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Il movimento di sparizione della critica – Lisa Orlando
Il movimento di sparizione della critica – Lisa Orlando
La relazione tra la parola “critica” e la parola “creatrice” è una relazione (a dir poco) bislacca. Innanzitutto: in cosa consiste la loro unione? L’atto critico, tra l‘altro, cos’è? Aggiungimento di qualcosa all’opera? Svelamento del senso che in essa sarebbe celato? Secondo (un’ironica?) affermazione di Virginia Woolf, un governo protettivo dovrebbe proibire, ai critici, di scrivere sui poeti poiché corrompono, pervertendo le loro opere.
Dunque, per quale ragione il critico sarebbe necessario? Perché l’opera non è in grado di raccontarsi da sola? Perché tra essa e il lettore dovrebbe introdursi quest’uomo più o meno qualificato nella lettura, che scrive esclusivamente su ciò che legge, e che, nel contempo, deve dare l’impressione (leggendo, scrivendo) di non fare niente; meglio: nient’altro che lasciar mormorare l’opera nella sua profondità?
A tal proposito, Heidegger dice (riporto in sintesi): ogni eventuale commento nei confronti della poesia deve considerarsi non necessario, e il punto destinale del commento stesso (quello più arduo) consiste nella sua capacità di dissolvimento dinanzi la pura testimonianza della poesia. Heidegger si avvale efficacemente di questa bella immagine: nel rumorio impetuoso del linguaggio non poetico le poesie sono come campane sospese nell’aria che, una leggera neve, posandosi sopra, potrebbe far vibrare. Il commento, pertanto, potrebbe essser getto lieve di neve atto a far oscillare la campana.
La parola critica espone tale peculiarità: più si realizza e si compie affermandosi più (a un certo punto) deve sottrarsi in un movimento di sparizione. La critica dovrebbe (vorrebbe?), in una nostalgica rarefazione, dissolversi dinanzi l’affermazione creatrice; essa di per sé non è nulla, eppure in questo nulla (qualitativo) l’opera – silenziosa –condotta alla luce, si mostra qual è: lucentezza e parola. Si potrebbe aggiungere quindi che la critica è quello spazio di risonanza in cui la realtà (silente e indistinta) dell’opera si trasforma convertendosi in parola.
Tuttavia, se la critica è questo spazio aperto in cui la poesia risuona, e se attraverso il suo dissolvimento la poesia si manifesta, ciò avviene perché questo spazio e questa sparizione (condizioni vitali?) già appartengono all’opera letteraria; in essa operano nel momento in cui si compie e affinché si compia.
La critica (o la sua urgenza di espressione) non è elemento aggiuntivo, bensì costituisce, in ogni momento, una sorta di magica distanza in cui si riflette l’opera ultimata; o, ancora meglio: l’estrema trasformazione di quella costruzione sempre aperta che è l’opera nella sua genesi.
La critica non è più la produzione di giudizi atti a porre in risalto l’opera valutandone i suoi aspetti contenutistici, estetici e storici, ma è (nel tempo) diventata, in una fertile saldatura, sempre più intimamente legata alla vita dell’opera (in affinità trasparente), al segreto della sua creazione: è dunque la sua ricerca; è l’esperienza delle sue possibilità. Il termine “ricerca” però non va considerato nell’accezione intellettualistica, bensì come azione che opera all’interno dello spazio creativo. Come i sacerdoti di Dioniso vagavano nella notte sacra, allo stesso modo la ricerca della critica dovrebbe, in movimento errante, inoltrarsi nel faticoso cammino che dischiude l’oscurità o il più ampio degli orizzonti.
Potremo giungere , al fine, a questa idea: la critica, ormai, aderendo sempre più all’esistenza dell’opera letteraria, inesorabilmente si sottrae (o dovrebbe sottrarsi) a ogni valutazione di essa, e, afferrandola (invece) come profondità sfugge (o dovrebbe sfuggire) a ogni sistema di valori. Ed è esattamente questo uno dei compiti più difficili che la letteratura, la critica – quale sua ardente collaboratrice –dovrebbero assolvere (per un soleggiato futuro?): ossia quello di svincolare il pensiero dalla nozione di valore e, dunque, dischiudere la storia a tutto ciò che in essa si allontana da ogni forma valoristica e si prepara, invece, a una specie differente, imprevedibile, illuminante di affermazione.
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