JOHN KEATS – Lisa Orlando

[Il dolore fu l’ombra che si univa alla bellezza], a cura di Lisa Orlando

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È una sera d’estate, la luna è su, in alto, come una lanterna nel cielo, l’usignolo canta, i salici s’inchinano lievi sul fiume. Sì, ma allo stesso tempo, c’è un vecchio, malato; controlla i suoi stracci sporchi su una vecchia panchina.
Lui e l’estate penetrano nella nostra mente, si uniscono, ma senza confondersi. Le due emozioni, così inadeguatamente unite, si beccano e sferran calci a vicenda.
Eppure, l’emozione che avvertì Keats, quando ascoltò il canto dell’usignolo, era forte, era piena, compatta, pur se passava dall’entusiasmo raggiante per la bellezza, al dolore dinanzi l’infelicità umana. Egli non creò mai alcun contrasto tra le due visioni (qualità che Keats possedeva più d’ogni altro, ottenendo quella bivalenza ove negativo e positivo si rispecchiano). Nella sua poesia, dunque, il dolore fu l’ombra che si univa alla bellezza.

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Il cuore si strugge e un’ottusità plumbea
Affligge i miei sensi, quasi, pieno di cicuta,
O d’un sonnifero pesante trangugiato
Pochi istanti fa, fossi affondato nel Lete:
E non certo per invidia della tua razza felice,
Ma troppo felice nella tua felicità –
Tu, arborea driade dalle lievi ali,
Che in una macchia melodiosa
Di faggi verdi e sparsa d’ombre innumeri
Canti l’estate con la felicità della gola spiegata.
Avere un sorso di vino! E ghiacciato
[…]
Sì, poter bere, e inosservato lasciare il mondo
Per svanire, infine, con te, nelle foreste oscure:
Sparire, lontano, dissolvermi, e dimenticare poi
Ciò che tu, tra le foglie, non hai mai conosciuto:
La stanchezza, la malattia, l’ansia
Degli uomini, qui, che si sentono soffrire,
Qui, dove il tremito scuote gli ultimi, scarsi capelli grigi,
Dove la gioventù impallidisce, si consuma e simile a un fantasma muore,
Dove il pensare stesso è riempirsi di dolore,
[…]

Andarsene, andarsene. E arrivare da te
E lì, con te, subito la notte è tenera
Con la sua luna regina sul trono
E le fate stellate tutt’intorno

[…]

Nella sensibilità di noi moderni, invece, mi sembra che la bellezza non si unisca mai alla sua ombra, ma al suo contrario. Insieme al nostro comune senso estetico, c’è come uno spirito (beffeggiante) che denigra la bellezza per il sol fatto d’essere bella; e subito ribalta lo specchio per farci vedere che l’altra guancia è informe, brutta e piena di pustole.
Ecco, è come se noi avessimo smarrito quella capacità, tutta naturale (che ben si esprimeva nelle società arcaiche), di comprendere [lat. cum – pre(he)ndĕre; contenere in sé, abbracciare] t u t t a la realtà, al di là di ogni specularità bivalente, e di ogni codice che malsanamente la governa, disgiungendo bello/brutto, male/bene, vita/morte.  

John Keats – Poesie
[A cura di Silvano Sabbadini, ed. Oscar Classici Mondadori, 2006] 

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