GIOVENALE, OGGETTISTICA

a cura di Lidia Popolano

Con l’uscita di Oggettistica nella collana Ultrachapbook di Tic edizioni (2023), Marco Giovenale chiude un ciclo di scritture testuali complesse, cominciato con La gente non sa cosa si perde (Tic 2021) e seguito da Statue linee (pièdimosca 2022). La sua scrittura è frutto di una ricerca pluriennale, nell’ambito transnazionale delle scritture contemporanee, che già da anni non accetta restrizioni nella definizione del genere letterario.

Il titolo dell’opera fa riferimento a un catalogo di testi e a una certa quale vocazione dell’autore a operare elenchi. Non si tratta però di testi classificatori poiché manca il riferimento o lo schema che li colleghi tra di loro. È piuttosto una collezione non ordinata di situazioni, di azioni, di accadimenti o di osservazioni attente, ma anche volontariamente e pervicacemente distratte, di paesaggi post-apocalittici fisici e mentali, di stati d’animo, di parole e di frasi, di voci, di grida.

Una giostra di testi a tratti quasi narrativi, di brevi inventari o di liste, di dialoghi o monologhi: un flusso discontinuo, una successione di sequenze in prosa non narrativa caratterizzate in senso ricoeuriano dalla ‘sospensione della referenza’ alla realtà.

Una sorta di paesaggio post-apocalittico e le tracce di una catastrofe in corso sono alcune tra le situazioni problematiche del libro e appaiono fin dal primo testo di Oggettistica, FACILITAZIONE, dove viene descritto il paradosso della necessità di sbarrare il passo ai suicidi, uccidendoli.

Come in un’apocalisse latente in cui la devastazione operi già da tempo nei corpi e nelle menti, nulla sembra più traducibile in un’esperienza condivisibile, ma Giovenale compone e interpreta in modo paradossale e ironico una sorta di reportage di frasi e frammenti o di osservazioni colti in svariate situazioni o riflessioni, cogliendole da prospettive visuali molteplici o sfaccettate. Due delle parole chiave che accompagnano la lettura di Oggettistica sono pertanto: situazione e paradosso.

Non è però l’azione a permettere il passaggio da una situazione all’altra. Le azioni si susseguono, quasi fossero immagini randomizzate, senza evidenziare uno stretto rapporto con gli effetti che vengono via via dispiegati. Le situazioni si presentano allora nel buio e nell’ambiguità, talvolta nel passaggio di due o tre paragrafi oppure sviluppate in testi successivi, in modo da emergere via via, mantenendo tutto il proprio mistero.

L’attimo di sospensione, il ritmo in levare dettato dall’andare a capo, e potenziato dall’ascolto della lettura dell’autore, non preludono al cambiamento più o meno atteso del rigo successivo, ma suggeriscono un senso provvisorio per poi immediatamente smentirlo nel paradosso. Le attese di valore così deluse spesso si concludono con un inserto decisamente comico che elude la rituale ‘chiusa’ della lassa. In questo estratto di ANDATA E RITORNO, per esempio, leggiamo:

Vedono un documentario sugli assiri

spiega come manufacevano i manufatti

Andavano svelti anche sui diritti umani

C’era una superficialità

Morivano come mosche

Con vari stratagemmi, l’autore scongiura così la tentazione del lettore di vedere nei suoi testi una rappresentazione di qualcosa, ma anche la velleità di cimentarsi in una sintesi induttiva, o di farne giustificazioni di una teoria deduttiva impropria: i testi perderebbero la forza del sintomo, della protesta in atto, la loro ‘potenza paradigmatica’.

Coinvolti nella manipolazione utilitaristica delle menti, i personaggi di Giovenale, grazie all’uso di una varietà di stili, plurali quanto lacunosi, sembrano comunque protesi verso una possibile verità. Immersi nella propria percezione, anche gli oggetti testuali ben funzionano come punti di vista, soffermandosi su materiali o luoghi con diverse funzioni, e mostrandosi al lettore come la mercanzia di un bazar.

In taluni tratti l’ironia dell’autore si manifesta attraverso una successione di immagini attribuibili a una entità, non necessariamente umana. Da ESSERE ITTIOSAURI NEL PRIMO QUARTO DEL XXI SECOLO

La polizia ha circondato l’edificio, e non fa

nemmeno in tempo a lanciare l’ultimatum «vieni

fuori con le mani in alto» che subito la stessa

polizia, tutti i poliziotti e i gendarmi sono con le

mani in alto fra le risa dell’ittiosauro, che a sirene

spiegate fugge con l’auto del commissario.

Altre volte la voce dell’autore sembra esprimere il parere di una terza entità. Si realizza in questi casi una sorta di discorso indiretto libero —anche se, per la durata di un frammento di testo— che spezza l’uniformità e l’assertività che si percepirebbe leggendo un monologo autoriale protratto lungo i testi o, peggio, lungo l’opera.

Riguardo all’evento linguistico —che in Giovenale è tratteggiato proprio dalla scelta dell’ordinario e del luogo comune, spesso del banale— la composizione di testi-immagine ha a che vedere con l’ipotesi deleuziana di una forma evenementale, ossia non strutturale o etica, della lettura della realtà, e implica dei vuoti, delle omissioni, delle latenze nel discorso, in generale implica l’errore. I vuoti tra i pochi, incerti e opinabili accadimenti non servono quindi per movimentare le situazioni o per muoverle in avanti, ma fanno parte integrante della ‘non-struttura’ dei testi.

Lungi dall’essere ‘basso’, il linguaggio usato da Giovenale fa riferimento a una concezione simondoniana del soggetto, nel suo essere mosaico di parti uniche e irripetibili e di una parte universale ‘pre-individuale’, ancora anonima, ma comune alla moltitudine che condivide la stessa lingua materna.

A una visione del linguaggio, “specchio del mondo”, se n’è sostituita una in cui il carattere denotativo del linguaggio è solo una delle tante sue funzioni, o uno degli innumerevoli giochi linguistici wittgensteiniani.

Gli oggetti interrogati da Giovenale non trascurano, anzi affrontano le numerose circostanze, sia quelle vicine che li toccano o li costituiscono, sia quelle universali della vita umana e non umana, o ambientale, ma l’autore non li osserva attorno a sé, non ne sembra accerchiato, piuttosto gira loro intorno, dislocandosi in posizione eccentrica.

Tra le questioni di contenuto, ma anche tra quelle, annose, sul tema, una per tutte: quella della mediocrità degli intellettuali dimostra che c’è un modo di richiamare contenuti senza descriverli. In questo frammento ironico estratto da CONTENUTI, la questione dei contenuti è incombente (per certa critica) al punto da costringere a inventarli:

Non è vero che è senza contenuti. È pieno di con-

tenuti. Hanno dovuto fare delle canalone per por-

tarlo. Ha tutte delle grondaie intorno per quando

i contenuti fuoriescono. Lo osservano da fuori,

anzi, e anzi hanno paura che scoppi, tanto è pieno

di contenuti. Addirittura incombono. Usano

questo verbo, incombere.

Se in un film, per ‘variazioni scalari’, si intendono le diverse possibilità relative a un medesimo aspetto, ovvero l’insieme delle risposte possibili alla stessa domanda, le variazioni scalari dei testi di Giovenale rivelano da un lato dei sani dubbi esistenziali, dall’altro la molteplicità delle configurazioni della realtà. Le interruzioni nel flusso dei discorsi e le riprese hanno inoltre a che fare, come in Stein, con la consapevolezza di quanto sia impossibile la ripetizione, il ritorno sul ‘medesimo’.

I necessari sforzi per contrastare l’affiorare dell’armonia si stemperano nell’ironia e anche il suono generato dagli a capo non è in sincrono con i sentimenti né con i contenuti. Le analogie sono con la musica dodecafonica dal momento che abbandona il sistema armonico tradizionale dell’ottava, per assumere un metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto tra di loro.

In questo percorso certamente complesso, Giovenale inserisce anche dei testi con una totale decomposizione dei discorsi, a scongiurare, attraverso la tecnica radicale della distrazione, la tendenza perniciosa di costruire intrecci narrativi, e sollecitando un sano atteggiamento non impacchettato secondo l’etica del conforme o del medesimo.

Non mancano dei riferimenti a una meta-analisi giocosa della stessa distrazione. In SUL DISTRARSI IN SALA, per esempio:

Invece la sua è una distrazione concertata (con-

centrata), è molto attento (certo in modo disat-

tento, distratto) alla coerenza totale della sua

distrazione, non lascia resti, particelle, residui,

non lascia decimali.

Si coglie in Giovenale un forte interesse per il tempo e per gli aspetti asincroni della realtà, per le latenze, le reciprocità, le pause nel tempo sonoro, o nelle situazioni, per le opacità che le caratterizzano. Sarebbe impossibile sottolineare tutti i fenomeni di tipo temporale disseminati nell’opera. Mi limito a evidenziare qualche riferimento esplicito. Nel testo IN AVANTI MA NON SOLO, ad esempio:

Si sfalsa, non pare in sincrono.

Sto voltato, una riga

È sufficiente per dirlo.

Do le spalle ai due rumori di acqua

paralleli. Improvvisamente

si sfalsa e non pare in sincrono.

oppure da COSÌ POCO ANZI ORA:

Sei morto, sei sottoterra, sei appena stato sep-

pellito, è morto da vent’anni e mi sembra ieri, mi

sembra come se ci fossimo salutati cinque minuti

  1. L’ho appena visto.

Un oggetto linguistico denso e pertinente che risponda alle proprie domande —così come un gioco linguistico che delucidi i meccanismi della comunicazione— può collassare prepotentemente e occupare tutto lo spazio, passando nella memoria, nel tempo cioè. Ciò avviene non solo attraverso il proprio sguardo, ma anche attraverso lo sguardo di altri su altri, corpi opachi appunto, che riflettono. Da IL CORPO DEL DISCORSO (Titolo da non usare):

Prima di sposare la percezione del tempo al

proprio riflesso, sposa quest’ultimo sempre a

sguardi terzi, di altri ad altri. I corpi opachi, i

corpi celesti.

Se lo ripete. I corpi opachi. Suona bene.

Corpi opachi sono quelli che non si lasciano attraversare dalla luce, quindi la riflettono in parte o tutta. Esiste però un elemento invisibile, intrinsecamente impenetrabile alle nostre osservazioni dirette, e a cui ci possiamo riferire come a una opacità intrinseca o sostanziale che non si può superare, pena un’interferenza distruttiva del fenomeno che si voleva osservare. Per questo nascono dei testi ‘flarf irriflessi’ come questo frammento estratto da AVANGUARDIA:

Le dice impercettibilmente «avanguardia, avan-

guardia, e la tocca con una punta di cannuccia,

le tenta il braccio, delicatamente: «avanguardia,

avanguardia». È calmo, è disinteressato.

Giovenale ci fa compiere un’esperienza di accumulo o disponibilità di significato sia delle parole che delle frasi, in modo che mentre sottrae senso, lasciando che si svaluti quello banalmente ovvio, si liberi la possibilità di aggiungere dei valori di senso critico inediti, benché opachi e caotici.

Nel dialogo con l’autore, condotto a distanza spaziale e temporale, è opportuno rinunciare alle proprie aspettative sul senso, che sia esplicito o sottinteso, per giungere a visitare o rivisitare un altrove che ha a che fare con l’emergere inavvertito di contraddizioni, o risonanze, che nascono dall’interazione libera con i testi-oggetti.

La scrittura per paradigmi in un certo senso è una scrittura in evoluzione dall’essere sradicati, poi eccentrici sull’orlo dell’esilio, in un passaggio che avviene in istanti unici, quasi prodigiosi, e che, diversamente da quanto accade nella tragedia, non hanno dèi contemporanei come testimoni né come giudici.Si può solo intuire ciò che si è perduto.