Interviste
NEI PAESI DI SUPER VICKY – parte 1
(INTERVISTA SU DUE LIBRI IN CONNESSIONE)
Ho fra le mani due libri che se ne stanno avvolti in un groviglio di connessioni: Le ceneri di Super Vicky di Ophelia Borghesan (edito da Garganta Press) e Nei paesi infimi di Luca Dipierro (edito da Prufrock spa) usciti entrambi nel 2024.
Vediamo un po’. C’è una casa editrice appena nata che opera a Portland, Oregon. Italiana, però. O meglio: italiana che pubblica anche libri in inglese. O meglio: americana che pubblica anche libri in italiano. C’è un autore che pubblica il primo libro di questa nuova casa editrice, ma si firma con un altro nome. O meglio: gli autori del libro forse sono due, ma in copertina c’è un solo nome che non è quello anagrafico dei due autori (e un disegnino – forse allusivo – con una curiosa figurina bicefala).
C’è infine un editore, principale responsabile di questo putiferio, che è autore di deliziosi libri ma li pubblica con altri editori. Però l’editore suddetto, quello che pubblica i suoi libri con altri editori, è anche un artista sopraffino, autore di film animati dove piccole marionette mettono in scena divertenti e un po’ macabri teatrini patafisici.
Ce n’è abbastanza per confondere le idee, per spiazzare, ma proprio per questo la situazione si fa allettante per chi ama le contaminazioni, gli sbilanciamenti, i rovesciamenti di prospettive.
Non essendo cosa facile dipanare la matassa, non ci resta che una strada: convocare (o evocare) direttamente i protagonisti di queste connessioni e chiedere a loro conto e ragione.
Vediamo come rispondono.
A PROPOSITO DI “LE CENERI DI SUPER VICKY”
A Ophelia Borghesan: Chi è, o cosa è, Ophelia Borghesan?
Ophelia Borghesan sono due persone, Angela e Luca, che dal 2013 fanno scrittura e videoarte.
A Ophelia Borghesan: Dato che Ophelia è un’entità doppia, sarei curioso di sapere come hanno lavorato i due autori, cioè con quali modalità è stata prodotta questa raccolta poetica. Secondo l’idea convenzionale di poesia, il poeta è un geloso custode della sua originale soggettività, ma forse l’idea di poesia che sorregge Ophelia (del resto altrove definita “tamagotchi poetico”) è un tantino diversa. Insomma, come scrive Ophelia?
All’interno di Ophelia Borghesan, dal punto di vista operativo, ci occupiamo di cose diverse: Angela della parte visuale/video e Luca della scrittura. Detto questo, non esiste una demarcazione netta, nel senso che l’immaginario è condiviso, e di conseguenza i confini sono sfumati. Quindi, per rispondere alla domanda come scrive: si parte da un argomento, e lo si tematizza sviluppandolo attraverso una serie di poesie, una serie non necessariamente autoconclusiva. Il libro Le ceneri si Super Vicki è quindi composto da sezioni che corrispondono ciascuna a una di queste serie.
A Ophelia Borghesan: Leggendo i testi è facile pensare alla “descrizione di una descrizione”, una forma di realismo al quadrato, appunto un’ekphrasis. Sarà forse perché quello che percepiamo è apparenza, una sequenza di frame?
Siamo molto d’accordo. Il realismo per Ophelia Borghesan è fondamentale, ed è addirittura brutale in alcuni casi, ma è inquadrato all’interno di un’estetica per così dire massimalista. La metrica rigorosa, insieme un immaginario piuttosto definito e ricorrente, fanno sì che i nostri lavori a volte vengano percepiti come mossi da una volontà ludica, da un’organizzazione del reale, che però di fatto si organizza da sé.
A Ophelia Borghesan: Questo “canzoniere antilirico” è un susseguirsi di squarci, una panoramica frammentata sul contemporaneo con forti tinte trash e con sguardo selettivo anche dal punto di vista lessicale. Il vostro lavoro, pur se con un taglio non assertivo, sembra porsi – per usare un’espressione che rimanda al lontano Gruppo 63 – come “mimesi critica” e per questo lo si potrebbe considerare una “nuova forma di poesia civile”. È l’atteggiamento che, mi sembra, sia tipico di quella che oggi viene chiamata “scrittura di ricerca”. Ophelia si riconosce in questa schematica analisi?
Non sappiamo se la nostra sia scrittura di ricerca, sicuramente non è nostra intenzione. Invece è nostra intenzione cercare di fare un discorso politico su alcuni temi che ci sono cari, per esempio i diritti degli animali. A livello pratico quindi il fine è quello di arrivare a più persone possibile, cercando di evitare etichette che potrebbero rallentare questo processo. Detto questo, fare scrittura di ricerca non la consideriamo una offesa.
A Ophelia Borghesan: L’ingabbiamento di un tessuto testuale così post-poetico e iper-contemporaneo dentro uno schema di endecasillabi levigatissimi e metricamente molto elaborati salta subito agli occhi. Come saltano agli occhi i prelievi testuali tratti dalla tradizione letteraria italiana (… il tuo corpo fanciulletto / giaceva”, “altrui saluta” ecc.). Perché questa scelta?
Per noi la poesia deve essere anzitutto efficiente, perciò una forma metrica molto riconoscibile serve a rendere memorabile quello che accade nel qui e ora, senza moralismi di sorta su quello che si può/non si può/conviene/non conviene dire in poesia, e a farne un documento, un catalogo delle navi che continuamente si rinnova.
A Ophelia Borghesan: il titolo del libro, a mio pare molto azzeccato proprio perché suscita curiosità e stimola le più diverse associazioni mentali, mette in rapporto la parola “ceneri”, termine un po’ macabro (ma per certi versi anche pasoliniano, se pensiamo alle “Ceneri di Gramsci”) con Super Vicky, personaggio di una serie televisiva pop degli anni Ottanta. Come siete arrivati a scegliere questo titolo?
Nel telefilm Super Vicki è un robot con sembianze di bambina, qualcosa tra il minotauro e Pinocchio, e la sua identità di robot viene nascosta dalla famiglia in cui vive. A noi interessa molto, e non solo in questo libro, lavorare sull’idea di vergogna, individuale e sociale, su come questa condizione determini la maggior parte delle cose che facciamo e non facciamo tutti i giorni.
A Ophelia Borghesan: Perché l’avete chiamata proprio con un nome così? Non c’entrerà forse il contrasto fra l’aristocratica eleganza del nome Ophelia e la “prosaicità” di un cognome molto comune nel Nordest italiano?
Ci serviva un nome che suonasse credibile, nella sua pretenziosità, e tra tutte le scelte possibili questa ci è sembrata convincente.
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