LMP: la morte possibile. Vita in opera di Leopoldo María Panero. Parte quarta. L’amato.

L’AMATO

                                                                              “Avec tes lèvres mais sans le dire”
                                                                                                                Stéphane Mallarmé

“Prima di passare al seguente capitolo, in cui la mia vita in una qualche strana forma inizia, narrerò un sogno che ebbi in mezzo alla strada.
Uscendo da un bar, da qualche rifugio, in cerca del mio lontano covo, vidi una catena d’imbecilli che si passavano la morte di mano in mano.
Era, sì, una danza, ma interrotta dai baci. E la morte non era quell’immagine crudele che altri conobbero, ma una bella ragazza, quasi un bambino, o un uomo i cui occhi morivano di dolcezza, della dolcezza più terribile e spaventosa che mai dimorò tra gli uomini. E tutti la amavano, la bella ragazza, e la chiamavano con nomi d’affetto e d’amore, nessuno la temeva, era come il pane che condividono i barbari.
Tutto nella strada ballava, tutti gli uomini danzavano, senza sapere ciò che facevano, cantando come i dementi, la morte, che passava di mano in mano, con terribile dolcezza, e per nulla, per nulla.
E ciò avveniva in molti modi, attraverso molti cammini analoghi. Un venditore di biglietti d’autobus non sapeva di averla tra le mani, una fiorista ignorava che spuntava dalle sue labbra e fiottava come sangue mestruale dal suo sesso senza alcova, un fratello l’offriva all’altro, una fiammiferaia tenera come il vento la offriva con il tremore della sua fanciullezza così pura, e gli uomini cadevano e a nessuno gli importava, perché erano come spighe di un vento che nessuno capiva, di aroma di fiore inverso, di una mano morsa e di una testa che non cessava di sanguinare mentre si moltiplicavano le urla, o una vecchia danzando tra i cani gridava ‘Sono la morte’, e nessuno le credeva.
Si fa notte in Rue du Caín, tutto è buio come il mare, e qualcuno passa facendo risuonare i suoi passi nel teatro vuoto della via, e qualcuno che non esiste, che non è quello, e quell’altro nemmeno, guarda una donna che sta sanguinando e con la testa insanguinata, caduta dal sesto piano, dalla finestra di Jean Michel Morel. La maggioranza delle donne si suicida gettandosi dalla finestra, mi disse freddamente Genevieve Morel, non so se quell’anno o due più tardi o tre, o cinque che si fanno aria, o la notte intera e il vento fischiando nella testa che ancora vive di Janine Ariadna Burnett, Burnett, sembra un nome americano, che strano, non mi dissero se poteva parlare o lamentarsi, o se voleva, lì per terra e nessuno la vedeva, quando morirà, mi chiedevo, quando se ne andrà e ci lascerà soli… E nello stesso tempo, vedevo il corpo, o ciò che sembrava un corpo, quella cosa io la vedevo e non era lì, la vedevo e in quel grido, perché suppongo che cadendo lanciò un grido per spaventare qualcuno, quell’ululato chiamava tutte le fruste, tutte le nerbate sul corpo di Mercedes, inginocchiata, legata al piede del letto, leccando il piatto sudicio a quattro zampe, mentre la picchiava sul torso, adesso vedrai come ti faccio nera, ti sfondo, e a lei piaceva così tanto, oh! Dammi la tua saliva, voglio ancora saliva, mentre la colpivo sulle gambe e in faccia con la mano, puttana, che non era altro, troia, a volte vestita, altre volte nuda, mi mancò solo di farlo ballando, cinquanta frustate questa volta, trenta perché sei stata brava, passammo per tutti i cessi di Parigi, dai, metti dentro la testa e lecca bene la merda che poi vai a baciare tuo padre, ah! Come le piaceva, e che io la vedessi, e che poi se la chiavasse il primo che passava, e che le lasciassi la fica ben aperta, come debe essere, ben aperta, che si possa ficcare la mano, le due mani e recitare lì una preghiera, amore.
(“Palabras de un asesino”, Madrid, 1999, trad. di Ianus Pravo)

DIARIO DE UN SEDUCTOR

No es tu sexo lo que en tu sexo busco
sino ensuciar tu alma:
                                         desflorar
con todo el barro de la vida
lo que aún no ha vivido.

                                          ***

DIARIO DI UN SEDUTTORE

Non è il tuo sesso che nel tuo sesso cerco
ma di sporcare la tua anima:
                                                   deflorare
con tutto il fango della vita
ciò che ancora non ha vita.

                                       ***

BELLO ES EL INCESTO

Bello es el incesto.
Hay torneo de lanzas, y juegos
y el vino promete su derrame
para alegrar la unión
de los esposos.
Se decapitará a dos niños para saber si es buena
la sangre, y si así augura
una feliz unión para los siglos.
Cándido, hermoso es el incesto.
Madre e hijo se ofrecen sus dos ramos
de lirios blancos y de orquídeas, y en la boca
llevan ya el beso para desposarlo.
Y en la noche
de bodas, invitado
viene también el cielo: lluvia

                                                  y truenos
y los rayos, y el mundo entero convertido en lodo
para celebrar la unión
de los esposos.
***

BELLO È L’INCESTO

Bello è l’incesto.
C’è un torneo di lance, e giochi
e il vino promette il suo spargimento
per rallegrare l’unione
degli sposi.
Si taglierà la testa a due bambini per sapere se è buono
Il sangue, e se così augura
una felice unione per sempre.
Candido, splendido è l’incesto.
Madre e figlio s’offrono l’un l’altro i due mazzi
di gigli bianchi e d’orchidee, en ella bocca
portano già il bacio per liberarlo.
E nella notte
di nozze, invitato
viene pure il cielo: pioggia
e tuoni
e i lampi, e il mondo intero trasformato in fango
per celebrare l’unione
degli sposi.

***
Necrofilia
(prosa)

El acto del amor es lo más parecido
a un asesinato.
En la cama, en su terror gozoso, se trata de borrar
el alma del que está,
hombre o mujer,
debajo.
Por eso no miramos.
Eyacular es ensuciar el cuerpo
y penetrar es humillar con la
verga la
erección de otro yo.
Borrar o ser borrados, tanto da, pero
en un instante, irse
dejarlo
una vez más
entre sus labios.
***
NECROFILIA (PROSA)

L’atto d’amore è ciò che più somiglia
a un assassinio.
Nel letto, nel suo terrore gioioso, si cerca di cancellare
l’anima di chi,
uomo o donna,
sta sotto.
Per questo non guardiamo.
Eiaculare è sporcare il corpo
e penetrare è umiliare con
la verga l’
erezione di un altro io.
Cancellare o essere cancellati, è lo stesso, ma
in un istante, andarsene,
lasciarlo
ancora una volta
tra le tue labbra.

***

ESCRITO SOBRE UN VERSO DE CAVAFIS

No me engaña el espejo:
esa mujer soy yo,
la que el espejo prolonga
y que vierte la copa sopra sí misma
y canta, frente al espejo,
un himno
a una mujer desconocida
y baila, baila desnuda
ante la copa del espejo,
ante la sangre que derramano los ojos
y que es su vestido, su ropa
que no existe, y se deshace
come las hojas en el otoño
del espejo.

***

SCRITTO SU UN VERSO DI KAVAFIS

Non m’inganna lo specchio:
questa donna sono io,
quella che lo specchio prolunga
e che rovescia il calice su se stessa
e canta, dinanzi allo specchio,
un inno
a una donna sconosciuta
e balla, balla nuda
dinanzi al calice dello specchio,
dinanzi al sangue che spargono gli occhi
e che è il suo vestito, i suoi indumenti
che non esistono, e si disfanno
come le foglie nell’autunno
dello specchio.

***

LOS AMANTES CIEGOS

Los amantes ciegos
Estaban ciegos los amantes,
están solos
mais tombait la neige
daba pena verlos cuando a solas hablaban
de estar juntos, y lloraban,
y adoraban la nada en el altar del amor.
Quand tu seras bien vieille
descubrirás que el tiempo
es única certeza, quema los rostros
y hace cenizas el alma
y que al final tan sólo la ilusión del recuerdo
te dirá que no estuviste, en aquel beso, solo.

***

GLI AMANTI CIECHI

Erano ciechi gli amanti,
sono soli
mais tombait la neige
dava pena vederli quando parlavano da soli
di stare insieme, e piangevano,
e adoravano il nulla sull’altare dell’amore.
Quand tu seras bien vielle

scoprirai che il tempo
è l’unica certeza, brucia i volti
e incenerisce l’anima
e che alla fine soltanto l’illusione del ricordo
ti dirà che non fosti, in quel bacio, solo.

***

Todas las mujeres que conocí
están desnudas, bajo la lluvia desnudas
poco a poco hundiéndose en el lodo
de la memoria, y cayendo
como pelotas a lo largo
del barranco que mis manos no tocan;
y tienen frío, y lloran, y aúllan en vano
y se tiran de los pelos para sentirse en vano
en el país de los muertos.
Y se quieren con las manos
tapar la desnudez, la inmensa
y sin remedio desnudez.

***

Tutte le donne che ho conosciuto
sono nude, sotto la pioggia nude
poco a poco afondando nel fango
della memoria, e cadendo
come palle lungo
il burrone che le mie mani non toccano;
e hanno freddo, e piangono, e urlano invano
e si strappano i Capelli per sentirsi invano
nel paese dei morti.
E vogliono con le mani
coprirsi la nudità, l’immensa
e irrimediabile nudità.

(“El que no ve”, Madrid, 1980, trad. di Ianus Pravo) 

***

TROVADOR FUI, NO SÉ QUIÉN SOY

Sólo en la noche encuentro a mi amada
de noche, cuando más sólo
en el llano en que no hay nadie
sino una dama que aúlla
con la cabeza en la mano
sólo en la noche encuentro a mi amada
con la cabeza en la mano.

Le ofrezco como el incienso
que otros reyes la donaran
mis recuerdos en la mano
ella me tiende su cabeza
y luego, con la otra mano
lenta a la noche señala.

Solo en la noche, en la hora nona
salgo a buscar a mi amada
y en el llano como ciervos
corren veloces mis recuerdos.

Tuve la voz, trovador fui
hoy ya cantar no sé
trovador, no sé hoy quién soy
y en la noche oigo a un fantasma
a los muertos recitar mis versos.

***

TROVATORE FUI, NON SO CHI SONO

Soltanto nella notte incontro la mia amata
di notte, quando più solo
nel piano in cui non c’è nessuno
se non una dama che urla
con la testa in mano
soltanto nella notte incontro la mia amata
con la testa in mano.

Le offro come l’incenso
che altri re le donarono
i miei ricordi nella mano
lei mi tende la sua testa
e poi, con l’altra mano
lenta indica la notte.

Solo nella notte, nell’ora nona
esco a cercare la mia amata
en el piano come cervi
corrono veloci i miei ricordi.

Ebbi la voce, trovatore fui
oggi cantare non so
trovatore, non so oggi chi sono
en ella notto odo un fantasma
recitare ai morti i miei versi.

***

PROYECTO DE UN BESO
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra
te mataré mañana poco antes del alba
cuando estés en el lecho, perdida entre los sueños
y será como cópula o semen en los labios
como beso o abrazo, o como acción de gracias
te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra
y en el pico me traiga la orden de tu muerte
que será como beso o como acción de gracias
o como una oración porque el día no salga
te mataré mañana cuando la luna salga
y ladre el tercer perro en la hora novena
en el décimo árbol sin hojas ya ni savia
que nadie sabe ya por qué está en pie en la tierra
te mataré mañana cuando caiga la hoja
decimotercera al suelo de miseria
y serás tú una hoja o algún tordo pálido
que vuelve en el secreto remoto de la tarde
te mataré mañana, y pedirás perdón
por esa carne obscena, por ese sexo oscuro
que va a tener por falo el brillo de este hierro
que va a tener por beso el sepulcro, el olvido
te mataré mañana cuando la luna salga
y verás cómo eres de bella cuando muerta
toda llena de flores, y los brazos cruzados
y los labios cerrados como cuando rezabas
o cuando me implorabas otra vez la palabra
te mataré mañana cuando la luna salga
y así desde aquel cielo que dicen las leyendas
pedirás ya mañana por mí y mi salvación
te mataré mañana cuando la luna salga
cuando veas a un ángel armado de una daga
desnudo y en silencio frente a tu cama pálida
te mataré mañana y verás que eyaculas
cuando pase aquel frío por entre tus dos piernas
te mataré mañana cuando la luna salga
te mataré mañana y amaré tu fantasma
y correré a tu tumba las noches que ardan
de nuevo en ese falo tembloroso que tengo
los ensueños del sexo, los misterios del semen
y será así tu lápida para mí el primer lecho
para soñar con dioses, y árboles, y madres
para jugar también con los dados de noche
te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra.

***

PROGETTO DI UN BACIO
Ti ucciderò domani quando uscirà la luna
e il primo svasso mi dirà la sua parola
ti ucciderò domani poco prima dell’alba
quando sarai a letto, persa tra i sogni
e sarà come copula o seme nelle labbra
come bacio o abbraccio, o come ringraziamento
ti ucciderò domani quando uscirà la luna
e il primo svasso mi dirà la sua parola
e mi porterà nel becco l’ordine della tua morte
che sarà come bacio o come ringraziamento
o come un’orazione perché il giorno non esca
ti ucciderò domani quando uscirà la luna
e abbai il terzo cane all’ora nona
nel decimo albero senza foglie nemmeno più linfa
che nessuno sa più perché sta in piedi sulla terra
ti ucciderò domani quando dalla miseria
cadrà al suolo la tredicesima foglia
e sarai tu una foglia o un tordo pallido
che torna nel segreto remoto della sera
ti ucciderò domani e chiederai perdono
per questa carne oscena, per questo sesso scuro
che va ad avere per fallo il brillio di questo ferro
che va ad avere per bacio il sepolcro, l’oblio
ti ucciderò domani quando la luna uscirà
e vedrai quanto sei bella da morta
tutta piena di fiori e le braccia conserte
e le labbra serrate come quando pregavi
o quando mi imploravi nuovamente la parola
ti ucciderò domani quando la luna uscirà,
e così da quel cielo che dicono le leggende
pregherai per me e la mia salvezza
ti ucciderò domani quando uscirà la luna
quando vedrai un angelo armato di daga
nudo nel silenzio di fronte al tuo letto pallido
ti ucciderò domani e vedrai che eiaculi
se passa quel freddo tra le tue gambe
ti ucciderò domani quando uscirà la luna
ti ucciderò domani e amerò il tuo fantasma
e accorrerò alla tua tomba le notti in cui bruceranno
di nuovo in questo mio fallo tremante
i sogni del sesso, i misteri del seme
e così la tua lapide sarà per me il primo letto
per sognare con dei e alberi e madri
per giocare anche a dadi di notte
ti ucciderò domani quando uscirà la luna
e il primo svasso mi dica la sua parola.

(“El último hombre”, Madrid, 1980, trad. di Ianus Pravo e Sebastiano Gatto). 

***

EL MATRIMONIO DE LAS CENIZAS

«El no-amor es la verdad del amor
y todo miente en la ausencia de amor.»
GEORGES BATAILLE, L’Archangélique

«¿Otros pecados cometiste?
–Sí, de amor, pero fue en otro país, y
además ella murió hace mucho tiempo.»
MARLOWE, El judío de Malta

DESCORT
El Señor del Miedo guarda la llave del Amor,
de la bondad infinita de unas manos
que no pudieron escribir. Hasta mirarse.
Fuiste como
Cyane, transformada
por las lágrimas en nada
(que el verso
se lea formando –como en Corbière
y no formando
parte del poema– nada es
si no es por sí solo: así nada el fragmento).
Así fue –es– nuestro amor
erección sobre ruinas, botella verde en el solar
vacío
que contiene a Dios, semen
sobre un cadáver. Nada sin la Verdad, con sus tres
nombres y riendo de tres maneras. Un
Tercero
monstruo de cuatro piernas
entre nuestras dos, vigila
el cumplimiento del fracaso, de su victoria
secreta: ¿no sabes ya lo que ello
secreta-monstruo
negro entre nuestras dos piernas. «Y la madre no
quiso
tocar al monstruo que huye y se esconde» Descort
–«a veces
este «desacuerdo» se ponía
de manifiesto en el contraste
entre el texto, desesperado, y la música
elevándose, alegre». ¿Acaso no amas
que yo te orine? Y allí perderse.
«Alba», aún no. Descort.
Semen sobre el cadáver. Que lo fecunde. Que
crezca
en él la flor y la yedra lo cubra. Semen
sobre el cadáver. Que crezca
de él la raza nueva. Que se yerga
el muerto rasgando la yedra, que se yerga él como
el falo
que no poseemos, como la Diosa que amamos
la Castración ¿o es lo que deseamos quien se abre
como una grieta entre los dos, no es eso lo que
falta?
Olvidar es fácil ya que nada sucede,
sin Él, sin un tercero. El padre muerto
al que escupimos y el que escupe
una y otra vez en nuestra cara
una invisible y pútrida saliva.
No olvidar en cambio la
fanfarronada
de hacer que Dios descienda entre nuestros
dos brazos, como un Hijo, el que no se espera.
–Crece la yedra sobre el cuerpo
mudo de Dios– crece
di far sì che Dio discenda tra le nostre
due braccia, come un Figlio, quello che non si
aspetta.
–Cresce l’edera sul corpo
muto di Dio– cresce
sobre nuestros dos brazos mientras estamos
abrazados como en una
alegoría hindú de la unión
del agua y el fuego, de lo que no se puede
unir, «la unión de lo que no se puede unir»
–decían las Noces chimiques– y yo amo que me
orines,
y tu pie sobre mi boca, besarlo. Asilo.
Semen sobre el cadáver: que no sólo lo mojen
las lágrimas, las húmedas, las no demasiado
dolorosas. Y que hable, sí, la crueldad para saber
lo que calla. Cuando los muertos nos impidan
la cópula: ellos también tienen
su lugar allí, en nuestro lecho. Y nosotros
somos oscuros como ellos y estamos muertos
como los niños.
Semen sobre la piedra. Que nada fecunde, sino
quede
allí escrito y se borre al leerlo.
O que, como nacieron hombres de las piedras
de Decaulión y Pirra, esos huesos
de la piedra se hagan blancos y tenues
y algo nazca, y venas las venas.
Ab fin amor, ab fina ioia –con la que
sabe el dolor, con el que sabe del vacío
y del asco– si no estaremos
relatando un sueño, de noche, sin ver
ninguno los ojos de ninguno,
de noche, en una barca que se bambolea.

***

IL MATRIMONIO DELLE CENERI

“Il non-amore è la verità dell’amore
e tutto è menzogna nell’assenza d’amore”
GEORGES BATAILLE, L’Archangélique

“Commettesti altri peccati?
–Sì, d’amore, ma avvenne in un altro
paese, e poi lei morì molto tempo fa.”
MARLOWE, L’ebreo di Malta

DESCORT
Il Signore della Paura serba la chiave dell’Amore,
della bontà infinita di quelle mani
che non poterono scrivere. Sino a guardarsi.
Fosti come
Ciane, trasformata
dalle lacrime in nulla
(che il verso
si legga formando –come in Corbière
e non formando
parte del poema– nulla è
se non per sé solo: e nulla il frammento).
Così fu –è– nostro amor
erezione su rovine, verde bottiglia nella dimora
vuota
che contiene Dio, seme
sopra un cadavere. Nulla senza Verità, coi suoi tre
nomi e ridendo in tre modi. Un
Terzo
mostro a quattro gambe
tra le nostre due, vigila
che si compia la sconfitta, la sua segreta
vittoria: ?ormai non sai il
secreto-mostro
nero tra le nostre due gambe. “E la madre non
volle
toccare il mostro che fugge e si cela” Descort –“a
volte
questa “discordia” si rendeva
manifesta nel contrasto
tra il testo, disperato, e la musica
che si elevava, allegra”. Forse non ami
che io ti orini? E là smarrirsi.
“Alba”, non ancora. Descort.
Seme sopra il cadavere. Che lo fecondi. Che cresca
in lui il fiore e l’edera lo copra. Seme
sopra il cadavere. Che da lui cresca
la nuova razza. Che si erga
il morto strappando l’edera, che egli si erga come
il fallo
che non possediamo, come la Dea che amiamo
la Castrazione, o è ciò che desideriamo chi si apre
in una spaccatura tra i due, non è questo ciò che
manca?
Dimenticare è facile, giacché non succede nulla,
senza Lui, senza un terzo. Il padre morto
a cui sputiamo e che ripetutamente
ci sputa in faccia
un’invisibile e putrida saliva.
Non dimenticare invece la
bravata
di far sì che Dio discenda tra le nostre
due braccia, come un Figlio, quello che non si
aspetta.
–Cresce l’edera sul corpo
muto di Dio– cresce
sulle nostre due braccia mentre siamo
abbracciati come in una
allegoria indù dell’unione
dell’acqua e del fuoco, di ciò che non si può
unire, “l’unione di ciò che non si può unire”
–dicevano le Noces chimiques– e io amo che tu mi
orini,
e il tuo piede sulla mia bocca, baciarlo. Asilo.
Seme sopra il cadavere: che non solo le lacrime
lo bagnino, le umide, le non troppo
dolorose. E che parli, sì, la crudeltà per sapere
ciò che tace. Quando i morti c’impediscano
il coito: anch’essi possiedono
il loro luogo là, nel nostro letto. E noi
come loro siamo oscuri e siamo morti come i
bambini.
Seme sulla pietra. Che nulla fecondi, bensì
rimanga
là scritto e si cancelli ad esser letto.
O che, come nacquero uomini dalle pietre
di Deucalione e Pirra, queste ossa
dalla pietra si facciano bianche e fragili
e qualcosa nasca, e vene le vene.
Ab fin amor, ab fina ioia – quella che
sa del dolore, quello che sa del vuoto
e della nausea– se non staremo
raccontando un sogno, di notte, senza che
nessuno veda gli occhi di nessuno,
di notte, nel rollio di una barca.

COPULA CON UN CUERPO MUERTO

A Mercedes, por las bodas que vimos
sub umbra.

Y ella está allá: en la espera,
y no es a ti a quien ama, sino que
es un Otro, amantes, el que usa
voces y cuerpos vuestros –el que os ha
de abandonar*. Feto negro que
se interpone entre vuestros dos
cuerpos y hace
siempre imposible la cópula–
creer solo en la castración.
Y alguien
ella tal vez pasó su mano sobre
el feto con suavidad
que no le tocó. Y se aleja –ahora,
al acercarse, vivir es alejarse–
se aleja
por el jardín sin nombre y lleva
en la espalda una mancha de semen seco.
O hay dirección en la huida: ¿sabes
supiste acaso adónde
se dirigían sus ojos cuando
te miraba?
y por qué no
soportas que ella ahora,
suavemente te diga al oído:
«No has escrito»
¿Podrá oírse el verbo?
«No has escrito» repite
ella otra vez –y es por eso que tú
finges leer otra vez,
finges leerme
como si yo fuera Él. Y es sólo a la
palabra a quien ama o amó– a ese feto
o bulto negro que los dos cuerpos
bañan de sudor –Dios está muerto
y habló a través de los dos. Ella
eres tú y soy yo– a condición
de no salirme de la muerte, soy
la mujer que buscas y que no encontraré.
El feto cae
cayó –caeréis–, cayó disuelto
el abrazo con un chasquido monstruoso
al suelo y se levantó
sobre su tercera pierna, enano
negro con labios
pintados de rojo, y fumó
un cigarrillo. Nadie lo miró.
Y ella
al marcharse me dijo –movió
los labios sin hablar y se oyó
que decía: «Se han roto,
se han roto todas las personas del verbo.»

***

COPULA CON UN CORPO MORTO

A Mercedes, per le nozze che vedemmo
sub umbra

E lei è là: in attesa,
e non sei tu che ama ma
è un Altro, amanti, colui che usa
voci e corpi vostri –colui che vi deve
abbandonare*. Feto nero che
si frappone tra i vostri due
corpi e sempre
fa impossibile la copula–
credere solo nella castrazione.
E qualcuno
forse era lei passò la mano sul
feto con tanta dolcezza
che non lo toccò. E si allontana –ora,
avvicinandosi, vivere è allontanarsi–
si allontana
attraverso il giardino senza nome e porta
sulla schiena una macchia di seme secco.
O c’è direzione nella fuga: sai
sapesti forse dove
erano diretti i suoi occhi quando
ti guardava?
e perchè non
sopporti che lei ora,
dolcemente ti sussurri all’orecchio:
“Non hai scritto”
Potrà il verbo essere udito?
“Non hai scritto” lei ripete
un’altra volta –ed è per questo che tu
fingi un’altra volta di leggere,
fingi di leggermi
come se io esistessi. Lui. Ed è soltanto la
parola che ama o amò– questo feto
o grumo nero che i due corpi
bagnano di sudore –Dio è morto*
e parlò per mezzo dei due. Lei
sei tu e son io– a condizione
di non uscire dalla morte, sono
la donna che cerchi e che non incontrerò.
Il feto cade
cadde –cadrete-, cadde disserrato
l’abbraccio con un sibilo mostruoso
a terra e si rialzò
su una terza gamba, nero
nano con labbra
dipinte di rosso, e fumò
una sigaretta. Nessuno lo guardò.
E lei
andandosene mi disse –mosse
le labbra senza parlare e si udì
che diceva: “Si son spezzate,
si son spezzate tutte le persone del verbo.”

(“Narciso en el acorde último de las flautas”, Madrid, 1979. “Narciso nell’accordo estremo dei flauti”, Roma 2005, trad. di Ianus Pravo)

***

CON TUTTO IL FANGO DELLA VITA (L’AMATO)

di Ianus Pravo

Il volto è ferito, la bocca allarga la ferita cercando l’aria per nutrirsi del proprio sangue. Non è il tuo corpo che vó cercando col mio, solo voglio insudiciare la tua anima, questa modalità perversa della carne. Voglio stuprare, voglio stupire, con tutto il fango della vita, ciò che in te non ha ancora vita. Ti voglio consegnare alla mia morte, e nulla di più mortifero che giacere al fianco di un morto.

*

Caro amore mio dolcissimo,
io amo la tua nudità dove la nudità ci annienta. Perché, quando davvero siamo stati nella nudità? Ahia! Ché s’anco ‘l duplice stamore / spoglio si fosse de le streghe vesti / che? come? disvestir la pelle ‘l nudo / de ‘l nudo e de la pelle ‘n l’infinir. La nudità è impossibile nell’immagine. Il volto è in prestito, lo sguardo è a credito, e il discorso è il discorso dell’altro, il vedere è il vedere dell’altro. Abbiamo tutto in prestito, siamo ebrei, e tutto dovremo restituire. L’incasso del credito, l’usura, sono originariamente attivi. Ciò che bramo è con me: la ricchezza mi ha reso indigente. La nudità nell’immagine è una maschera, una maschera in scena. Ma la nudità tua che io amo è una nudità oscena, la maschera estrema: la maschera senza scena, senza sguardo, senza credito. Senza sguardo perché esposta, pro-istituita, davanti allo sguardo dell’uomo che non le trova dimora, scena, finanziamento. Trova soltanto il proprio debito, la propria cecità. Voliamo, amore mio dolcissimo. Il volo della maschera ha strappato la faccia, sulla maschera il sangue ne è simulacro, resti di faccia sono maschera sulla maschera in volo. Perché il volo è alto a non permanere in maschera ridendo di pietà sulla faccia straziata: la nudità del volo è la straziata maschera che la faccia ha ascoltato strapparle lo sguardo.
Amore mio. Io amo la tua nudità dove la nudità ci annienta.

*

Non c’è mai un amante, mai una amante. C’è un amato, e una amata. Poi c’è un Terzo, che non c’è. C’è e non c’è. Non c’è nella conoscenza, c’è nella sua intestimoniabilità. Nessuno è testimone del testimone, scriveva Celan. Vi è una forza che mi ama, che ti ama, quando guardo i tuoi occhi, quando bevi le mie lacrime, quando i nostri ventri si accarezzano. Siamo come due monete nel palmo della mano di un Terzo. Siamo un capitale da spendere, che il Terzo spende nell’amore che ci sovrasta. Ecco, le monete. Nella prostituzione il Terzo è il denaro. È il denaro che nella prostituzione ci ama. Il denaro è apparentemente testimoniabile, ma ciò che ne fa un Terzo è il mistero del suo tintinnio, Geheimnis che è inconoscibile, che è indicibile, che è intestimoniabile, perché è la nostra assenza da noi stessi. Io non ti amo, tu non mi ami, quando il Terzo, il pausarius della nostra assenza, ci desidera l’uno dentro l’altra.

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Mi piace il Galata ferito del Museo Archeologico di Napoli, un guerriero che che non ha più la forza di alzarsi, che possiede solo la torsione su se stesso.
Mi piace la Venere della Specola, una figura di cera di donna dormiente, il cui ventre può essere aperto dagli studenti di anatomia: e mentre il cielo delle arterie e degli intestini è osservato da una folla, la Venere dorme.
Mi piacciono le Deposizioni dalla Croce del Cristo. Quel suo peso irrefrenabile sulle braccia della Madonna.
Mi piace la mancanza di forze degli amanti dopo l’orgasmo. Quel galleggiare del respiro sopra la morte.
Mi piace l’immagine dell’immunodeficienza, della indifendibilità: ho conosciuto due ragazze che sono morte di Aids: una si chiamava Avghí, alba in greco. L’altra Sarah, pricipessa in ebraico. Sarah, a cui dunque spetta un potere in eredità, ha nella mia mente l’eredità e il potere di un’alba di resa.
La resa è tutto quello che ho.

Ianus Pravo

Leopoldo María Panero (Madrid, 1948) è autore dell’opera più radicale e originale della poesia spagnola contemporanea. Ha pubblicato più di cinquanta libri, tra poesia, narrativa, saggistica. Attualmente vive nel manicomio di Las Palmas di Gran Canaria, dopo aver compiuto, negli ultimi trent’anni, un vero e proprio tour per le istituzioni psichiatriche spagnole.

Bibliografia in italiano:
“Narciso nell’accordo estremo dei flauti”, Azimut, 2005, trad. di Ianus Pravo
“Dal manicomio di Mondragón”, Azimut, 2007, trad. di Ianus Pravo
“Peter Pan non è che un nome”, Il Ponte del Sale, trad. di Ianus Pravo e Sebastiano Gatto.
“Il cervo applaudito”, EDB Edizioni, 2013, trad. di Ianus Pravo
Direttamente in italiano L. M. Panero ha scritto, insieme a Ianus Pravo, “Senz’arma che dia carne all’imperium”, Società Editrice Fiorentina, 2011.