistita una corrente filosofica con il sostantivo dell’incipit, fu considerato più un “modus vivendi” Cicerone docet, che una dottrina. Infatti i filosofi cinici erano vagabondi, non avevano casa, né proprietà, né famiglia. Vivevano per strada, si lavavano poco e possedevano un solo vestito. Il cardine della vita cinica era la critica alle norme del vivere sociale. L’aggettivo “cinico” ha origine, la versione più accreditata, da kýon, “il cane”, con cui era chiamato Diogene di Sinope, il più celebre fra i cinici, allievo di Antistene padre del pensiero.

Diogene Laerzio, storico, scrisse che Antistene fu il primo “a rendere due volte tanto il mantello”, cioè ad avvolgerselo attorno al corpo due volte, in modo da non aver bisogno di possedere un altro capo di vestiario. Altri oggetti a corredo della scelta di vita furono un bastone e una bisaccia che sarebbero divenuti simboli della vita povera e vagabonda dei seguaci.

Sul piano morale la filosofia di Antistene si orienta nell’attivismo con uno strenuo impegno individuale nella pratica della virtù, accompagnato da un ritorno allo stato di natura, in cui l’uomo tende a liberarsi dei bisogni che eccedono la necessità della sopravvivenza.

Egli fu allievo di Gorgia e poi di Socrate. La filosofia cinica è figlia dell’insegnamento socratico. In particolare, i cinici radicalizzarono l’insistenza di Socrate sull’enkràteia, la padronanza di sé. Secondo Antistene, l’obiettivo della vita filosofica è la felicità, che può essere ottenuta attraverso la virtù. Della virtù Antistene diceva che “è nelle azioni e non ha bisogno né di moltissime parole, né di moltissime cognizioni” deve essere operata, esibita tramite la propria condotta.

Il filosofo cinico è indifferente alle abitudini, agli oggetti e ai desideri indotti dalla società.

Il filosofo cinico basta a se stesso. Per vivere non ha bisogno che di pochissimi beni materiali.

Non lavora, non si sposa, non deve alcunché ad alcuno.

Nonostante dichiarasse l’indipendenza della virtù dalle norme sociali, Antistene conduceva una vita tutto sommato ordinaria, almeno se paragonata a quella bizzarra e scandalosa del suo ben più celebre allievo, Diogene di Sinope, la cui esistenza era interamente dedicata a sfidare e infrangere la più comune e diffusa delle norme sociali: “c’è tempo e luogo per ogni cosa”. È il precetto che ancora oggi governa le nostre vite, al quale siamo educati fin dall’infanzia e che la maggior parte di noi rispetta. Non tutto si può fare in ogni luogo, non tutto si può dire in ogni occasione.

Diogene metteva risolutamente e continuamente in discussione le convenzioni del vivere comune. Viveva in una botte, chiedeva l’elemosina, mangiava per strada e si masturbava in pubblico, e a questo proposito pare dicesse: “magari potessi placare la fame stropicciandomi il ventre!”. Molti aneddoti esprimevano la sua condotta: che abbia preteso di essere ringraziato dopo essere stato invitato a pranzo e che usasse entrare a teatro all’ora in cui gli altri ne uscivano. Pensava che le convenzioni sociali mistificassero i bisogni naturali della vita umana, non conducono alla felicità né garantiscono la libertà.

Una vita felice, è possibile solo in accordo con la natura. E la natura non prescrive di magiare o dormire in un certo modo e in un certo luogo. La natura non prescrive di vivere in una casa, di sposarsi, di possedere dei beni.Con le sue abitudini scandalose intendeva mostrare ai concittadini l’assurdità delle convenzioni sociali. Perciò, la sua attività principale era turbare la quiete pubblica, ridicolizzava i filosofi e le loro teorie.

Un aneddoto leggendario riguarda l’incontro tra Diogene e Alessandro Magno. Il condottiero macedone si recò a visitarlo e lo trovò sdraiato al sole e gli chiese se ci fosse qualcosa di cui avesse bisogno, qualcosa che avrebbe potuto fare per lui. Diogene, indifferente, gli rispose che sì, avrebbe potuto spostarsi, perché gli faceva ombra. Alessandro, colpito e ammirato, riferì: “Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene”.

Gli ultimi filosofi cinici vissero più di settecento anni dopo Antistene.

Nell’epoca in cui si vive è assente un valore cardine del cinismo: la parresia e domina il disprezzo. Un cinico, nell’accezione filosofica, dei nostri tempi deceduto l’anno scorso è stato Biagio Conte.

Vittorio Alfieri

Riflessioni da finis terrae

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