COLLODI E PINOCCHIO NELLA CONTRADA DEI MORTI

a cura di Ianus Pravo

                                                    tradidi oblivioni, Muammar Al Gaddafi

Correggo Simone de Beauvoir: nelle lacrime non indugia una speranza, ma si affretta un non ricordo. Correggo Italo Svevo: non è la storia del dolore a esprimere le lacrime (è il pianto che è espresso dalla storia del dolore), ma le lacrime, del dolore, esprimono il vacillare. Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt. Il dolore è un barcollìo della coscienza. La lacrima è la mutilazione della frase, quos ego… la mano portata sugli occhi per asciugarsi le lacrime è il sed motos praestat componere fluctus. Io non sono così perfido da fingere di risparmiarti una sola lacrima, oh Rostand, ma io non sono così generoso da risparmiarti una sola lacrima, oh Rostand. E correggo Cioran: una lacrima non ha radici più profonde di un sorriso, al sorriso è radice profonda, e il sorriso è denudamento della lacrima, il chiuderle il cammino sul muro delle labbra. Io non piango, lacrimo. Nel pianto c’è uno stile, ma nella lacrima, al contrario, c’è la verità. Ma non sono l’amante delle lacrime, ne sono il ruffiano. Non vi è al mondo che una forma, la forma della lacrima. La forma senza forma della lacrima. Il dolore senza dolore delle lacrime senza pianto. Oppongo le lacrime al pianto. La lacrima è la forma dell’informe. Il pianto è l’informe della forma. La lacrima è la balbuzie che è il grido, il pianto è lo studio (studeo, desidero, e quindi ho coscienza) frastico del grido. Il pianto vuole una prefica al giusto prezzo. La lacrima vuole un Giuda, né giustizia né prezzo. Ogni lacrima vigila il cadavere di un concetto. Ogni lacrima è giardino e delizia del vano. Ma larme, Mallarmé. J’ai méprisé l’horreur lucide d’une larme. Ho disprezzato l’orrore lucido di una lacrima. Horreo, tremo di freddo, e disprezzo quanto il tremore chiarisce, deprezzo la sua verità al suo non-ricordo. Rovesciando Eliot, those are eyes that were his pearls. Ho visto e rivisto la cattura di Gaddafi, registrata dai cellulari, l’ho visto per un istante portarsi la mano sugli occhi per asciugarsi le lacrime. J’ai méprisé l’horreur lucide d’une larme. Rovistando tra le mie cose, ho trovato lo scritto che segue, di Leopoldo María Panero. Si tratta della prefazione al mio libro “Nostra Signora d’Auschwitz” (2007). Mi sono venute le lacrime agli occhi, come a una Madonna del Sud d’Italia. Quando mancano pochi giorni all’uscita del nostro libro, mio e di Panero, “Senz’arma che dia carne all’imperium”, per la Società Editrice Fiorentina, ripropongo questo testo, come buon augurio per un’opera scritta per gioco, senza coscienza, senza pianto e con molte lacrime, senz’arma che dia carne all’imperium, come un autentico, dimenticante, atto d’amore.

 Ianus Pravo: la verità o la morte dell’ idea. Ovvero: Collodi e Pinocchio nella contrada dei morti.

                                                             Persin la morte è a rischio sul nome della patria
                                                                                                           Ianus Pravo

                                                                      L’essere umano è una creatura miserabile
                                                                                                           Leopoldo María Panero

Come disse Ponzio Pilato a Gesù Cristo, cos’è la verità? E allora, la verità è la morte di ogni idea.
La poesia deve essere questa morte dell’idea a cui ogni essere umano è affiliato. Secondo Derrida, la poesia deve correre il rischio di mancare di senso: senza questo rischio non è. La poesia è il rischio della morte della poesia, senza questo rischio è idea, è la propria morte.
Come diceva Marx, essere radicale significa portare le cose alla loro propria radice, e la radice dell’uomo è l’uomo stesso. Homo homini deus, diceva Feuerbach.
L’uomo di cui parliamo non è una categoria e non è né proletario né borghese, bensì un essere miserabile che la verità non deve difendere.
Allora, si parlava, qui in nostra morte, di rivoluzione, la rivoluzione sì è la morte dell’idea, voglio dire dell’ideale reazionario, cioè della fede. Eppure deve trovare un’idealità in quell’etica non fascista di cui parlava l’ebreo Wittgenstein, e l’unica verità a cui ci si può riferire è la verità della psicanalisi che non possiede alcuna idealità reazionaria o rivoluzionaria, ma che ha per oggetto, come diceva Lacan, non il pane ma la brioche di cui parlava la regina di Francia in tempi di fame.
Nemmeno è la verità della CIA ma una verità che deve distruggere l’uomo. Una verità estranea al capitalismo, al comunismo e al fascismo. Ma devo dire, ciò nonostante, che ha costituito il mio ideale segreto, perché ho sofferto troppo a causa di un popolo che non esiste e di un proletariato che non esiste, come non esiste la famosa borghesia.
E l’unica verità è il suicidio, oppure continuare a parlare: ma, parlando, e lo disse Wittgenstein, facciamo vibrare il margine di silenzio che, contornando l’espressione, ne addita la miseria radicale.
Il grido per cui il cervo è giudicato, come dice Ianus Pravo.
Ho paura dei camerieri. La paura è il balocco dei morti, e i morti, i balocchi dei bambini.
Sempre piovendo, Ianus (the big Ianus Pravo), sempre piove sulle rovine, e come
un cane bastonato sotto la grandine.

Nei tuoi alessandrini il silenzio della cesura è un volto sbucato dalla pioggia.
Ianus Pravo e Leopoldo María Panero: siamo rispettivamente Collodi e Pinocchio, e io, Pinocchio, sono il tuo assassino, Ianus, Collodi, come la parola è assassina della cosa.
Una A, una V e due O: solo questo dentro la mia testa. Avos, avi, in quella che Fulcanelli chiamava la lingua degli uccelli: non c’è più nulla nella mia testa: c’è il troppo della tradizione, del sangue e dello sterco.
Mangiamo gazpacho al “Reloj”: una colomba bianca attacca le briciole del pane sul tavolo come sulla pagina, cercando la freccia del pane, la freccia della parola che dà morte alla cosa.
Belial, principe delle mosche, che adori la coca cola come il solo vino concesso ai morti, ascolti lo scroscio dell’orina sul muro come lo sparo di Astaroth, come il battito d’orina dell’angelo che sorvola il sepolcro.
Yet say this to the Possum: a bang, not a whimper. Lo schianto della lagna d’Auschwitz: bisogna uccidere la pietà, diceva Hitler. Ci dimentichiamo di rendergli grazie, perché i suoi crimini ci possono aiutare, come diceva Erich Fried, a riconoscere in tempo il misfatto incomparabilmente più grave che oggi noi stiamo preparando. Die ungleich grössere Untat.
Per me lo specchio è Cristo: la trasparenza, l’allegrezza. Il Cristo d’Auschwitz, l’allegrezza d’Auschwitz.
E Auschwitz è Nostra Signora, Notre-Dame-des-Fleurs. Il fiore che balla sullo sterco. Un nome contro la cosa, contro la rosa crudele della contrada. La flors enversa di Raimbaut d’Aurenga.
Addio mascherine! Chi ruba il mantello al suo prossimo muore senza camicia.
Ianus Pravo e Leopoldo María Panero gironzolano per le strade di Las Palmas: Collodi e Pinocchio nella contrada dei morti. È dura fatica essere morti, come diceva Rilke.
Andiamo a comprare le sigarette. Cinque pacchetti di Red.
Sono un vecchio che piscia. Ma sono bella quasi come te, Ianus. Assassinati dalla CIA come J. F. Kennedy e come Andreas Baader.
E che il due, un numero, sia uno, dice Ianus Pravo, com’io dissi che essere due è tutto.

                                                                                           Leopoldo María Panero

(Un ringraziamento speciale a Blanca Fernández Marcote, che mi ha aiutato a raccogliere queste parole di L. M. P., tra il Parque de San Telmo, il Café Esdrújulo, e l’Ospedale San Francisco de Paula a Las Palmas di Gran Canaria, il 23 novembre 2006).

I. P.

(Foto: “Leopoldo María Panero e Ianus Pravo, Café Libreria El Esdrújulo, 2006”)