LA SICILIA COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE

LA SICILIA COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE
Un inutile confronto fra due recenti libri siciliani1

 

“Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne […]” (G.Bufalino, Cento Sicilie)2

La Sicilia è stata scritta e rappresentata, nelle arti figurative3 nonché al cinema e alle serie tv, in mille modi4 , tutti spesso convergenti in un unico inequivocabile risultato, frutto del lavoro di una mannaia che poco spazio lascia alle sfumature, che collima col pregiudizio cartonato.
Quindi il sole, il mare, la terrazza sul mare, i muri a secco, la pietra bianca5 , l’arancina e il cannolo, la mafia.
È dunque piuttosto inevitabile per chi ne scrive o anche solo per chi scrive essendo nato in quella terra fare i conti con la rappresentazione e spesso con il pregiudizio indissolubilmente legato alla Sicilia.
E i conti li fanno anche due recenti uscite, fra di loro diversissime, di due scrittori nati e cresciuti6 sulla costa orientale dell’isola: Mario Fillioley, siracusano, autore di: “La Sicilia è un’isola per modo di dire” edito da Minimum Fax, e Nadia Terranova, messinese, autrice di “Addio fantasmi” pubblicata da Einaudi.
Due libri diversissimi, accennavo, il cui unico punto in comune a parte – parzialmente – la geografia è l’essere la seconda prova del rispettivo autore : uno è un romanzo (quello della Terranova) anche piuttosto classico nella sua impostazione, con pochi strappi al cerimoniale – anche se personalmente ho trovato la scrittura dell’autrice messinese, sempre piuttosto sorvegliata e impersonale, leggermente diversa rispetto al suo primo romanzo – una scrittura dalla superficie raramente increspata, quasi calviniana, che dopo un iniziale slancio ritrova il suo naturale sbocco in un sussulto finale; l’altro è un oggetto non facilmente identificabile: il lavoro di Fillioley è infatti un ibrido, non è sicuramente un romanzo né un libro di racconti, né un saggio, e probabilmente è tutte e tre le cose, il tentativo di dare un corpo ad alcuni interventi dell’autore già apparsi su rivista o on line.
Nel romanzo della Terranova c’è una protagonista – un’autrice radiofonica messinese che vive a Roma una relazione matrimoniale al limite dell’anaffettività – richiamata alla base dalla madre, la quale abita ancora, da sola, nella casa di famiglia a Messina.
Il motore, il cui rumore si sente in sottofondo come il ronzio notturno di un frigorifero, è la scomparsa del padre della protagonista in un giorno come tanti di molti anni prima. Una mattina è uscito da casa e da allora di lui si è persa qualsiasi traccia.
La Sicilia della Terranova è sfondo, fondale di acquario, con una certa sottesa e sommessa volontà di farsi bassorilievo (“Fuori dall’isola si poteva tutto”) è una terra da cui scappare, tornare con la forza, rimpiangere a distanza (“Quando ero andata via dalla Sicilia, per primo mi era cambiato il naso, si era chiuso sempre più, con ostilità e disprezzo […]; poi era cambiata la pelle, per via dell’acqua calcarea […] da ultima mi era cambiata la schiena”).
In Fillioley la Sicilia è una quinta scenica che viene sfondata da un saltimbanco o da un giullare con i sonagli, una vetrina di Via Etnea incrinata da un pallino vagante (“Una parte consistente del problema è questo inganno: sulla Sicilia sappiamo pochissime cose vere, concrete, misurabili […] però sulla Sicilia sappiamo anche un sacco di cose finte, che inficiano quelle vere, anzi le annullano, le spazzano via”)

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Figura 1: Ferdinando Scianna, Women preparing the “estratto”, tomato sauce for winter, Bagheria, Sicily, Italy,1976

In “La Sicilia è un’isola per modo di dire”, lo scrittore aretuseo racconta l’isola dal suo microcosmo familiare siracusano, ma anche a distanza, dall’Umbria in cui l’autore ha insegnato alcuni anni, e lo fa con invidiabile leggerezza, con autoironia e apparente distacco, consapevole che forse per raccontare questa terra martoriata prima di tutto dai pregiudizi e da un comodo simbolismo (che emerge fin dalla copertina), è necessario utilizzare gli strumenti che servono per smontarla pezzo a pezzo, consci che non si risolverà comunque il problema e allora meglio riderne.
L’abusivismo trattato da Fillioley, l’impatto ambientale del petrolchimico su un territorio di smisurata bellezza naturalistica e storica, non è figlio della denuncia sociale e politica di Sciascia o tantomeno di Saviano, è involontaria analisi sociologica, antropologia che non si prende mai sul serio.
L’ironia sottotraccia esplode in comicità nel racconto della scuola ancora vergine di competenze e abilità frequentata da studente a Siracusa (“Noi avevamo la Sciabbarrà”) o nel farsi beffa della iperstratificata eredità storica della Sicilia scrivendo della propria pseudo origine normanna.
Se la Terranova dissemina riferimenti più o meno sotterranei ad autori siciliani (“Chi non sa niente della Sicilia pensa che la luce porti buonumore e va diffondendo l’equivoco dell’allegria, ma i siciliani la luce la scansano e la subiscono come l’insonnia e la malattia” che echeggia il Bufalino di “La luce e il lutto”) e non (come non pensare al Leopardi dello Zibaldone8 quando l’autrice messinese scrive: “La memoria è un atto creativo: sceglie, costruisce, decide, esclude”), Fillioley invece li dissacra, consapevole evidentemente dell’irraggiungibilità per ogni scrittore siciliano contemporaneo di raggiungere la visione di Sciascia, Bufalino, Brancati, Tomasi di Lampedusa di raccontare l’isola ormai ammorbata dalla patologia del bisogno di essere raccontata (“Certe cose le ho scoperte solo da grande. Pare strano, perché uno pensa che, se cresci in Sicilia, la mafia, le stragi, i punciuti siano parte del paesaggio, invece non è tanto vero.”, scrive Fillioley)

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Figura 2: Letizia Battaglia, Monte Pellegrino dalla terrazza del Nuovo Teatro Montevergini, 2011, Palermo

Eppure si torna sempre lì, nella raffigurazione che qualcuno definirebbe mistica9 del paesaggio siciliano: il mare. Da entrambi gli autori citato e scritto (“L’unica era camminare lungo il mare”, così la Terranova), le cui onde vengono fuori dalle righe come una fuga dalla realtà, una salvezza appena dietro la curva della quotidianità (“il mare è tradimentoso, diceva sempre mio padre, e da lontano, con “lo sguardo da lungi”, come lo chiamava lui, non ti appare mai per com’è veramente, specialmente se lo guardi un po’ dall’alto”, così Fillioley).

– Giuseppe Rizza –

Note

  1Forse confronto è una parola impropria, dato che il galateo sostiene che sia meglio non mettere in confronto due libri di due autori diversi (o anche dello stesso autore), da qui l’aggettivo inutile. Sarebbe quindi meglio parlare di dialogo.
  2La suddetta citazione sarà il tentativo di prima e unica citazione di un autore siciliano che scrive sulla Sicilia a comparire nel seguente articolo. Una scelta obbligata: citare gli autori, siciliani e non, che hanno scritto di Sicilia e sulla Sicilia sarebbe stata di fatto una scelta stilistica. È altamente probabile che il tentativo fallirà miseramente.
3“Anche se dipingo una mela, c’è la Sicilia” (R.Guttuso).
  4Come non ricordare appunto, la famosa antologia curata da Bufalino e Zago, dal titolo “Cento Sicilie”.
  5Che spesso, fra l’altro, riflette i raggi del sole suddetto.
  6E altrettanto ovviamente emigrati.
  7“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, cantava il poeta.
  8“La proprietà della memoria non è propriamente di richiamare, il che è impossibile, trattandosi di cose poste fuori di lei e della sua forza, ma di contraffare, rappresentare, imitare”, G.Leopardi, Zibaldone, 24 luglio 1821, 1383-84
9 Un altro artista siciliano, cantautore.