IL LIBRO DEL SANGUE (parte seconda)

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Testo e illustrazioni sono stati esposti
a Torino e alla Rivellino Art Gallery di Locarno
nel 2012 e nel 2014
per “The Red Book Art Project”
organizzato da Gajap e da Art Therapy Italiana.

 

Incontrai Knoleg dentro un sogno.
Aveva l’aria di un vecchio lupo di mare. Credo che l’immagine estetica di lui sia stata influenzata dalle letture di allora, poiché a tredici anni veleggiavo verso “L’Isola del Tesoro”. Nel corso del tempo, quando scoprii le poesie di Samuel Taylor Coleridge, i lineamenti del vecchio si precisarono con sguardi da Antico Marinaio. I suoi abiti si delinearono; le movenze si dettagliarono nella narrazione sospesa, nella ripetitività delle colpe dell’eterno viandante e, di romanzo in romanzo, andarono a incagliarsi nella violenza degli affanni di Achab.
L’inquietudine del “sarà sempre troppo tardi?” accomunava il mio spirito, il mio maschile interiore, ai capitani letterari, ma ciò che lo differenziava da loro era la mancanza di una nave (ne aveva mai posseduta una, questo capitano che albergava nella mente della giovane donna che sono stata?)

 

Questo personaggio onirico con o senza nave possedeva però una gamba mozzata, elemento che si delineava come indubbiamente paradossale poiché il possesso di un arto mancante è tale solo in quanto indice di mancanza. L’arto era andato perduto nel corso di una antica battaglia, in uno scontro tra opposte istanze, elementi ormai distanti nel tempo e nello spazio.

 

Due nerissime ali, le ali del corvo, spuntavano dalla sua schiena come un peso inutile perché Knoleg non aveva alcuna voglia di volare. Venni a sapere, approfondendo l’argomento durante le sue visite notturne, esplorando le mie stesse fantasie diurne di scrittrice in erba, che il vecchio era stanco; troppo per continuare a regnare in qualità di spirito dominante nell’inconscio della sottoscritta.
Era arrivato il momento di cambiare registro.

 

L’animo regnante desiderava abdicare.

 

Venni a conoscenza di alcuni fatti che mi impressionarono particolarmente. Alla mia nascita, lo spirito alato era un giovane e forte uomo-uccello. Innocente, l’angelo dalle ali azzurre fu facilmente atterrato e seviziato dai Quattro Demoni dell’Ombra. La staticità lucente della sua immagine devota al Bello e al Puro, e la trasparenza della vetrata che lo raffigurava sulle facciate di tutte le cattedrali, furono oscurate, spezzate, ridotte in frantumi.
 

Il “troppo puro” richiama inevitabilmente l’Ombra.

 

Quando i Demoni tagliarono di netto la sua gamba destra, il sangue sgorgò copioso dalla ferita e penetrò la terra. La nutrì. Scese come pioggia dentro le fessure. Cercò spazi, pertugi. Inondò i campi.

 

Ovunque fu rosso. I Quattro Demoni, allora, deposero le armi. Paura sorrise. Malattia se ne stette in silenzio. Inganno e Dubbio danzarono. Il mondo quel giorno ritrovò l’energia della creazione, ma Knoleg perse conoscenza.

K-NO-LEG non fu più “k-now-le(d)g(e)”.
La conoscenza dell’Ombra
dovette rinunciare alla de-finizione.

Da allora, il vecchio va cercando il lume della coscienza perduto nel buio dell’essere. La prima volta che lo incontrai, nulla sapevo della Nigredo alchemica, della via della notte, ma compresi che le ali di Knoleg avevano cambiato colore man mano che il moncherino si cicatrizzava, ed erano diventate completamente nere. Con il suo nuovo corredo da corvo, Knoleg aveva cominciato ad esplorare i testi illustrati degli antichi filosofi ermetici. Aveva osservato le rappresentazioni della Grande Opera nelle tavole dell’Aurora Consurgens, del Rosarium Philosophorum.  

 

Una notte sognai il nero viandante diretto verso Sud. Camminava su una gamba sola, aiutandosi con il bastone. Il corvo nero dal lungo mantello, le grandi ali nascoste sotto il tessuto lacero, una lanterna nella mano – proprio come l’eremita raffigurato nella nona carta degli arcani maggiori – Knoleg vagava di contrada in contrada, lasciando che tutti lo credessero un mendicante. Avrebbe potuto volare via, se soltanto avesse desiderato farlo. Non era il moncherino ad impedire i movimenti aerei dell’uomo-uccello. Avrebbe potuto tornare al “volatile”, ma egli accettava di zoppicare. Avrebbe potuto diventare nuovamente “fisso”, frammento di vetrata nella cattedrale, briciola di puro senso estetico. Egli, invece, arrancava a fatica raccontando al mondo la sua storia. Mi disse:

“Ogni adepto della Grande Opera dovrà accogliere con gioia il proprio limite.”

Tutte queste cose le scoprii interrogando Knoleg.

– continua con la terza e ultima parte –