La pace impossibile (Rosa Riggio)

Francesco Pecoraro
“La vita in tempo di pace”
Ponte alle grazie, 2013

Mentre attende in un aeroporto egiziano il volo che lo riporterà nella “città di Dio”, l’ingegnere Ivo Brandani, sessantanove anni, ha tutto il tempo di ripensare alla propria vita. In quello spazio di “de-compressione mistica concesso a chi non crede a niente”, circondato dalla sacralità che ha sempre attribuito agli aerei, il personaggio di questo non-romanzo non sa che sta osservando, attività da lui preferita su tutte, la propria esistenza per le ultime ore. Circa undici, per l’esattezza. Dalle 9.07 alle 7.47 del 29 maggio 2015. Per raccontare la storia di Ivo Brandani, Francesco Pecoraro procede al contrario. La fine, come nella vita, è già scritta all’inizio della storia, chiusa in un cerchio apparente, insensato, un Roveto Ardente in cui, se esistesse, pensa Ivo Brandani, si nasconderebbe Dio.
Le ore che legano insieme i ricordi di Ivo passano lente, implacabili e servono a costruire un discorso che è insieme negazione del romanzo e sua realizzazione. L’Uomo Politico, l’Uomo dell’Occidente, incapace di essere davvero presente, di comprendere il proprio tempo e di realizzare la propria missione, ha abdicato alla speculazione filosofica e si è lasciato sedurre da un equivoco, quello di sostituire lo scopo, la concretezza, al pensiero, alla pura speculazione filosofica. Essere porta, non ponte, quello che Brandani avrebbe voluto costruire, l’essenza stessa della visione, il Rail Bridge, ponte realizzato alla fine dell”800, sintesi di Natura e Storia, poiesis.
Ma Ivo Brandani è un uomo sconfitto, l’Uomo della Catastrofe, dell’impossibilità di sottrarsi alla contaminazione, anche quella della conquista. Come nella caduta di Costantinopoli, ossessione dell’ingegnere Brandani, evento ineluttabile di cui avrebbe voluto rintracciare, a ritroso, la “soglia”, il momento esatto del non-ritorno. E dunque destrutturare, raccontare per unità, questa è la struttura del racconto, l’unica possibile. Andare a ritroso. Questo fa Francesco Pecoraro, che mentre espande la narrazione la riduce a singole unità narrative, racconti leggibili anche separatamene. Uno fra tutti, iniziatico e demoniaco, “Sofrano”.
La vita è sempre mortale e di questo germe mortifero non potremo mai rintracciare l’origine. Resta la pietas per il personaggio-uomo e il tentativo di allontanare la sua dissoluzione.
Forse la definizione migliore di questo poderoso romanzo di mare e di morte l’ha data Tommaso Pincio: “una specie di memoriale aspro e marmoreo come un tempio dorico”.

Rosa Riggio

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