Epitaffi d’Autore (Pamela Proietti, Andrea Schneider).

A sessantacinque anni dalla morte di Edgar Lee Masters (Garnett, 23 agosto 1869 – Melrose, 5 marzo 1950), abbiamo voluto rendergli un piccolo omaggio con il nostro primo pezzo su NiedernGasse.
L’idea è stata quella di dare voce a quattro autori che, a differenza dei personaggi di Spoon River, sono realmente esistiti e sono sepolti nel Cimitero Acattolico di Roma.
Gli autori da noi scelti sono: John Keats, Gregory Corso, Amelia Rosselli, Antonio Gramsci.
I testi, tranne le parti in corsivo, sono frutto della nostra fantasia.
Buona lettura!

John Keats

I see, and sing, by my own eyes inspir’d.
So let me be thy choir, and make a moan
                 Upon the midnight hours;
Thy voice, thy lute, thy pipe, thy incense sweet
          From swinged censer teeming;
Thy shrine, thy grove, thy oracle, thy heat
           Of pale-mouth’d prophet dreaming.

L’ottavo giorno della Genesi vede il mio tempo come un fiume che nel profondo mi trascina. Sono quel che non sono: l’artefice posto a servire la realtà per renderla esteticamente eterna. Vi parlerò di me, di me in quel mondo in cui mai misi piede. Fui testimone che nulla dissi contro di voi e nel momento in cui scrissi il primo verso diedi testimonianza contro di voi. Non c’è modo di afferrarmi. E vi dirò di quel salto nell’essere, dell’invasione in un altro essere, in un’altra forma dell’essere: insediarsi nella cosa che sarà verso. L’estasi, un annullarsi per divenire altro, e poi intraprendere il viaggio di ritorno. Restituirmi e sapermi poeta. Una poesia è sempre un ritorno.

Mortale, affinché tu possa capire
bene, umanizzo i miei detti al tuo orecchio,
facendo paragoni con terrestri
cose, altrimenti tu faresti meglio
ad ascoltare il vento la cui lingua
è per te vano rumore, benché
carico di leggende esso soffi
tra gli alberi.

Non mi difesi mai dal mondo poiché la verità è un accordo con la sensibilità a discapito della ragione. È la verità poetica. Questa cosa che non mi dà diritto sulla poesia, non più dell’usignolo o di un’urna greca, o del cuore di una rosa. Questa cosa che mostra l’io come vessazione alla poesia, un vano professare. Io non ho identità, non sono utile che alla Letteratura. Sono ostinato come il pettirosso. Non canterò mai in gabbia. Fanny! Mia carissima fanciulla, vorrei che tu trovassi un modo per farmi felice senza di te. Vorrei che tu m’infondessi un po’ di fiducia nel genere umano. Io non so trovarne nessuna — il mondo è troppo brutale per me — sono contento che ci siano le tombe — sono sicuro che non avrò riposo se non lì. Per grazia di Dio salvami, o dimmi che la mia passione è troppo spaventosa per te.

Il domani, questo nome terrestre del nulla. 
Sento crescere i fiori su di me.

 

Gregory Corso

Giacevo già allora lontano da voi dove adesso queste lacrime non bagnano più il mio viso e trafiggono il velo delle mie ancestrali inclinazioni.
Jacqueline, mi uccise l’idea di essere l’esercente dei tuoi sogni, l’atto di valore delle tue aspettative che affiora nel ricordo della gente.
La scrittura è la molla più audace di un destino -a me alieno- di cambiali e ipoteche, di mogli e figli da mantenere, di onori e ricchezze accumulati affilando i denti ai margini delle ambizioni fallite.

La vita è una strategia inavvertita che ti sputa in faccia una pallottola di carta.

 

Amelia Rosselli

[…]
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.

Perdonatemi perdonatemi perdonatemi
vi amo, vi avrei amato, vi amo
ho per voi l’amore più sorpreso
più sorpreso che si possa immaginare.

Questa mia voce fatta di lingue nomadi m’inventa spericolata e imperfetta come la più lucente delle verità. La terra, sentite? Il suono musicale che ci compone. L’essenza parlata della nostra privata esistenza.
Il mio peccato fu di non sedermi alla tavola e banchettare con loro. Mancavo l’onore delle portate, disattendevo il potere della specie. Eppure, scarnificai l’agnello.

Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d’un albergo immaginario
v’erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.
*
Che m’aspetti il futuro! Che m’aspetti che m’aspetti il futuro
biblico nella sua grandezza, una sorte contorta non l’ho trovata
facendo il giro delle macellerie.

Sul ballatoio del vecchio palazzo dicono ci sia una donna fragile. La gente del rione la guarda, mantiene distanze ragionevoli. Mi prego una poesia dopo l’altra: il grido è autentico come la donna che rientra nella storica dimora, che si muove nell’angusta cucina, che si ferma davanti una sedia. La finestra è aperta a Via del Corallo. Ho ucciso il Minotauro.

Vi amo vi venero e vi riverisco
vi ricerco in tutte le pinete
vi ritrovo in ogni cantuccio
ed è vostra le vita che ho perso.

Perdendola vi ho compreso
 

Antonio Gramsci

A coloro che hanno l’orgoglio spaccato dal naufragio della sconfitta –quale ignobile avvilimento! io dico:
mai mi fu cara la vostra irridente malizia nel seguire la follia del cuore
quando divoraste il cielo e attizzaste le fiamme
speranzosi di reggere il mondo tra le linee del palmo della mano.
La vostra falsa e ciarlatana scienza fu una strada lastricata d’innocenza
solcata dal gelo dell’acciaio delle rotaie.

Ai volti scolpiti dalla gioventù, io dico:
non seppellite nelle macerie la volontà, i dolori e le sofferenze
il vostro tempo sarà la frusta del capriccio.

Dall’effigie che solca la mia lapide, io dico:
siano impresse nella vostra mente verità e bellezza
saranno una sola parola che è stimolo, destinazione e fine.
Libertà.

Fotografie Furtivisme scattate al Cimitero Acattolico di Roma da Pamela Proietti.