Interviste
NEI PAESI DI SUPER VICKY – parte 2
(INTERVISTA SU DUE LIBRI IN CONNESSIONE)
A PROPOSITO DI “NEI PAESI INFIMI”
A Luca Dipierro (autore): “Nei paesi infimi” è una raccolta di microscritture. Questa forma espressiva oggi sembra occupare un posto marginale nell’editoria (ricordo che in Italia esiste una sola collana editoriale esclusivamente dedicata alla scrittura breve e brevissima, la benemerita “glossa” che Carlo Sperduti cura per Pièdimosca), mentre invece per certi aspetti proprio il microracconto si potrebbe considerare come una delle forme di scrittura maggiormente al passo con i tempi, non solo perché ricalca la frammentarietà (e l’indecifrabilità) del mondo così come ci appare, ma anche perché, pur mettendole implicitamente in discussione, si collega alle modalità espressive fluide, tagliuzzate, iperveloci dell’universo digitale. Ma tu, personalmente, perché hai scelto di praticare la prosa breve e brevissima?
Considero la brevità un antidoto alla fretta. I testi brevi mi attraggono da un punto di vista formale: compressione ed ellissi. Uno dei miei scrittori preferiti è Jules Renard, che era un maestro nell’eliminare dalle frasi tutta la roba superflua. La forma costringe il lettore a rallentare, a lavorare nel vuoto intorno alle parole per dipanarle. Credo che la frammentarietà possa essere una resistenza estetica alle visioni d’insieme, alle grandi narrazioni, e alla finzione della Storia, che va avanti cancellando ed estromettendo. Il mio libro, fin dal titolo, parla non tanto di cose marginali (ciò che sta ai margini si può sempre spostare al centro e viceversa) ma di cose trascurabili, irrecuperabili alla dialettica, come lo psocottero di uno dei racconti, che vive nelle crepe dei muri.
A Luca Dipierro (autore): Nei tuoi deliziosi racconti trovo molto surrealismo e penso ai collage di Max Ernst. Come i collage di Ernst, hanno infatti una carica onirica, ma, come i collage, sono anche frutto di un lavoro di spezzettamento, di frammentazione anarchica. Cosa ne pensi?
La modalità del collage è importante nel mio lavoro. Mi piace l’idea di costruire un testo o un’immagine, cioè fare qualcosa con dei pezzetti, qualcosa che non esisteva prima, ma senza partire dal niente (il mito della creazione ex nihilo). Prima di tutto c’è l’abitudine di raccogliere delle cose, di collezionare l’inutile. Invece di un trovatore, sono un robivecchi (figura che pensavo appartenesse al passato e invece esiste ancora, anche qui negli Stati Uniti, tra le schiere di homeless che aumentano ogni giorno). Esco a fare della camminate e rientro con piccoli oggetti che ho raccattato per strada o nel bosco, gusci di vespe morte, chiodi arrugginiti, pezzetti di legno, lunarie, bulloni, radici, scontrini, guarnizioni, elastici, guanti spaiati, coperchi, cannucce, monete, piume. Un volta ho trovato un teschio di un corvo dentro un bicchiere di carta. Questi oggetti allineati sul mio tavolo suggeriscono delle dinamiche, delle parole, delle frasi che poi mi metto a ruminare.
A Luca Dipierro (autore): I microtesti del tuo libro, per quanto enigmatici e qualche volta spolverati di nonsense, sono molto visivi (oltre che visionari) e si svolgono in una sorta di sottofondo paesaggistico omogeneo, uno spaesante paesaggio metropolitano forse post-apocalittico, abitato da oggetti, sogni e azioni tipicamente metropolitani. Da dove ti arriva questo paesaggio?
Molti scenari vengono dalla città dove vivo, Portland, Oregon. Gli insediamenti urbani del Pacifico nord-occidentale, Vancouver, Seattle, Spokane, Boise, Portland, Eugene, hanno qualcosa di arrugginito (piove nove mesi all’anno da queste parti), di smontabile, in via di fabbricazione, a metà fra l’hangar, il luna park e il cantiere navale. È un paesaggio di insegne al neon che si riflettono nelle pozzanghere, camion carichi di legname che vanno su e giù per la highway I-5, parcheggi con l’erba che cresce nelle spaccature. Nel libro ci sono anche altri tipi di luoghi però, per esempio greti di fiumi, ponti, vulcani, campi, la ferrovia, la camera da letto, il foglio da disegno.
A Luca Dipierro (autore): “Da una bocca si srotola una linguaccia come un tappeto della scalinata di un hotel leggendario”; leggendo questo e altri simili prose brevi, trovo una somiglianza con i tuoi lavori visivi e i tuoi film animati fatti di struggenti figurine che l’Huffington Post ha giustamente definito “un mix perfetto di macabro e incantevole”. Anche in questo libro trovo molto incanto e qualche scena macabra, ma anche molta ironia ed è evidente il piacere di scrivere, un piacere che si trasmette con naturalezza dall’autore al lettore. A proposito di quest’ultimo punto, vorrei chiederti: cosa provi quando scrivi? Solo piacere?
Scrivere è un piacere soprattutto all’inizio, allo stato germinale della scrittura a mano. Ho sempre un taccuino con me, marca Kleid Notes, giapponese, che sta in una tasca. Poi mi guida la curiosità di vedere cosa succede, cosa salta fuori da una frase, da un elenco di parole. C’è un elemento ludico in tutto ciò che faccio. Tentare, cercare, fare delle prove, scrivere e disegnare delle cose senza senso per vedere dove portano. Resto sempre un po’ in attesa.
Nei paesi infimi di Luca Dipierro (edito da Prufrock spa)
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