CARROLL SECONDO PANERO. Un esempio di traduzione come per-versione

FIT THE FIRST
THE LANDING
“Just the place for a Snark!” the Bellman cried,
As he landed his crew with care;
Supporting each man on the top of the tide
By a finger entwined in his hair.
“Just the place for a Snark! I have said it twice:
That alone should encourage the crew.
Just the place for a Snark! I have said it thrice:
What I tell you three times is true”.

(Lewis Carroll, The Hunting of the Snark).

PRIMO SPASMO
LO SBARCO
Qui l’acqua piange; qui il mio volto
incontra il suo velo, e il cane
non può leccarmi: “Questo è
il miglior posto per uno Snark”, questo disse l’Uomo
della Campana, minacciando il lettore con il pugno
prima di mostrare il sangue: e mise in terra
tutto il suo equipaggio con tenerezza
facendoli passare sulla cresta dell’onda
con il dito perduto tra i loro capelli:
“Qui non piange il mare: questo è il posto.
Qui non piange il mare: questo è il mio volto.
Questo è il posto, questo è l’aroma dello Snark,
Queste parole lo chiamano, muovendo fragilmente la coda,
la testa abbassando e alzando gli occhi per non guardare
in essi: questa è la tana, due volte lo dissi,
in cui lo Snark si denuda, incitando alla copula
tutti gli altri Snark: -anche noi
gememmo per il sesso dello Snark- questo è l’umido posto
già tre o quattro volte lo dissi, e cinque lo dirò senza dubbio
e ciò che dico cinque volte è verità”.

(per-versione di Leopoldo María Panero, tradotta in italiano da I. Pravo)

Questi venti versi di Leopoldo María Panero procedono da soli otto versi del testo di Carroll, con prolungari spasmi per il lettore letteralista, il quale, non facendo suo il Principio della indeterminazione della traduzione proposto da Quine (“i parametri della verità sono abitualmente ben fissati. Però questo non avviene nelle ipotesi analitiche che costituiscono il parametro della traduzione”), a cui oppone una delirante identità dei discorsi, troverà inaccettabile una tale per-versione e proporrà un progetto di legge che la condanni, che castighi il perverso, legge che inizierà con una esposizione dei motivi su come il senso sia qualcosa di fermo, fissato nel discorso una volta per sempre, quando invece ciò che succede è che il senso non è uno spazio, bensì un impulso al movimento verso un senso oltre il senso, che mai si arresta, ma invece si aggira, avanza e retrocede, si incrocia con altri sensi, percorre il labirinto delle parole dell’interprete e ancora continua errando.
La prima crepa, il testo è una crepa, una ferita sul senso, che Panero si occupa di sigillare si apre con il silenzio, prima ancora che il discorso inizi a parlare. E si riconosce subito, per chi ha letto Panero, da chi proviene la voce che afferma “qui il mio volto / incontra il suo velo”. È la stessa voce che afferma, in una delle sue prime poesie, “Caduto il volto / un’altra faccia nello specchio”, e che il suo nome “era il nome di un altro”. Non sarà questo volto che si vela ciò che chiamiamo “originale”, che rimane velato dalla per-versione?
È sorprendente, poco più avanti, che il personaggio affronti il lettore per minacciarlo col pugno: così gravi sono i pericoli in agguato nella poesia di Carroll? Così gravi i pericoli che lo minacciano nella per-versione? Tanto nell’una come nell’altra, nella loro fusione, perché si tratta di un viaggio in cui il senso è confuso, in cui il disorientamento sembra costituire l’unico riferimento, in cui il senso si è fatto insensato. Minaccia dal testo che parla dei pericoli della lettura, lí dove, per definizione, è morta la certezza, dove ogni voce si vela, e al tempo stesso si rivela, si confonde col suo proprio discorso, come si confusero tutti i discorsi mentre si elevava la torre, il monumento, per sempre incompiuto, al linguaggio, come la sua effigie egualmente incompiuta, puro farsi, e in questo farsi verso un incontro con un segno sconosciuto ogni segno trova il suo velo e la sua rivelazione, ogni dire, ogni testo.
E, poco più avanti, una nuova dimostrazione. Se, nella poesia di Carroll, “the Bellman” poteva arrivare a dire tre volte la sua frase “Just the place for a Snark” per provare la sua verità, perché, come avvisa, “What I tell you three times is true”, adesso “l’Uomo della Campana” finirà per affermare che “già tre o quattro volte lo dissi, e cinque lo dirò senza dubbio”, ma la lettura dice che, al contrario del testo inglese, non c’è nel suo discorso nessuna frase tante volte reiterata, se non attraverso metafore. Tutto ciò sembra indicare, da una parte, il procedimento di amplificatio che determina, dato che ciò che è tre può essere quattro o cinque, ma anche dimostra come distinte espressioni possono essere manifestazioni di un’unica espressione, come il senso non è qualcosa che è inesorabilmente legato a un testo, ma che può esserlo a vari e, perciò, invertendo questo principio, come un testo può segnalare vari sensi.
Così, poco sembra essere gratuito negli spiegamenti che la poesia di Carroll ha propiziato, bensì che ci troviamo a che fare con riflessioni, espresse poeticamente, sul lavoro del tradurre, cioè del per-vertire, e, con una portata ancora maggiore, sui testi, i loro sensi, in definitiva il linguaggio. Non per nulla Panero afferma che tradurre è “creare mostri”, perché mostro non è, nella sua origine, l’aberrante ma piuttosto ciò che mostra, che segnala, che scopre, in questo caso, il vuoto del linguaggio, questa illusione del senso.
Per Panero, “alla traduzione spetta sviluppare –o superare- l’originale, e non ‘trasportarlo’ come un mobile qualsiasi, da una stanza all’altra… traduzione e tradotto non non devono essere parallele, bensì una tangente (la traduzione) che tocca il circolo (ciò che viene tradotto)”. E quindi “la per-versione è l’unica traduzione letterale, o meglio, fedele all’originale: e questo lo ottiene mediante un adulterio, mediante la sua –apparente- infedeltà”. E ”il testo non sarà mai il Testo, sarà sempre la sua assenza”.

Un esempio di una mia per-versione di un testo di E. A. Poe qui http://www.niederngasse.it/rubriche/approfondimenti/poe-secondo-pravo